Cari amici, tra pochi giorni i bambini del nostro bel paesello ritorneranno tra i banchi della scuola elementare. Permettetemi di ricordare alcuni tratti dei miei primi anni alle elementari. Ricordi sbiaditi, ma pur sempre piacevoli.
Ricordo che i locali erano bui. I muri erano di un colore indefinibile, freddi e severi come quelli del carcere di Alcatraz. Nei lunghi e angusti corridoi si sentiva il lezzo dei cessi alla turca. Nelle piccole aule, sulle cui pareti campeggiavano il crocifisso e la carta geografica, saliva l’inesorabile odore dell’inchiostro racchiuso nei calamai di vetro ficcati nei mastodontici banchi di legno grezzo e irto con scomodi e piccoli sedili per culetti straripanti. Di solito i calamai si trasformavano da serbatoi d’inchiostro a contenitori di rifiuti solidi e liquidi: palline di vetro colorate, carte, gessi, mosche, ragni, insetti d’ogni specie e, soprattutto, sputi.
Ricordo che i pochi maestri sulla soglia della pensione avevano un aspetto formale e solenne simile a quei “Signori di fine Ottocento”. I giovani insegnanti avevano, invece, un aspetto progressista, al passo con i tempi. Rappresentavano il nuovo e costituivano quasi tutti la nuova classe politica maruggese: Antonio Micelli (sindaco) e suo cognato Antonio Lomartire (sindaco), Fortino Marsella (sindaco) e suo fratello Isidoro (consigliere comunale), Peppino Depierro (sindaco) e Ottavio Cantoro (vicesindaco), Giacinto Santoro. La disciplina da questi impartita non scherzava. L’affettuosa punizione emessa dal professore Lomartire consisteva nelle fichècche. Uno, due o tre colpi del suo “pugno chiuso” (non perché comunista anche se lo era) sulla testolina del condannato (secondo il grado della sentenza emessa). Aveva un’abilità tecnica per punire senza far male. Non c’era alcun genitore di alunno punito che ricorreva al Telefono Azzurro. Anzi.
Naturalmente anche noi andavamo a scuola controvoglia. Seduti, impalati, inchiostrati, scapigliati, prigionieri tra i banchi ad ascoltare il maestro che dettava regole da rispettare. Le lezioni delle prime classi consistevano nel dover “fare aste”, valeva a dire disegnare centinaia di piccole linee verticali sulle pagine dei quaderni per imparare ad avere destrezza con la penna inchiostrata. Non sempre le aste riuscivano dritte. Quando esse si arrestavano curve sulle pagine era perché il pennino bagnato d’inchiostro aveva trovato ostacolo nella porosità della carta. La malconcia macchina dell’istruzione pubblica, nonostante tutto, funzionava: i bambini imparavano a leggere e scrivere.
Oggi non saprei dirvi.
Tonino Filomena
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