La questione è attualissima e riguarda la comunità tutta: i matrimoni civili tra persone dello stesso sesso. Abbiamo sentito a tal proposito il giudice di pace Nicola Russo e don Luigi Larizza, a Taranto.
Si parte da lontano, da quella che oggi si sta calpestando, la legge morale universale, – riferisce il giudice Nicola Russo – che è poi la legge umana che si caratterizza proprio per la sua oggettività. Non è di parte, quindi né di destra, né di sinistra, né di centro e né è soggetta ai grandi poteri. Questa legge che regola la vita dell’uomo e l’umanità coincide con quella del Cristianesimo.
Non è un caso che per esempio si dica “Guarda un po’ cosa sta facendo quel cristiano” identificando il termine cristiano con quello di persona. Quindi Cristianesimo significa anche la vita dell’uomo, nel senso ampio della parola. Questa è quella che si è opposta all’infanticidio nel mondo antico, alla schiavitù del paganesimo, ….al nazismo, al comunismo…e che quindi ha difeso le origini della natura umana su cui oggi c’è un malinteso.
Rientra in questo anche la questione considerata in merito alle unioni civili.
Ciascun essere umano, quindi ciascun bambino, ha diritto al padre e alla madre, ad una famiglia vera, come recita anche la Dichiarazione Universale dei diritti del bambino (art. 7).
La stessa convenzione dei diritti dell’uomo, che in merito alla famiglia, nell’art. 8 recita che ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
Non può esserci l’ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto, a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui.
Segue l’articolo 12, nel parlare del matrimonio, a partire dell’età minima per contrarlo, l’uomo e la donna hanno diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto.
Il Consiglio di Stato, ultimamente con la sentenza del 26 ottobre del 2015, interessandosi delle unioni civili, ha finalmente chiarito che in Italia le unioni civili non sono assolutamente ammissibili.
Gli art. 27 e 28 della legge 218 del ’95, riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, stabiliscono i presupposti di legalità del matrimonio prevedendo in particolare che le condizioni soggettive di validità, sono regolate dalla legge nazionale e che il matrimonio è valido nella forma, se considerato dalle leggi del luogo di celebrazione, dalla legge nazionale di almeno uno dei coniugi.
L’art. 115 del codice civile assoggetta i cittadini italiani all’applicazione delle disposizioni codicistiche che stabiliscono le condizioni necessarie per contrarre matrimonio. Sempre il Consiglio di Stato riferisce ancora che risulta agevole individuare la diversità di sesso, che è la prima condizione di validità ed efficacia del matrimonio secondo le regole codificate in vari articoli, il 107, 108, ecc. del codice civile.
Quindi il Consiglio di Stato censura le unioni civili in Italia, anche degli italiani che si sposano all’estero, e che poi tornano in Italia, perché non è possibile in quanto è vietato dalla legge nazionale, dal concordato, dall’UE, dalla convenzione dei diritti dell’uomo.
Si dovrebbe sapere che la cerimonia che viene celebrata in municipio, prevede un protocollo che confluisce nell’iscrizione anagrafica degli sposi.
Ebbene il Consiglio di Stato ha detto che nell’anagrafe del comune, vanno indicati coloro che si sposano, ma possono essere registrate anche persone che stanno insieme per coabitare come famiglia anagrafica, che è un’altra cosa, però assicura i diritti dei conviventi.
In ogni caso anche il sindaco non è tenuto a registrare le unioni civili che sono vietate dalla legge italiana, dal concordato e dalle disposizioni dell’UE.
C’è poi la legge italiana n. 12 del 2006 che all’art. 1 dice che il presidente del Consiglio dei Ministri e il governo promuovono gli adempimenti di competenza governativa conseguenti alle pronunce della Corte Europea dei diritti dell’uomo emanate nei confronti dello stato italiano comunicando tempestivamente alle Camere le medesime pronunce, ciò che non è avvenuto fino adesso.
In conclusione il Consiglio di Stato regolamenta l’iscrizione anagrafica, tornando alle unioni civili, di chi ha contratto un matrimonio però è prevista anche l’iscrizione anagrafica delle persone che unite da vincoli affettivi coabitano, si parla di famiglia anagrafica.
Quindi al di là del matrimonio e della adozione dei figli, una soluzione si potrebbe trovare in questo senso cioè dare possibilità a questi soggetti di riconoscere diritti di esigenze individuali che non riguardano la morale universale come i diritti di successione, di previdenza e assistenza.
Secondo don Luigi Larizza, per quanto riguarda le unioni homo, due adulti sono liberi di fare quello che vogliono, ma il matrimonio homo è una violenza che si fa contro i bambini.
Infatti il matrimonio homo presuppone l’adottabilità e quindi in questo caso i bambini saranno violentati minuto dopo minuto, per la mancanza di una delle due figure fondamentali per una crescita normale.
Il bambino ha bisogno di rispecchiarsi nel papà e nella mamma.
Non può essere violentato dal desiderio macabro di chi invece vorrebbe imporre un babbo e un mammo, sempre secondo don Luigi.
La bambina guarda la mamma in particolare e il bambino guarda il papà, ma entrambi costituiscono il momento fondante della crescita.
È questa la violenza che si sta facendo continuamente contro i bambini e già con le teorie gender.
Ci meravigliamo della violenza fisica ed invece riteniamo civile la violenza psicologica.
Ma questa è molto più grave, perché quella fisica opportunamente supportata può essere superata, quella psicologica determina invece ahimè, per sempre la vita del bambino.
Vito Piepoli
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