Questa nostra Taranto vive ormai il vizio assurdo della nostalgia. Nel pensare di molti cittadini, nel mio pensare che si trasforma in disamore, nel nostro essere tra i luoghi e nel vuoto. È una città senza cultura. Voglio dire che è una città senza il presente della cultura e senza una cultura del presente. Quando parlo di città parlo non solo della cinta muraria ma di tutto il tessuto territoriale dell’Urbe e degli agorà geografici dei diversi comuni. Guardiamoci un po’ intorno.
Mi rivolgo ai giovani, agli uomini che praticano la cultura (dal loro studio alle passeggiate), mi rivolgo al mondo cattolico e laico: Taranto ha bisogno di una “rivoluzione”. Abbiamo il coraggio di praticarla? Una rivolta non silenziosa. Ma gridata con il pensiero delle intelligenze e lontana dalla politica inattuale e desertificante.
Le Amministrazioni, come Ente Locale, non fanno ormai cultura. Si affidano a piccoli incentivi morali che ormai non hanno senso. Se non ci fosse il mondo dell’Associazionismo, del volontariato, del fare perché io, tu o l’altro ci crediamo e investiamo dai nostri risparmi o dai nostri mutui e ferite provenienti da vari prestiti in questa città non ci sarebbe neppure il segno di un disegno fiocamente culturale. Non si può più andare avanti così.
Neppure si possono accettare le chiacchiere dell’effimero.
Qualcuno ora mi obietterà che c’è l’UNIVERSITA’. Bene, ma è un’altra cosa rispetto alla promozione – valorizzazione – formazione, anche se dobbiamo dedicare un capitolo a parte su questo tema e non per vanagloria ma scendendo nelle funzioni che una vera università deve avere soprattutto in un territorio privo di una politica di promozione, di valorizzazione, di ricerca altra.
Taranto ha le capacità per correre un “rischio” che è quello del saper e voler investire nella cultura? Anche per una città come Taranto le politiche culturali sono sempre una sfida. Una bella sfida perché mettono in gioco un modello “altro” di fare economia attraverso una proposta imprenditoriale della cultura. Fare immagine con la cultura significa fare entrare una attività culturale nella visibilità, la quale visibilità si apre a ventaglio su tutto il territorio nazionale.
Ogni stagione politica (o fase storica) passa attraverso quelle capacità di natura culturale che si sanno imprimere sul tessuto territoriale lungo i modelli di riflessione che la politica stessa pone. E la politica stessa subisce inevitabilmente un cambiamento sul ritmo delle offerte qualitative. Investire nella cultura non significa settorializzare un ambito ma determinare un modello di pensare le strategie delle economie di una città e di un territorio.
Cosa significa questo? Significa, in modo particolare, proporre non solo una serie di interventi finalizzati ma entrare in una visione in cui il rapporto tra risorse culturali, vocazioni, presenze strutturali, ricerca e metodologia abbiano come obiettivo quello di portare Taranto a confrontarsi con le grandi e medie città europee che hanno saputo attrezzarsi di un progetto non solo urbanistico, non solo ambientale e scolastico, non solo infrastrutturale e di viabilità ma puramente definito su due nodi: quello della promozione e della valorizzazione, conoscendo già le potenzialità di un tessuto territoriale. Una politica sulle culture deve significare, però, credere nella cultura nel senso politico del termine attraverso dei riferimenti certi sui quali non basta solo ragionare e riflettere o investire potenzialmente ma trasformare la potenzialità in prassi e in concretezza.
È naturale che quando si parla del rapporto tra capacità culturali e scelte politiche occorre immediatamente un piano di individuazione di programmi, di progetti, di eventi, di ricontestualizzazioni strutturali. Sulla base di un percorso che tocchi questi quattro punti un Ente deve poter svolgere la sua politica grazie a due fattori: la capacità professionale e il saper leggere il territorio non secondo schemi ideologici o precostituiti ma secondo una dimensione in cui sviluppo e immagine possano fare i conti con la realtà.
Non credo che si possa attuare una politica culturale senza una idea progettuale e non mi convincono i piccoli passi come i piccoli interventi, pur da sostenere in parte, sui tessuti geografici territoriali.
Accanto a questo c’è bisogno di una idea alta della cultura che possa passare lungo il filtro degli eventi e della riconsiderazione delle strutture stesse che si leggono nella funzione di una Pinacoteca, di una Biblioteca provinciale, nella esercitazione di manifestazioni permanenti con una precisa puntualità e, assodato un aspetto del genere, si articolano, successivamente, le altre attività.
Questo è un dato già programmatorio di sintesi. Ma è la politica in sé che deve svolgere una funzione culturale prioritaria. Partiamo da questo presupposto.
La sfida culturale bisogna innescarla e bisogna crederci. Io sono convinto che un territorio si qualifica, e si qualifica anche una sorta di dialettica e dibattito interno alla politica stessa, se ci sono gli strumenti di un ragionare con la dialettica delle culture.
Bisogna parlare sempre più di culture.
Soprattutto oggi. Non può esserci una sola cultura. E la sfida consiste proprio in questo intrecciare esperienze, eredità, professionalità e modelli di comportamento. Puntiamo con coraggio a questa sfida per avviare un raccordo serio e sereno tra politica, economia e cultura. Ciò compete agli uomini di cultura sostenere ciò e insistere su tale materia ma dovrebbe entrare anche nella consapevolezza della politica: sia a sinistra che a destra.
Il dato di fatto reale è che la politica allontana la cultura perché la cultura “impone” riflessioni, confronti, rapporti sulle idee e la politica dei nostri giorni vive nella leggerezza che non è una leggerezza dell’essere soltanto ma una leggerezza del pensiero. Un fatto terribile. Direi disperante. Questo nostro tempo vive della caduta della politica.
Sarebbe ora che una bella “rivolta”, in termini camusiani, occupasse le menti delle nuove generazioni, degli ex giovani e di tutto un tessuto territoriale. Taranto ha bisogno di una “rivolta” del pensiero. Non stiamoci con lo sguardo rivolto alla nostalgia e alle memoria. Cominciamo a vivere e ad “abitare”, un termine a me molto caro, la rivolta con il pensiero di rivoluzionare una città partendo dalle culture.
Pierfranco Bruni
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