Non tutti conoscono (si fa per dire) questo elegante e gentile signore, nato ad Avetrana 75 anni fa, che lasciò la cittadina jonica quando era ancora un bambino. Tuttavia nel mondo Arturo Prisco è conosciuto come il “Re delle stoffe”. E’ uno degli imprenditori più importanti in Germania. Tra i suoi numerosi clienti si annovera l’élite della moda, dello stile, dell’arte, della letteratura e del teatro: Ugo Boss, Giorgio Armani, Versace, Ermenegildo Zegna, Louis Vuitton, Luxottica, Alitalia, Maserati, BMW. Nominato Commendatore Ordine al Merito della Repubblica Italiana nel giugno del 2009 dal Presidente della Repubblica Italiana, il “nostro” conterraneo in Germania ha fatto tanto. Oltre ad aver creato un suo marchio di moda, Prisco è stato il primo imprenditore a ricostruire un intero quartiere della città di Dresda, raso al suolo dai bombardamenti americani durante la seconda guerra mondiale. Ha restituito dignità, bellezza ed eleganza al centro storico realizzando negozi, uffici e un hotel di gran lusso “Quartier an der Frauenkirche” (QF). A Dresda esiste persino un “passaggio” a lui dedicato, appunto il Prisco Passage.
Arturo Prisco ama definirisi molto semplicemente un “comunicatore”: «Mi piace parlare e fare domande, questo mi ha aperto tante porte». Adesso lui le porte le apre a chiunque lo desideri. La sua bellissima villa stile Liberty, ubicata dinanzi al Prinzregententheater, è attualmente un luogo per giovani artisti. La scorso dicembre, scelto tra 39 candidati, ha ricevuto il «Münchner Phönix Preis» 2018, un riconoscimento che la città di Monaco assegna a cinque stranieri che si sono particolarmente distinti per gli eccezionali risultati economici e l’impegno sociale verso i migranti.
La nostra redazione è riuscita a contattarlo telefonicamente. La sua straordinaria gentilezza e la sua disarmante umiltà, sono state immediate. Ha voluto raccontarci brevemente la sua grande esperienza, che vuole essere un esempio per i giovani. E non solo.
Buongiorno Commendatore.
«Buongiorno Fernando, mi chiami soltanto Arturo».
Sono veramente sorpreso, non immaginavo una sua chiamata a poche ore dalla mia richiesta di contatto, una richiesta partita da un giornalista di paese e lei, gentilissimo, ha lasciato i suoi importanti impegni per dedicarsi al nostro giornale.
«Quando ho letto la tua richiesta non ho esitato a chiamarti perché ci tenevo molto a raccontare la mia esperienza imprenditoriale a quei giovani ed in particolare ai ragazzi della mia Terra in cui sono nato. L’informazione locale, a mio avviso, si è ritagliata un ruolo di comunità all’interno di una società globale. La globalizzazione ha bisogno delle comunità».
Grazie, mi può raccontare delle sue origini avetranesi?
«Per la verità non ho molto da raccontare. Negli anni della seconda guerra mondiale, mio padre apparteneva al Corpo della Guardia di Finanza ed era in servizio ad Avetrana. Io sono nato nel 1943. Il mio papà era originario di San Cesario, in provincia di Lecce, e mia madre era originaria di Bari. Nel 1945 mio padre ebbe dal suo Comando la comunicazione di trasferimento e tutta la famiglia (mia madre, le mie due sorelle ed io appena di due anni), partì per il Nord Italia, a Villasanta in Brianza».
Quindi ad Avetrana ha vissuto pochissimo?
Sì, sono un brianzolo di adozione. Ho frequentato in provincia di Monza le scuole e conseguito il diploma di ragioneria. Ed ecco il destino: a 19 anni conobbi, sul lago di Garda, una bellissima ragazzina tedesca, Helga, e subito me ne innamorai. Mi servivano i soldi per andarla a trovare in Germania molto spesso e con quello che guadagnava mio padre non era possibile affrontare quelle spese. Poco dopo ho iniziato a sbarcare il lunario vendendo libri e enciclopedie per l’Istituto Geografico De Agostini Novara; non ero ancora maggiorenne (21 anni, ndr ) e portai a casa l’assegno dei primi due mesi di lavoro (600 mila lire, quasi il triplo dello stipendio del mio papà); mio padre non credeva che avessi guadagnato tanto, incredulo per aver ricevuto nelle mani una considerevole somma andò ad accertarsi di persona dal mio datore di lavoro… temendo che quell’assegno provenisse da atti illeciti. Da quel momento ci fu una rapida ascesa di esperienza lavorativa ed ebbi modo di affinare ancora di più le capacità comunicative e commerciali».
Com’è giunto in Germania?
«Nel 1980 (avevo 37 anni), la De Agostini mi aveva affidato la responsabilità della filiale di Lodi, in quegli anni ho conosciuto i titolari di un lanificio di Lodi che mi proposero occasionalmente di far da interprete con alcuni loro clienti tedeschi. Accettai, visto che negli anni avevo acquisito un maccheronico tedesco grazie a quella ragazzina tedesca, divenuta poi mia moglie. In quel periodo avevo dato prova delle mie capacità con alcuni clienti importanti e la ditta, mi propose di diventare il loro rappresentante a Monaco, prendere o lasciare. La mia decisione di trasferirmi in Germania la presi in soli venti minuti e, pur avendo avuto un ottimo lavoro, ho preso la classica valigia di cartone (piena, non solo di stoffe, ma anche di sogni e di speranze) legata con il classico filo di spago, e mi sono trasferito in Germania insieme alla mia compagna di vita, mia moglie Helga. Da quel momento iniziò la mia avventura in Terra tedesca. Iniziai prima come rappresentante di tessuti, portando la qualità del made in Italy come arma vincente in Terra straniera, e poi come immobiliarista, perché, caro Fernando, per quanto riguarda il “Bello” nella moda, nell’arte, nella letteratura e nell’architettura, noi siamo tra i migliori. Oggi, purtroppo non siamo i soli, la concorrenza si fa sentire».
Come nacque l’Idea Prisco?
«Avevo venduto enciclopedie, quindi certo non ero un esperto di tessuti, ma possedevo una qualità più importante della conoscenza specifica del prodotto, che non si acquisisce semplicemente studiando il proprio settore lavorativo: la capacità di intuire cosa smuova l’interlocutore e di stabilire con lui una relazione rispettosa e sincera, oltre a quella professionale; in altre parole, senza legami né esperienze, potevo sentirmi libero di cambiare quello che credevo, come credevo. Sperimentare, insomma. Così, dopo qualche mese da rappresentante decisi di aprire con mia moglie un atelier, Prisco Haus, in una delle più rinomate vie di Monaco. Lì volevo far parlare persone di pari livello, italiani e tedeschi: invece che mandare un rappresentante impresa per impresa, volevo che a Prisco Haus si incontrassero i tecnici, i disegnatori e i titolari delle fabbriche italiane, con gli stilisti, i proprietari e i dirigenti di quelle tedesche. Così tutti e due avrebbero avuto le idee molto più chiare sul prodotto, rispetto a quello che altrimenti gli avrebbe potuto mostrare un semplice rappresentante».
Che effetto le fa aver ricevuto il prestigioso Munchner Phönix Preis?
«Sono molto orgoglioso per avere ricevuto il Munchner Phönix Preis; in Germania ho imparato a mettere da parte i pregiudizi; i tedeschi hanno dovuto ricredersi per avere avuto un’idea diversa del popolo italiano, spesso etichettato come superficiale e inaffidabile».
Quale consiglio vuole dare ai giovani?
«I ragazzi devono credere di più in se stessi e nelle proprie capacità. Non c’è bisogno di soldi per emergere, ma soprattutto di Idee. Anzi, alcune volte i soldi sono un freno per la mente. Bisogna viaggiare, confrontarsi con gli altri Paesi, con le altre culture e ritornare in Italia arricchiti di nuove esperienze e visioni… insomma essere felici per quello che si è. Mi rivolgo ai giovani laureati ingegneri e architetti e non solo, a chiunque a una gran voglia di lavorare: la Germania è alla ricerca di tutte le professionalità in tutti i settori dall’infermiere al cuoco e soprattutto amano gli italiani. A Sud della Germania il 43% del reddito è prodotto dagli stranieri; c’è un’ottima integrazione e soprattutto c’è rispetto verso gli stranieri. Già dieci anni fa il governo tedesco ha intrapreso un’ottima politica di integrazione: è un esempio per l’Italia e per i nostri politici. O si cambia rotta o l’Italia è destinata al fallimento».
Cosa può dirmi dell’Italia?
«Sono fortemente amareggiato nel vedere come si sta riducendo il mio Paese. Non oso descrivere quello che vedo rientrando in Italia. La mia ricetta? Bisogna partire dall’istruzione, dalle scuole, meglio due ore di matematica o di italiano in meno, sostituite da quelle di Educazione Civica. Ogni volta che ritorno in Italia c’è sempre meno amore degli italiani per il loro Paese».
Cosa rappresenta il denaro per lei?
«Non ho mai corso dietro ai soldi. Non puoi investire senza soldi, ma per me la qualità e la soddisfazione hanno la priorità. Molto della mia vita si basa sulle coincidenze. Se ho un’idea, non la lascio andare».
Ha mai avuto paura?
«Aver paura è umano. Le nuove sfide mi affascinano, mi danno la carica, ma… bisogna mettere in conto le perdite».
Cosa le ha insegnato la vita?
«Rimani quello che sei. Fai ciò che ti piace e condividi la gioia con gli altri».
Accetterebbe un invito a rivedere il suo luogo natio, i luoghi della sua prima infanzia e magari raccontare di persona la sua esperienza?
«Ne sarei onorato, ogni tanto raggiungo i miei parenti che vivono a San Cesario e ne approfitterei per rivedere quei luoghi e sentire il profumo della terra rossa, degli ulivi, della vigna».
Allora l’aspettiamo. Grazie per questa bellissima testimonianza.
«Grazie a te!».
”Non volevo che succedesse nulla di tutto questo, non era nei miei piani, ma è accaduto e forse siamo riusciti a realizzare qualcosa di bello; ecco perché quando ripercorro la mia vita, dal primo incontro con la Germania, grazie a mia moglie, fino alle vie di Dresda, penso che in realtà vivere qui sia stato per me una scelta obbligata, quasi l’avesse deciso il destino.” (cit. Arturo Prisco )
Fernando Filomena