Risalendo la collinetta che si trova alle spalle della masseria Petrose, si trova un’area incolta definita nel nostro dialetto “pezza”, ovvero un terreno tipico da pascolo, privo di alberi e con abbondante erba e pietrame roccioso, purtroppo spaccata da una larga strada provinciale costruita negli anni ’90. La grande strada, che è una delle tante circonvallazioni che sanno più di speculazione e mancanza di rispetto per i nostri luoghi che reale utilità, taglia in due la sommità della collinetta, e forse si è portata via, occultandola sotto il suo asfalto, parte della storia e della verità di questi luoghi.
Da luogo incontaminato, dall’aspetto affascinante e sacrale, la collinetta è divenuta non solo tratto automobilistico ma anche luogo di discarica (ai bordi dell’asfalto). Gli ultimi pastori hanno continuato, sino a pochi anni fa, a portarvi le loro greggi sfruttando gli spazi sfuggiti all’asfalto e alla “civilizzazione”, ripetendo un antico rito, seppur deprivati della esclusività di un’area che sino ad alcuni decenni fa, da secoli, da millenni, era conosciuta e frequentata solo da loro. Quanto di magico, unico e incontaminato vi era in questo scenario, lo si può ancora dedurre osservando i lembi non intaccati dalla modernità.
Mi fermavo, negli anni passati, a parlare, in quel posto, con Tumasi che mi concedeva qualche minuto con un occhio sempre vigile alle sue pecore, che non si disperdessero, o che non sfuggissero al suo controllo. Si lamentava dello “stradone” e delle discariche, mi raccontava anche di una volta che portò al pascolo le pecore in un luogo vicino e ritrovò tutto il gregge con le zampe ferite da una marea di vetri impunemente gettati da qualcuno nel pascolo e perciò nascosti tra l’erba. Quella collina era l’oasi dei pastori una volta, e in tempi più remoti, forse luogo di riti e cerimonie sacre, o luogo prediletto (nella preistoria) per lo stanziamento di comunità capannicole che dall’alto, dal centro della collina, potevano avere un maggior controllo e una visibilità più completa rispetto a tutto ciò che li circondava. Questi pastori hanno abitato da generazioni la masseria a valle, sino a fine anni ’80, epoca in cui si sono trasferiti in un fabbricato più moderno nelle vicinanze. Oggi, i pastori con le loro greggi sulla collinetta non si vedono più. L’ultima volta che ho incontrato Tumasi su quella collina, discutevo con lui, conoscitore e assiduo frequentatore di quei posti, delle presenze antiche in quel lembo di terra, cercando di ottenere qualche dato che poteva essermi sfuggito e del quale lui, invece, data la sua maggior conoscenza dei luoghi, poteva avere. Un particolare che mi colpì fu la sua espressione: “a qua, prima, tuttu cimiteru era!”. Con ciò, mi confermava un dato che era stato raccolto dagli studiosi locali Pichierri, Desantis e Annoscia: su quella collina c’erano tracce di insediamenti antichissimi, un’area abitata in più epoche, con annessi sepolcreti. L’area interessata dagli antichissimi insediamenti, è proprio quella della vecchia foto che pubblico qui di sotto, che ritrae Tumasi al pascolo (mentre io mi avvicino per parlargli). A seguire, cenni sugli studi effettuati in loco.
Il villaggio neolitico e gli insediamenti successivi: gli studi e le ricerche
Nel 1985 alcuni studiosi locali annunciano con una pubblica conferenza[1] la scoperta di un villaggio neolitico in contrada Petrose a Sava. Vi fanno eco due relazioni scritte, rispettivamente da parte di Gaetano Pichierri (con un articolo sul Corriere del Giorno) [2] e, a distanza di alcuni anni, di Cosimo Desantis e Mario Annoscia sulla rivista “Lu lampiune”.[3]
Il fortuito ritrovamento si deve ad uno scasso agricolo avvenuto nella primavera del 1985, a seguito del quale emergono, da un terreno situato a circa 100 mt. a nord-ovest della masseria Le Petrose, numerosi frammenti di materiale ceramico per lo più di età neolitica, grumi di intonaco di capanna, e utensili.
Pichierri parla del ritrovamento di frammenti di vasi primordiali fatti con impasto di terra grossolana e induriti con la cottura al fuoco, e vasi con decorazione a unghiate, a file di triangoli e di losanghe. Cita inoltre il rinvenimento di utensili domestici di selce ed ossidiana.
Alla descrizione stringata del Pichierri fa seguito, 7 anni dopo, un articolo di Desantis e Annoscia (apparso, come si è detto, sulla rivista “Lu Lampiune”) con aggiunta di particolari descrittivi e di una serie di foto dei reperti.
Come per altre località archeologiche, anche nel caso de “Le Petrose” siamo in presenza di un continuum insediativo che si protrae, seppur probabilmente con alcune pause, sino ad età moderna. Difatti Desantis e Annoscia riferiscono anche di ritrovamenti ascrivibili all’età del rame (eneolitico) e, dopo un possibile vuoto insediativo protrattosi per numerosi secoli, di elementi (anche in questo caso frammenti) riferibili al periodo ellenistico (IV-III sec. a.C.) e a quello successivo dell’occupazione romana. Si possono dedurre inoltre successivi stanziamenti in epoca medioevale (la masseria stessa conserva dei tratti di muro più antico) sino ai secoli successivi.
Il Coco, nella sua opera “Cenni storici di Sava” redatta nel 1915, cita le Petrose come luogo di insediamento dei monaci basiliani:
“Nel territorio savese e nei dintorni ebbero poi non poche dimore, che giunsero a poco a poco a mutarsi in tanti villaggi, dei quali restano ancora i nomi e le vestigia nella Valle dei Cupi presso Lizzano, nella cappella della SS. Trinità presso Torricella, nella masseria delle Petrose, in S. Maria di Bagnolo, in S. Anastasio e Pasano…”[4]
E’ difficile dal testo del Coco risalire agli insediamenti successivi al periodo bizantino in zona Petrose, poiché cita raramente e solo di sfuggita questa località, definendola in un suo passo un “paesello” al pari di Aliano, Pasano, Albaro, Olivaro ecc. [5], ma stando alle citazioni redatte in ordine cronologico nei suoi scritti dovrebbe aver avuto piena vita in ogni caso anche in periodo bassomedioevale, sino alla testimonianza tangibile della masseria ancora in buono stato di conservazione e della annessa Cappella, posta dirimpetto alla masseria. La masseria è evidente oggetto di modifiche e riedificazioni e non mi risulta abbia una datazione certa. La cappella è stata datata come risalente al XVI secolo, ed è stata dedicata, pare, prima al culto di S. Eligio, poi a quello della Madonna delle Grazie (1619) e successivamente alla Madonna del Lume (1819). Un riscontro della diffusione locale del culto di S. Eligio nella stessa epoca, lo ritroviamo anche in una Cappella costruita a Manduria nel 1530, e in un’altra situata in Uggiano Montefusco la cui datazione da parte degli storici locali è approssimativa ma identificata comunque tra il XVI e il XVII secolo.[6] Sulla base di questi dati, possiamo dedurre una continuità insediativa, in zona Petrose, che sostanzialmente non si è mai arrestata.
Tornando all’insediamento neolitico, Desantis e Annoscia riferiscono di ritrovamenti di raschiatoi e grattatoi, troncature di lame e schegge di ossidiana, asce di calcare marmoso nerastro, ossa di paleofauna, e numeroso materiale ceramico identificato in un periodo che va dal VI sino alla fine del IV millennio a.C..
Riferiscono infine della possibile presenza di una fattoria ellenistico-romana, dedotta sia dal ritrovamento del materiale ceramico, che dalla presenza di “alcuni massi lavorati in cima all’altura delle Petrose”[7]
L’attenzione di Annoscia e Desantis si focalizza principalmente sui reperti ceramici localizzati intorno al terreno in cui avvenne lo scasso agricolo, ma è stringata nella analisi e nella descrizione della zona circostante (sia i paraggi immediati al terreno stesso che in quelli che ricomprendono la più vasta area della contrada “Le Petrose” e quelle viciniori).
Andremo a “curiosare” con altri lavori su questi aspetti, mentre per approfondimenti relativi ai reperti ceramici si rimanda alla lettura diretta del lavoro dei due autori, corredato da una preziosa ed esaustiva documentazione fotografica. Basti qui evidenziare che molte delle ceramiche ritrovate sono state identificate come simili a quelle delle facies di Serra d’Alto e di Diana-Bellavista.
Da una ricognizione del sito e dei luoghi circostanti emergono altri significativi particolari che dimostrano una continuità insediativa nell’area, che parte dal periodo neolitico attraversando una fase ellenistica (o, più propriamente, se dobbiamo stare alle ricostruzioni della storia del territorio proposte dal Pichierri e da altri, messapica); una, immediatamente successiva, relativa al periodo dell’occupazione romana, e fasi posteriori attribuibili al periodo bizantino, al medioevo e al periodo post-medioevale.
Un elemento che balza subito agli occhi visitando L’area della sommità dell’altura (resa oggi percorribile dalla scriteriata costruzione di una strada che ha lacerato la cima di quel colle sino a pochi decenni fa una volta vergine e incontaminato) è nel fatto che in un’area prossima al terreno oggetto di scasso, e rimasta “vergine” e intaccata, si ritrovano una moltitudine di pietre di varie dimensioni, molte delle quali evidentemente modellate dalla mano dell’uomo, e alcuni grossi blocchi, ammassati, che avrebbero potuto avere in passato un utilizzo. I due storici locali, nel lavoro sopra citato, fanno un fugace accenno alla presenza di “massi lavorati” e li identificano come probabili elementi di una fattoria “ellenistico-romana”.
Desantis e Annoscia descrivono anche la presenza di alcune non meglio identificate tombe, in base a delle informazioni che ricevono da terzi:
“La giacitura inoltre di alcuni massi lavorati in cima all’altura delle Petrose potrebbe far ipotizzare la presenza in questo sito di una delle tante fattorie ellenistico-romane presenti nel nostro territorio. Interessante, infine, è stata la segnalazione di un blocco tufaceo, parallelepipedo, notevole per dimensioni, di copertura di una tomba, una delle molte, sembra, rinvenute in passato ai piedi della piccola collina. Ma neppure con l’abbandono o distruzione di questa presumibile fattoria sembra che la presenza dell’uomo sia nel tempo scomparsa in questo sito poiché essa è ricomparsa, non sappiamo quando, a poca distanza dalla prima: un nuovo centro rurale che è, appunto, l’attuale (pienamente attiva fino ad alcuni anni fa) masseria Le Petrose.” [8]
I due autori della ricerca evidenziano nella loro presentazione il fatto che la strada che fiancheggia la Masseria Petrose è denominata, in una mappa dell’agro di Sava probabilmente del 1911, Strada Comunale di Lizzano e Uggiano, e che, sempre nella suddetta mappa, il toponimo della contrada e della masseria è indicato come Pietrafitta e non Petrose come pervenuto poi nella tradizione orale). Evidenziano poi la vicinanza del sito alla Grotta Lucerna in contrada Spina presso Uggiano Montefusco (area “Bagnolo” n.d.a.) e alla ancora più prossima grotta Campana d’Oro in contrada Scerza. Leggiamo il passo dei due storici locali relativo a questi argomenti, per poi commentarlo e aggiungervi altre informazioni:
“… l’area del ‘villaggio’ delle Petrose non è molto lontana da due grotte una delle quali certamente frequentata dall’uomo preistorico: la grotta detta Lucerna (in contrada Spina, presso Uggiano Montefusco), solo in parte esplorata, che ha restituito frammenti ceramici di età neolitica e la grotta denominata Campana d’ Oro in contrada Scerza, in agro di sava, attualmente ostruita in superficie e rimasta inesplorata. Un altro dato da non trascurare è il toponimo col quale un tempo era indicata una parte della contrada, inclusa la suddetta masseria: Pietrafitta, inspiegabilmente non più continuato dalla tradizione orale ma così riportato, e certo così italianizzato, nella mappa catastale di questa zona del primo decennio di questo secolo. Non sarebbe a nostro avviso inverosimile supporre l’esistenza di un Menhir, ‘pietra fitta’, appunto, conficcata nel terreno come i superstiti menhirs tuttora osservabili nelle campagne pugliesi.
Circa possibili opere di difesa del ‘villaggio’ non abbiamo rintracciato tratti evidenti o fondamenta o ruderi di muri né indizi di fossati o trincee di recinzione così com’è per i più antichi villaggi del Tavoliere di Puglia” [9]
Intanto, la questione del toponimo “Pietrafitta” appare oscura ed inspiegabile ai due autori giacché non ne ravvisano altre tracce se non in quell’unico e isolato documento (la mappa dei primi ‘900), e infatti rimarcano in una nota a margine dello scritto:
“E’ da precisare, tuttavia, che tale toponimo non si riscontra nel Catasto Onciario di Sava (accuratamente compilato nel 1742) nel quale la contrada e la masseria risultano denominate, come oggi: Le Petrose. Così pure nell’opera di P. Coco, Cenni Storici di Sava, Lecce 1915, con una piccola mappa dell’agro savese e con l’indicazione di tutte le masserie. Pertanto rimane, per ora, inspiegabile il toponimo Pietrafitta pur considerando che allora (cioè tra la fine del secolo scorso e l’inizio di questo) come oggi, i Fogli di mappa degli agri comunali erano tracciati da geometri del luogo”[10].
Un elemento evidentemente sfuggito ai due ricercatori, è nel fatto che proprio sulla facciata anteriore del muro della masseria è inciso a chiare lettere il nome “Pietrafitta”. A tutt’oggi, l’iscrizione è in parte visibile.
Che la località sia stata oggetto di ripetuti insediamenti in diverse epoche, e che perciò si siano sovrapposte opere, è evidente sia dalla analisi dei luoghi che dalle stesse testimonianze e studi del Desantis, dell’ Annoscia, del Pichierri e del Coco. A tal riguardo, un altro importante particolare non rilevato nell’indagine pubblicata ne “Lu Lampiune” è nel fatto che esistono i resti di una imponente recinzione fatta di pietre a secco in un tratto posto in sommità dell’altura. La decodifica della datazione non è compito (e competenza) di chi scrive, ma resta il fatto che nei pressi dell’altura è a tutt’oggi visibile un Paretone che ricorda molto quello situato in contrada Camarda, sia come dimensioni (oltre i 2 mt. e mezzo di altezza) e imponenza, che come tipologia di costruzione. Proseguendo dalla sommità della collinetta verso Sava in linea d’aria, ci si imbatte negli avanzi di questo imponente muro in pietra diverso nella forma e nella concezione dagli ordinari muretti a secco delle nostre campagne. La muraglia non balza agli occhi ad una ricognizione del sito immediatamente circostante la collinetta poiché si trova a relativa distanza, nascosta dalla vegetazione. Che questo muro svolgesse una funzione di confine e fortificazione al tempo stesso appare evidente, ma resta da indagare rispetto a cosa, e in quale epoca.
- Cfr. Annoscia Mario,. in: “Sava – schede di bibliografia ed immagini per una storia del territorio e della comunità” – Del Grifo, Lecce, 1993 pag. 46. Qui l’autore polemizza tra l’altro con Gaetano Pichierri, già defunto, rispetto alla paternità della scoperta ↑
- Pichierri, Gaetano: “Il villaggio neolitico sulla via dell’ossidiana (sommario: Un’ipotesi sulla stazione di Masseria delle Petrose, alla periferia di Sava)” Corriere del Giorno, 14 mar. 1986, pag. 3 ↑
- Desantis Cosimo, Annoscia Mario, L’insediamento neolitico di Contrada Le Petrose in agro di Sava, Lu Lampiune, pp. 283-292 ↑
- Coco, “Cenni Storici di Sava”, Stab. Tipografico Giurdignano, Lecce, 1915; riedizione Antonio Marzo Editore, 1984, pag. 29 ↑
- Coco, cit., pag. 51 ↑
- Morrone, Nicola “Il culto di S. Eligio tra Manduria e Uggiano Montefusco” in “Manduria Oggi”, 29/11/2014 ↑
- Desantis, Annoscia, cit., pag. 291 ↑
- Desantis e Annoscia, op. cit. pp. 291-92 ↑
- Desantis e Annoscia op. cit. pag. 284 ↑
- Desantis, Annoscia, op. cit., nota (5) a pag. 292 ↑