Natale 2015. La mia Lettera annuale interrompe la tradizione. È sempre una lettera che diventa racconto in questo Natale che è un appuntamento di vita e di nascita. Comincio senza impegni. Non mi interessa la politica. Non mi interessa Renzi e tanto meno Berlusconi. Io vivo di noi. Non scrivo di Gesù dell’asinello e del bue… Papa Benedetto XVI ha trascritto un’altra storia… Oltre la leggenda… Nella fedeltà della famiglia. Comincio. Così il mio Natale 2015. tra un ricordare e un fissare immagini allo specchio. Lo sciamano si è assopito al canto della luna. Sono memorie di secoli che hanno attraversato i suoi viaggi nell’abitare il tempo. Il vento si lascia ascoltare. Porta echi.
Custodisco nell’incavo dei pensieri le sue parole e i suoi silenzi.
I suoi sguardi ritornano a tagliare le ombre. Le ombre vivono di un indefinibile scavo nei ricordi.
Se dovessi raccogliere le nostalgie non mi basterebbero gli anni che ho. Ma non ho rimpianti. Forse qualche rimorso sì.
Lo sciamano mi ha insegnato però a non avere mai rimorsi e a consumarli giorno dopo giorno nell’attesa della danza della pioggia.
Sono stato nella mia terra. Ho vissuto la polvere delle immagini in una mancanza che non conoscevo ed ho costruito i miei altari in una ricordanza di simboli, di giochi, di pietre di sale e di vuoti di stanze.
Nelle nostre vite si agitano stanze vuote, ma ricche di voci e di passi che hanno fatto di me di noi i viandanti della bellezza.
Mia madre in una delle rarissime lettere, anzi una nota scritta su un biglietto bianco, per un mio compleanno, mi aveva sottolineato: “… cerca di restare sempre bello e buono come sei ora…”. Questo biglietto è sempre con me.
Lo sciamano è andato via in una mattina presto di dicembre. E la curandera lo ha seguito nell’ora del meriggio di un giorno di ottobre.
Sto cercando di capire, come sempre, i simboli dei numeri.
Le cifre hanno un senso. Nella mia vita. Nella nostra vita. Pitagora è sempre un nostro contemporaneo ed Eraclito tracce le strade vivendo i cerchi nell’acqua.
Siamo i figli del destino e di generazioni che sanno che raccontare è riscrivere una storia consumata e bugiarda. Non bisogna mai credere alle apparenze ma penetrare il cielo con gli occhi dell’anima.
Dicevo i numeri…
Nel nostro libro “Cinque fratelli” c’è una scacchiera di numeri che sembra incomprensibile e non lo è per me. Forse è incompiuta. Ma i numeri hanno la profezia dei monaci che camminano sul filo del mare attraversando il deserto e cercando l’orizzonte nell’infinito.
A pagina 127 (si badi al 27, mia cara Giulia, Micol, Virgilio, i miei continuatori, Simona, la ribelle, Pierpaolo, Marilena, Claudia ma tutti nel destino del nostro viaggio) avevo scritto, quando ho lavorato alla costruzione del libro, che sarei ritornato in Calabria e sarei rimasto nella mia casa il giorno 11, non precisando il mese.
Chi conosce il tutto ha capito. Chi non conosce avrà la possibilità di comprendere leggendomi.
Uno scrittore che ha vissuto intensamente non può che testimoniarsi e viversi nel tempo della memoria.
Uno scrittore che non ha vissuto descrive e fa cronaca nella leggerezza dell’essere.
Io amo la pesantezza nelle ironie che si intrecciano e la cronaca appartiene a chi non ha memoria.
Si scrive, in fondo, ciò che si ha, ciò che si è, e la scrittura è sempre eleganza, stile, armonia… Il resto è altro…
I numeri… Già… Quel numero 11…
Il mosaico ha altri simboli. Esoterici. Appartengo alla scuola di Guenon, di Eliade, di Zambrano, di Pound, di Brasillach, di D’annunzio…
Allora? Mi ripeto: 11 e 21. Ma 1 + 1 fa 2. 2 + 1 fa 3. Allora? 2 + 3 fa 5, ovvero Cinque. I Cinque fratelli. Il 21 muore lo sciamano e l’11 la curandera.
Caro lettore,
non seguirmi se questo mio dire ti sembra inopportuno o confusionario.
Io ho sempre scritto per lo sciamano, la curandera e chi ha voluto seguire per cercare di andare oltre le piume della leggerezza e vivere il volo di una farfalla come una meteora nell’incastro dei sogni.
Ho scritto per chi sa sognare, per chi sogna oltre il sonno. Perché il sonno non conosce la ragione e la ragione è il vero mostro del mistero.
Non credere al conformismo del relativo quando si ripete che il sonno della ragione genera mostri. È una ideologia di morte perché è senza fantasia. Bisognerebbe superare la ragione per vivere la fantasia e il mistero che sono nel sonno.
Il sonno ha sempre un risveglio…
Vado oltre… Dunque…
Lo sciamano si è assopito al canto della luna e la curandera lo ha invocato più volte, sino a lasciarsi prendere per mano con la dolcezza degli incontri cercati, ma inaspettati e sono ritornati ad essere gli amanti di sempre tra i gerani e le orchidee, tra i peperoncini e le palme al suono di “Amado mio” o di una canzone che spesso la curandera cantava:
“Oh Tzigano, dall’aria triste e appassionata,/che fai piangere il tuo violino fra le dita,/suona ancora, come una dolce serenata,/mentre, pallido, nel silenzio ascolterò/questo tango che, in una notte profumata,/il mio cuore ad un altro incatenò. (…)/Se un segreto dolor/fa tremar la tua mano/questo tango d’amor/fa tremare il mio cuor,/oh violino tzigano”.
Sì, ora mi scende una lacrima.
So che commuoversi è appartenersi. Alla mia età bisogna continuare a commuoversi per non avere timore di nulla.
Ed ora che dire? Ora che un nuovo libro è iniziato e raccolgo oltre che le rose bianche anche le stelle che chiedono alle mie mani di aprirsi e farsi robuste.
Osservo il cadere della sera e l’attesa del nuovo giorno è già cominciata.
La piazza non ha più voci e dai torrioni del castello si odono sussurri.
Sono gli anni che sfogliano le azalee del mio giardino e l’altalena è ancora lì, tra i sorrisi di quei legami di sangue e di destini, che dondola sino a toccare i rami della fejoia, mentre lo sciamano ha l’ironia nello sguardo e sulle labbra il sorriso della fedeltà e, invece, la curandera non smette di intonare un’altra delle sue canzoni:
“Vedo un’ombra lontana /e una stella lassù, /o chitarra romana /accompagnami tu. //Se la voce è un po’ velata /accompagnami in sordina, /la mia bella fornarina /al balcone non c’è più. //O chitarra romana /accompagnami tu!”.
Quella voce un po’ velata…
La curandera negli ultimi giorni, prima di ritrovare il suo sciamano, aveva nella voce un velo…
Poi il suo viso si era impossessato di tutta la bellezza, di tutta la bellezza possibile come nelle grandi feste, donna andalusa con la musica infilata tra le dita, con la sua austera nobiltà e con il suo portamento tutto mediterraneo.
Non so se la festa sia finita davvero o se per lo sciamano e la curandera sia ricominciata in questi giorni di sole e di tramontana.
Ascolto il mare e non ci sono ombre.
Ho ritrovato il mio viaggio interrotto e ringrazio Dio di questo misterioso incanto.
Vivo per raccontarmi e so che raccontandomi racconto non solo la mia storia, ma le nostre storie, i nostri destini, le nostre appartenenze in un vissuto senza il quale non saremmo quelli che oggi siamo.
C’è ancora la voce della curandera che intona sicura e melodiosa un altro brano: “Laggiù nell’Arizona /terra di sogni e di chimere/se una chitarra suona /cantano mille capinere /hanno la chioma bruna /hanno la febbre in cuor /chi va cercar fortuna /li troverà L’amor./ Il bandolero stanco /scende la sierra misteriosa /sul suo cavallo bianco/spicca la vampa di una rosa /quel fior di primavera /vuol dire fedeltà /e alla sua capinera /egli lo porterà”.
Mi penetra nella voce e nelle parole questo suono della curandera.
Il bandolero stanco…
Ricordi Micol… Quante stranezze nella vita Il bandolero stanco apparteneva alla curandera… Ora comprendi il mistero?
Raccontalo tu questo capitolo perché ti appartiene e mi dedicasti questa canzone più volte… Ma non sapevi che era della curandera e pensavi, ascoltando i copiatori, che si ritengono esegeti e maestri, che erano delle parole uniche e invece eccole qua…
Vero… Noi siamo altro, siamo stati, saremo, resteremo nella nobiltà del sentire il destino come voce impeccabile…
Siamo, tutti noi Giulia cara, quelli che lo sciamano ha detto di essere nella cadenza della luna quando ci fece appoggiare le nostre teste sulla sua…
Ricordi Micol… Raccontala tu questa storia…
Il “Tango delle capinere”. 1928. Un anno dopo la nascita della curandera. E lei lo ha sempre intonato.
Erano anni antichi.
Sono qui. Io con voi.
Noi con voi e voi con tutti noi.
C’era una volta una casetta in Canadà circondata da papaveri grandi mentre noi eravamo piccolini…
Ma no… Ci sarà sempre nei nostri cuori e nel nostro raccogliere silenzi e tempo frammentato…
Lo scrittore racconta quello che è… quello che ha… quello che è stato…
Anche in questo racconto lettera ho scritto di me, di noi famiglia, di noi legame di sangue…
La vita è lo scorrere dei giorni cercando di ritrovare tutto ciò che si è nascosto…
Buon Natale amori miei…
Pierfranco Bruni