Una profezia degli anni Sessanta scritta da un roveretano
“Oggi Taranto è asfissiata. Una nube di veleni permane sopra la città”. Immaginate o pensate o ripensate un po’. Quale politico – ambientalista, quale magistrato cultore del paesaggio e dell’ambiente, quale fine scienziato universitario delle scienze ambientali abbia potuto dire queste cose? È una frase non detta oggi e neppure ieri e neppure quando è sorta quella università che doveva farci capire e spiegare l’ambiente e l’inquinamento.
È una frase che risale al 1960 e poi ripresa nel 1968 ed è stata scritta da Carlo Belli, nato a Rovereto nel 1903 e morto a Roma nel 1991. Di decenni ne sono trascorsi. E Belli più volte lottò con il puzzo, il fumo, la nebbia. Ma nessuno volle ascoltare le sue profezie. Cose che invece ascoltarono i politici calabresi che si chiamavano Mancini, Misasi, Antoniozzi. Fu fatta una politica di altra natura.
Carlo Belli aveva previsto tutto. L’ideatore del Convegno internazionale di studi sulla Magna Grecia, alla fine degli anni Cinquanta redattore capo del quotidiano “Il Tempo”, stretto collaboratore di Giuseppe Selvaggi e del direttore Renato Angiolillo e stimato protagonista di quella anti ideologia “industriale– inquinamento” più volte posta da Araldo di Crollalanza, aveva condotto una forte battaglia contro il nascente Centro Siderurgico di Taranto. Una battaglia dura tanto che impedì successivamente ai politici calabresi di portare avanti l’altro polo siderurgico a Gioia Tauro.
Scrisse che in Calabria ci fu “un ricorso al buon senso”. Mentre riferendosi a Taranto nel 1968, riprendendo alcune considerazioni precedenti, annotava: “ Un “massacro, annota Belli, che fu compiuto da ciechi, da pazzi, per collocare l’attuale gigantesco ‘apparato’ industriale a un chilometro e mezzo esatto, in linea d’area, dal centro della città! I proprietari di quei terreni, con la carica che infonde la cupidigia dell’oro, riuscirono a travolgere le più sensate obiezioni. Nulla avrebbe perduto Taranto, aggiunge ancora Belli, collocando la zona industriale una decina di chilometri più a nord – ovest. Non valsero consigli, proteste, indignazioni. Perdemmo anche quella battaglia: fummo ancora scornati dal vitello d’oro. Oggi Taranto è asfissiata. Una nube di veleni permane sopra la città. E delle bellezze straordinarie dei suoi paraggi, non rimangono che alcune fotografie. Questo accadde per la volontà di sei o sette uomini”.
Queste parole dure Belli le scrisse sulla rivista “Magna Graecia” della metà e fine anni Sessanta, in lettere private (tra le quali una indirizzata a Giuseppe Selvaggi, questa è stata da me pubblicata in un mio saggio dal titolo “Magna Grecia ed Europa di Carlo Belli” (Il Coscile, 1993), sul suo diario privato.
Nel 1969, sempre su “Magna Graecia”, diretta da Tanino De Santis, si leggono queste parole di Belli: “Bisogna … tornare a concepire l’industria come un mezzo e non come un fine. Essa non è che uno dei molti mezzi necessari allo sviluppo delle attività umane. Essa non è l’unico strumento di vita, tanto è vero che là dove ha stabilito il proprio potere in modo imperioso, annullando il fondamentale equilibrio tra altre attività umane, quali l’agricoltura e l’artigianato, è sempre insorta una crisi gravissima”. Profezia, uomo che leggeva con i filtri degli sciamani o soltanto un intellettuale che riusciva a capire la realtà e interpretava le politiche, le economie e l’importanza dei territori nel Sud. Belli considerava l’industrializzazione del Sud come un giacimento culturale del Mediterraneo. Durissime furone le parole anche per Gioia Tauro. Infatti nel 1973 troviamo Belli in prima linea contro l’nstallazione dell’impianto siderurgico di Gioia Tauro in Calabria.
Scrive un articolo di fuoco su “Magna Graecia” del luglio – agosto 1973. “Diabolica è la insistenza con la quale si vuole attuare il cosiddetto V Centro siderurgico di Gioia Tauro, letteralmente a tutti i costi”. E questa fu una battaglia vinta. Nonostante il “pacchetto Colombo” il Siderurgico non si fece. Ma la cosa più drammatica è che non ci fu l’industria sia a Sibari che a Gioia Tauro ma non ci fu neppure quel processo di valorizzazione dei territori interessati per ciò che riguarda il patrimonio culturale. A Taranto il Centro siderurgico si fece ma a discapito di tutte quelle attività produttive e culturali che avrebbero potuto creare realmente degli indotti.
Belli ricorda che “certi maggiorenti di Taranto avevano dato al sottoscritto, otto anni prima” delle “assicurazioni” in riferimento all’ubicazione del Centro siderurgico. Assicurazioni che non sono state mantenute. E parla di battaglia persa. Ma per Belli Taranto, Sibari, Gallipoli costituivano un itinerario da salvaguardare perché aveva constatato che: “Ovunque riluceva un tesoro da custodire, immenso prestigio del Paese, cospicuo reddito per il turismo: lì, proprio in quel sito, come nessun altro fosse disponibile, stanziamento di volgari casoni, pompe di benzina, zone industriali”.
Un discorso “antico”? un problema che ha sfidato i territori, le politiche, le economie e soprattutto la società moderna e quelle città che ancora non riescono a fare in conti con le proprie eredità, con una storia, la quale, ha ragione Belli, “non è soltanto storia di stili e ‘maniere’, ma è soprattutto, e in ogni età, storia dell’uomo”.
Il caso di Taranto. Questa immensa Magna Grecia che vive nel sonno del passato senza rendersi, forse, conto che questo passato è lì in attesa.
Lasciando Taranto nel 1968 Belli scrive una lettera a Giuseppe Selvaggi nella quale annota: Lascio alle mie spalle il puzzo delle ciminiere. Non vedo futuro per questa città. Ha perso le sue ragioni storiche e noi siamo stati impotenti. Mi auguro che in Calabria non succeda la stessa cosa. Il suo articolo di fondo trattando questi aspetti aveva come titolo: “Ricorso al buonsenso Dopo la sagra della demagogia”. E successivamente disse che dopo l’esperienza di Taranto “Diabolica è la insistenza con la quale si vuole attuare il cosiddetto V Centro siderurgico di Gioia Tauro, letteralmente a tutti i costi”. E fu anche il titolo di un altro suo articolo apparso su “Magna Graecia” del luglio – agosto 1973.
Commentando queste frasi in un salone della sua Villa – Museo del Casaletto a Roma, mentre dialogavo per preparare un dei miei quattro libri sulla sua opera mi disse: Mio caro, Taranto ha un paesaggio che ci ha regalato la civiltà di un Mediterraneo moderno nella tradizione dell’antico. Noi non abbiamo avuto la forza per lottare. Ma verrà un giorno che tutti rimpiangeranno. Ma il rimpianto non appartiene ai morti perché io non ci sarò più. Belli, roveretano, fondò il Convegno di Studi della Magna Grecia a Taranto proprio nell’anno della nascita del Centro Siderurgico.
di Pierfranco Bruni
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