Riceviamo e pubblichiamo questo articolo di una nostra lettrice.
Desidero raccontare, molto semplicemente, alle nuove generazioni, quello che è successo nel nostro paese durante la ricostruzione, nell’immediato secondo dopoguerra.
In quegli anni, in tutto il Sud, l’economia si basava soprattutto sull’agricoltura, che da noi era ancora prevalentemente latifondista. Tutte le ricchezze erano nelle mani di pochi, “i signuri”, il resto della società era costituita prevalentemente dai “ cafoni”, che lavoravano duramente la terra di altri, senza diritti e senza alcun paracadute sociale; era costituita ancora da qualche artigiano; da qualche piccolo intellettuale che, grazie alla riforma Gentile , aveva avuto la fortuna di accedere agli studi e infine da alcune figure di riferimento: il maresciallo dei carabinieri, il farmacista, il parroco.
In questo contesto si radicò il PCI , e si avviò , tra luci ed ombre, la stagione delle riforme. Non è mia intenzione raccontare quali siano stati i motivi della nascita del partito Comunista, né è mia intenzione analizzare l’ evoluzione e le cause del suo declino. Di certo il PCI nacque , cento anni fa, il 21 gennaio del 1921 da una scissione di minoranza nel XVII congresso del PSI.
In seguito c’è stata l’ascesa del fascismo, la terribile II guerra mondiale e, nell’immediato dopoguerra, la faticosa ricostruzione.
Proprio in quegli anni, nell’ immediato dopoguerra, grazie anche a questo partito, si accesero i riflettori sulle condizioni dei lavoratori, che capirono di poter diventare protagonisti della propria storia. Quasi tutti erano analfabeti, ma capirono l’importanza della conoscenza e della scuola. Molti di loro avevano a stento da mangiare, ma si sottoposero a enormi sacrifici pur di avviare i propri figli agli studi. Fu loro spiegato che per poter prendere coscienza dei propri diritti e difenderli, era necessario “capire” e decifrare i meccanismi che sono alla base dei sistemi economici. Si resero conto di essere un “corpo” e si sentirono un unico corpo, con gli stessi ideali, con lo stesso obiettivo: essere riconosciuti come persone.
“Essere riconosciuti come persone” Questa era la grande novità. Quasi nessuno di loro lesse Gramsci, vide o conobbe Togliatti , ma moltissimi seguirono con passione, stima, fiducia il loro leader del PCI. Neanche la scomunica di Pio XII riuscì a spaventarli. Niente è stato facile, perché non è mai semplice abbattere privilegi, far cadere pregiudizi, eliminare qualche disuguaglianza. Senza dubbio furono commessi errori, tuttavia se oggi abbiamo la scuola pubblica aperta a tutti, i contratti di lavoro, il servizio ospedaliero pubblico lo dobbiamo anche a questi braccianti sconosciuti , a questi “cafoni” che si fidarono di un partito, il PCI, che s’ interessò a loro, ma soprattutto si fidarono delle persone che quel partito rappresentavano. Si trattava di un sogno e a loro sembrò bello lottare per questo sogno: avere una casa, una paga, comprare un po’ di carne.
In cento anni molte cose sono cambiate, la realtà è diventata più complessa, la nostra società è completamente mutata. Il PCI si è svuotato di sogni e di persone capaci di sognare e far sognare, è diventato un piccolo partito che ripete “riti e liturgie” , che continua a teorizzare in astratto l’uguaglianza e la giustizia .
Se guardiamo agli accadimenti di quegli anni, riusciremo a comprendere quanto sia stato importante sentirsi un popolo, una comunità, e non ci sfuggirà che questo miracolo è avvenuto anche per un partito che ha saputo parlare agli umili e agli emarginati. Loro, ieri come oggi, non hanno bisogno di pietismi o false promesse, hanno bisogno di qualcuno che li aiuti a “ sognare” e a trovare dentro di sé le energie per non arrendersi.
Oggi un virus ci ha colpiti senza pietà e non ha fatto distinzione di sesso, nazionalità, colore della pelle o religione, ha messo in ginocchio alcuni settori della nostra economia, ha creato nuovi poveri. Speriamo che il nostro paese riesca a trovare la capacità di sentirsi un unico corpo, una comunità capace di restare “insieme” per risolvere “insieme” le nuove difficoltà. Ci viene anche chiesto di guardare ai nuovi poveri che arrivano da altri paesi e nei confronti dei quali non dobbiamo sentirci degli esseri superiori. Per avere un vero progresso, dobbiamo avere la capacità di riconoscere in quei volti le facce dei nostri genitori che un tempo furono costretti a lavorare per più di 10 ore al giorno, in condizioni disumane, senza diritti.
I partiti e soprattutto i loro leader, che si sentono o si dichiarano interessati al bene comune, devono tornare sulle strade ad incontrare gli italiani e i non italiani per ascoltare i loro racconti, le loro paure, le loro aspettative. Tutto oggi è più complesso, ma bisogna avere il coraggio di non rimanere chiusi nel Palazzo dove si rincorrono strategie trovate a tavolino, che funzionano per un po’, e servono solo a raccogliere consensi, ma certo non servono a scrivere una nuova pagina di storia, a far ritrovare ad un popolo l’orgoglio di sentirsi unito, in marcia verso un futuro in cui ci sia posto per tutti, dove non ci sia emarginazione, sopruso, sfruttamento.
Fiorella Lomartire
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