C’era una volta il mio paese…
dove durante il giorno le polverose strade del borgo venivano percorse da un simpaticone venditore di scampoli di stoffe, aghi, ditali, pettinini, pettinesse e spagnolette di cotone… messi alla rinfusa sulla sua sgangherata carriola al suono della trombetta per richiamare, dopo due o tre lunghi e acuti squilli, l’attenzione dei paesani. Si chiamava Ugo, detto l’Ucariellu o lu Napulitanu (vedi foto). Nel più rigoroso dialetto locale, intriso di napoletano, dava libero sfogo ai polmoni, gridando ai quattro venti la mercanzia da vendere. A sera, invece, si agitavano gli abituali frequentatori della trattoria del buon Ciccio Zaccaria, la cui “cantina” (vedi insegna foto in basso a sx), posta nelle immediate vicinanze della chiesa madre, era il luogo sacro e profano dove si consumava fino alla “papàgna” (sonnolenza) «sciruppu ti cantina e pinnùli ti cucina», cioè vino d’osteria e polpette di cucina.
Oggi le trattorie di una volta sono state soppiantate da eleganti pizzerie/ristoranti, come quella di “Tempo Zero”, la cui denominazione lascia intendere che lì il Tempo è fermo all’anno zero e quella più recente “Tastevin Bistrot”, il cui nome ti rimanda ad un paese straniero. Ottime pizzerie, che ne consiglio vivamente la consumazione. Nel borgo antico, invece, è nata da alcuni anni la trattoria “Vineria Casa Ciù”, la cui denominazione non lascia scampo a fraintendimenti: si beve vino d’osteria e taglieri di cucina (“sciruppu ti cantina e no-pinnùli ti cucina”), i cui frequentatori camminano sulle orme di un passato che non è mai passato… tra vino, polpette, bruscolini, antipastini, buonismi, leggende e maldicenze di paese.
Tonino Filomena