Non ricordo bene quando c’è stata l’ultima “Festa della matricola” nel mio paese. Mi pare quarantacinque anni fa. Avevo 23 anni. Era la festa degli studenti universitari. Nasceva, moriva e risorgeva ogni anno perché c’era nei giovani una voglia matta di uscire dal normale vivere quotidiano e buttarsi, sia pure per un solo giorno, nella bolgia infernale. Era il desiderio sfrenato di trascorrere una notte all’insegna della trasgressione, almeno una volta all’anno. Era la festa anche per i più deboli di spirito, bastava che avessero una sorella, una cugina, una parente appetibile da portare alla festa. Il periodo preparatorio era quello che precedeva il Natale. Consisteva nel fare la questua “occupando” Piazza del Popolo e gli incroci ad essa collegati. Manipoli di studenti, armati della paletta segnaletica STOP, fischietto da vigile e feluca (berretto universitario ornato di corni e feticci d’ogni tipo), fermavano gli automobilisti per chiedere una miserabile offerta. Era un vero e proprio accattonaggio. Non mancava chi, chiedendo oltre misura, si beccava un sonoro vaffanculo da parte dell’autista di passaggio. La raccolta del vil denaro serviva per “montare” la festa. Il momento clou era la giornata che precedeva la serata di gala. Chi muoveva i fili erano i soliti noti. Studenti e non. Più non, che studenti. La matricola (iscritto al primo anno di studi) era la vittima designata dai “baroni” (studenti fuori corso). La caccia alla matricola era il misfatto preferito dai “baroni”. Il povero studente, una volta catturato, era costretto a pagare da bere oppure, se apparteneva a famiglia benestante, ad offrire la cena. Il più delle volte, i nonni più satanici si avventavano sulla matricola interrogandola, pubblicamente e ripetutamente, sulle sue presunte esperienze sessuali. Quanto meno conoscenza sessuale dimostrava, tanto più l’accanimento aumentava. Una volta “liberato” dalle grinfie dei suoi aguzzini, il nonno dei nonni, che era lo studente più “bollato” (bolli annuali di iscrizione impressi sul libretto universitario), gli consegnava il famoso “papiro” (lasciapassare scritto in latino maccheronico su carta pergamena).
Arrivava il sospirato giorno. La festa tanto attesa. Nel primo pomeriggio del giorno della Befana, il movimento studentesco si spostava al municipio. La vecchia e angusta aula consiliare veniva spogliata dei lunghi tavoli dove sedevano i consiglieri comunali. I pesanti tavoli venivano provvisoriamente sostituiti per far posto al buffet preparato dagli studenti in onore della “notte della matricola”. L’aula sorda e grigia del Gran Consiglio era più bella senza i suoi consiglieri. In un baleno le matricole la addobbavano sapientemente. La massa studentesca era accalcata fino all’inverosimile. Quando il complesso (orchestra) era pronto per suonare, si spegnevano le luci e iniziava lo “strusciamento”. Saliva la musica, il gran ballo, il timido approccio, il malcelato struscio, il profumo di donna, lo stringimento. E saliva l’impulso, il disturbo, la pulsazione, la fantasiosa masturbazione… per non poterla possedere. La donna! Finiva così l’ultimo ballo, una battuta di troppo, una promessa mancata, un bacio accennato. I musicanti sfiniti cominciavano a smontare gli strumenti. Facevano cenno che la festa era finita! Chi aveva dato e chi aveva ricevuto. Chi aveva osato e chi non aveva potuto. La lunga notte era andata via e con essa la “festa dello struscio”.
La “Festa della matricola” verrà spazzata via con l’avvento dei nuovi tempi. Menomale. Perché oggi è sempre festa. E’ uno struscio continuo.
Tonino Filomena