C’era una volta il mio paese… un paese a dimensione d’uomo. Piccolo e minuto, ma mio. Il tempo, inarrestabile e violento, ha spazzato via i volti, le storie, le vite del mio paese. Il tempo ha deturpato anche il volto del mio paese: la sua Terra e il suo mare.
Questo mio paese non è più mio. Non è il paese che ho conosciuto. Non è il paese della mia infanzia, della mia adolescenza, della mia giovinezza. E’ un paese sconosciuto. A me estraneo. Il mio paese è cambiato o, forse, sono cambiato io. Lo sconosciuto forse sono io. Sono io lo straniero, esule in patria. Siamo due sconosciuti. Una volta questo paese mi avvolgeva, mi abbracciava, mi entusiasmava. Oggi non più. Il mio paese, il paese di mio padre, il paese degli affetti più intimi è scomparso. E’ svanito nel nulla… come mio padre.
C’era una volta il mio paese… col suo “porto felice” che tutti ci invidiavano, con i suoi trulli “viventi”, con le sue incantevoli pajàre, con le sue antiche masserie, con le sue campagne sempre verdi, con i suoi colori, con i suoi odori, con i suoi abitanti che sapevano ascoltare ed amare, che sapevano soccorrere i bisognosi, gli umili, gli indifesi, i miserabili, gli ultimi. Senza alcun bisogno di esibirsi per apparire solidali e misericordiosi. Colpa del protagonismo, dell’egocentrismo, dell’esibizionismo e del falso buonismo? E allora penso e ripenso ad una voce lontana che viene dalla mia adolescenza nelle giornate calde e frequentate d’agosto del mio paese. Penso e ripenso alla voce di mio padre che viene da quel suo nuovo paese che chiamano “Paradiso” e mi dice: «Ascolta figlio mio, il tuo paese è quello che ti porti dentro. Perciò continua ad amarlo anche se non è il paese che tu vedi.»
(Brano tratto dal libro di Tonino Filomena “Il soldato contadino”)
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