Dopo un anno di commemorazioni masochiste per auto-mortificarci, arrivò finalmente il giorno in cui siamo costretti a ricordarci della Vittoria e del suo centenario. Eccolo, il 4 novembre, anzi il IV novembre, la giornata della Patria. Ma avrete già sentito come viene trasformato quell’anniversario nel Racconto Ufficiale fatto da presidenti, ministri, media e professori: la Vittoria sparisce, la Nazione pure, alla Patria solo un timido sbuffo di cipria e dei caduti se ne parla come povere vittime del nazionalismo e dei loro capi. Il resto sarà tutta una celebrazione della pace, dell’Europa, dell’umanità col sottinteso che eroi e vittime di guerra sono caduti invano, per una sanguinosa illusione.
La memoria della Grande Guerra viene esattamente rovesciata: diventa la celebrazione dell’Europa e la mortificazione delle nazioni identificate nei nazionalismi. Ma la verità storica dice esattamente il contrario: la Prima guerra mondiale fu il funerale dell’Europa e il trionfo dell’Italia, pur mutilato.
Da quel conflitto l’Europa uscì infatti sfasciata e indebolita, non fu più il centro del mondo, perse gli Imperi Centrali che ne erano la spina dorsale, il mondo cominciò a dividersi tra l’Ovest americano e l’Est comunista, schiacciando l’Europa nel mezzo o relegandola a periferia. Nacque da quel conflitto il comunismo e poi la reazione ad esso, nacque la frustrazione tedesca che portò al nazismo, nacque il fascismo. Con la Seconda guerra mondiale, il tramonto dell’Europa avviato dalla prima raggiunse il suo epilogo. Gli occhi dell’ideologia pacifista non vogliono vedere la realtà tragica e gloriosa di quell’evento.
Invece, sul piano nazionale, la Prima Guerra mondiale consacrò l’Italia, per la prima volta uscita vincitrice da un conflitto, al rango di nazione e patria comune. Il Risorgimento era stato un’impresa di pochi, voluta da pochi, rispetto a una popolazione contadina, cattolica, soprattutto meridionale, in buona parte non partecipe se non refrattaria al processo unitario. Fu la Prima Guerra Mondiale a sancire nel sangue e nel dolore la comune appartenenza all’Italia. Quando dicono che la Prima Guerra Mondiale fu per noi la conquista di Trento e di Trieste, si rimpicciolisce – con tutto il rispetto per le terre irredente – la portata e il significato del Conflitto. No, in quella occasione per la prima volta, un popolo intero si sentì nazione, si scoprì patria. La leva obbligatoria, l’educazione nazionale seppure a tappe forzate, il sentimento di appartenenza tramite i propri ragazzi al fronte, portarono per la prima volta a sentirsi veramente italiani le genti del nord insieme alle genti del sud; i borghesi e i proletari, gli intellettuali e i contadini. Sarebbe ipocrita negare che molti di loro furono riluttanti e la Prima guerra mondiale fu voluta anch’essa – come il Risorgimento – da una minoranza. Forse la Grande Guerra ebbe meno consenso popolare della Seconda guerra mondiale, che almeno inizialmente godette di fervore e adesione degli italiani. Ma l’effetto che produsse la Vittoria fu il rafforzarsi del legame nazionale. La sua consacrazione avvenne con la proclamazione della Vittoria, il ritorno dei combattenti e reduci, il ricordo dei caduti, la salma del Milite Ignoto. E la consacrazione dell’Altare della Patria a lui, al Soldato italiano senza nome. Fu in quel passaggio, da Monumento funebre al Re Vittorio Emanuele II ad Altare per il Milite Ignoto, il vero passaggio da un Regno a una Nazione, un Popolo.
Perciò quando si parla di IV novembre si deve ricordare insieme al sacrificio di tanti soldati, al dolore delle loro famiglie, anche l’orgoglio di dirsi italiani, pagato col sangue; la fierezza di un sentimento di appartenenza nazionale.
Dove finisce invece nella retorica ufficiale l’amor patrio? Sparisce, per far posto alla parola umanità che almeno in questo caso è fuori luogo, è storicamente falsa e bugiarda, comunque fuori posto.
Ma non solo. Si prosegue nell’autoflagellazione. Abbiamo visto nei giorni scorsi nei tg di Stato, che il ministro/la ministra della difesa ha ricordato in una speciale cerimonia apposita non i 650 mila caduti italiani ma qualche centinaio di caduti ebrei italiani nella Prima guerra mondiale. Per poi dire: loro erano caduti per l’Italia e l’Italia poi li ripagò con le leggi razziali. Insomma tutti i discorsi servono per portare sempre là, alla nostra Autoflagellazione quotidiana. Senza considerare che gli ebrei si consideravano ed erano considerati italiani a pieno titolo, che gli ebrei – per esempio – a Trieste, furono ferventi patrioti e anche nazionalisti; e molti di loro diventarono pure fascisti. E comunque non si possono ricordare in modo speciale solo alcune centinaia di caduti di fronte a centinaia di migliaia di caduti… Ma questo è funzionale per far slittare l’amor patrio nell’antifascismo. Pura propaganda ideologica, pura distorsione. E se si parla dei soldati della Prima guerra mondiale la preferenza va verso i disertori non verso gli eroi, verso chi fu ucciso perché non voleva combattere (proposito umano che merita pietà, non ammirazione) e non verso chi ha dato volontariamente la sua vita alla patria. Siamo rimasti eredi di Caporetto più che di Vittorio Veneto, siamo fermi a Cadorna, non siamo arrivati a Diaz.
Per questo è necessario ricordare che il IV novembre fu il battesimo di una nazione antica in epoca moderna, fu la conversione di un’identità plurale in una patria comune, di un sentimento unitario e di una lingua gloriosa e plurisecolare in nazione. L’Italia disegnata dalla geografia finalmente combaciò con l’Italia disegnata dalla storia. Un grande evento di fondazione. Per questo dobbiamo onorare senza se e senza ma i caduti, la Vittoria e la nascita di un popolo che si scoprì nazione.
MV, Il Tempo 3 novembre 2018
Marcello Veneziani – Pagina autorizzata
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