Nel silenzio di questo pomeriggio di passione mentre stanca e assonata la mia Città riprende fiato e ricompone le emozioni che l’ha vista primattrice del triduo pasquale di cui va fiera, quello che rimane è la consapevolezza che in fin dei conti poi ognuno vive la propria “passione” a suo modo; più o meno credenti o pseudo atei, tra sacre verità e profane bugie, oranti o oratori….
Mai come quest’anno la ritualità religiosa coincide con la rappresentazione di una realtà cruenta che purtroppo stiamo vivendo da protagonisti nostro malgrado, arricchendola di un pathos che qui a Taranto ha ancora più ragione di esistere e di essere compreso. Le mie sono considerazioni da non protagonista, nel senso che anche quest’anno non ho potuto partecipare in diretta a questo evento che sigilla lo status di appartenenza alla comunità dei tarantini.
Affascinata e anche un po’ scossa sin da piccola dall’atmosfera e dalle rievocazioni cui riportavano nell’immaginario suoni e figure della settimana santa, nel corso degli anni ho vissuto con distacco e scetticismo la trasformazione e il fermento che in questa mia città prendeva vita con l’approssimarsi della celebrazione della morte, paradosso anch’esso di quello che noi tarantini viviamo sulla nostra pelle ogni giorno. Quello stringersi attorno alle statue, quella comunanza di stanchezza, di freddo, di ore di sonno mancate, quegli occhi fissi verso un simbolo carico di spiritualità per molti e verso una mera figura di cartapesta per altri, non lascia indifferenti… qualcosa l’aggiunge sempre nel bene e nel male… il sacro e il profano, la devozione e lo scetticismo, la cultura e l’ignoranza sono tutti aspetti che fanno la differenza qui da noi… anche tutto quel paganesimo da festa e sagra paesana, così frequenti negli ultimi anni, non tolgono nulla e non privano d’identità questa Città.
Quelle statue barcollanti, sembra prendano davvero vita ed è forse questo l’aspetto che affascina sempre e comunque tutti! Nelle affollate e sconosciute solitudini , ciascuno riesce comunque a circoscrivere e ritagliarsi quella frazione di secondo di intimità con quello che le statue e tutti i figuranti rievocano: il nazzicare materializza la fragilità che ci accomuna, prolunga e mette pause struggenti quasi a voler cullare quel dolore così vicino ma sempre sconosciuto … e, pur nella distrazione della calca, per un attimo si riesce ad arrivare oltre le barriere delle transenne reali o no… e inevitabilmente e inspiegabilmente quegli occhi di cartapesta che incroci fissano proprio te da qualunque posizione di dolore o felicità tu li stia guardando.
Anna Marsella
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