TORRE OVO – Margherita Boffoli è stata l’ultima persona a cui Pietrino Vanacore ha rivolto la parola prima di ingerire il potente diserbante e lasciarsi annegare in mare. (Questa, almeno,è l’ipotesi investigativa che dovrà essere confermata con l’autopsia che si farà oggi). «Stai attenta, copriti bene che c’è molto vento», ha detto all’amica che gestisce la piccola osteria nella piazzetta di Monacizzo a due passi dalla sua casa in via Don Luigi Sturzo. In effetti ieri un vento gelido misto a pioggia, sullo sfondo di nubi pesanti, rendeva quel posto sullo Jonio adatto ad una morte violenta.
La zona del litorale interessato è quello di Torre Ovo, marina di Torricella. La locandiera che ha gradito la premura di Pietrino, ha notato in lui qualche ombra. «Anche se mi ha sorriso – racconta – Pietrino aveva qualcosa di strano, non era come tutte le altre volte». Una cosa, in particolare,le è rimasta impressa. «Quando mi sono allontanata – dice – l’ho visto armeggiare con una corda che aveva preso dall’auto e con quella si dirigeva verso la scogliera. Non ci ho fatto troppo caso, ho pensato dovesse pescare o qualcosa di simile».
Scoprirà con orrore che con quella fune bianca, lunga una ventina di metri, l’ex portiere di Via Poma doveva assicurarsi che il suo corpo non finisse in fondo al mare. Quando l’ha scoperto è rimasta sconvolta. «Stavo tornando indietro dalla mia solita passeggiata – ricorda ancora – quando ho visto due persone in fondo alla scogliera che urlavano qualcosa e gesticolavano in maniera molto agitata»
. Quello che avevano notato i due testimoni, era il corpo di un uomo che galleggiava sullo specchio d’acqua profondo meno di un metro. Aveva una gamba legata ad una
corda che proseguiva per venti metri sino ad un albero che osteggiava la litoranea in direzione di una Citroex Cx di colore grigio dove c’erano esposti due cartelli: «Vent’anni di persecuzione senza colpe,lasciate in pace almeno la mia famiglia», c’era scritto. Quel corpo era di Pietrino Vanacore e quella era la sua auto. E’ toccato agli investigatori del capitano dei carabinieri, Luigi Mazzotta, fare i rilievi e la prima ricostruzione di quanto è potuto succe
sso. Pietrino avrà ingerito una quantità imprecisata del liquido bluastro conte nuto in una bottiglia di plastica trovata sugli scogli vicino al corpo che fluttuava con le onde. Lo stesso prodotto è stato poi trovato nella sua confezione originale nel garage di casa Vanacore. E’ un potente anticrittogamico, tipo Paraquat, utilizzato in agricoltura come diserbante. Ne bastano pochi sorsi per uccidere una persona. Dal boccione ne mancava mezzo litro. La ricostruzione a questo punto diventa l’unica possibile ma non quella accertata: Vanacore ha ingerito il veleno, magari in grosse quantità, forse accompagnato dalle gocce di tranquillanti che aveva ricominciato ad assumere da quando si era riaperto il caso del delitto di via Poma. Poi si è seduto sugli scogli lambiti dal mare ed ha atteso così che il veleno facesse effetto. Raggiunto lo stato di semi incoscienza,infine, si sarà spinto nell’acqua dove è morto. «Una ricostruzione plausibile ma ancora ipotetica», chiarisce il pubblico ministero di turno, Maurizio Carbone, che per oggi ha disposto l’autopsia che eseguirà stamane il medico legale Massimo Sarcinella. «Se l’esame ci dirà che è morto per l’anticrittogamico – dice – l’ipotesi del suicidio sarà quella prevalente;se non sarà così, dovremo aprire nuove e più complesse vie investigative», conclude il magistrato che intanto ha aperto un fascicolo contro ignoti per istigazione e induzione al suicidio.
Nazareno Dinoi
LA TESTIMONIANZA DELLA NIPOTE
La compagna di Pietro Vanacore, Giuseppa De Luca, di origini brindisine, ha lasciato la casa di via Don Luigi Sturzo, a Monacizzo, per rifugiarsi da alcuni parenti di un paese vicino. Sono stati questi ultimi a trascinarla e metterla al sicuro dal trambusto degli investigatori che hanno rovistato l’abitazione in cerca d’indizi che facessero capire qualcosa su quello strano annegamento ad un metro d’acqua. Per entrare nella casa e fare il proprio dovere, i carabinieri hanno chiesto aiuto all’unica nipote della famiglia Vanacore rimasta in paese. Maria Depasquale, 43 anni, è parente acquisita con legami diretti di sangue con la prima moglie di Pietrino. E’ toccato a lei, ieri, aprire il portoncino di ferro di via Don Luigi Sturzo per permettere il sopralluogo dei militari e del magistrato inquirente. Naturalmente è molto provata. Assieme al marito, è rimasta sulla scogliera per tutta la mattinata, spostandosi solo quando il corpo dello zio è stato tirato fuori dall’acqua e trasportato all’obitorio dell’ospedale Moscati di Taranto dove sarà sottoposto all’autopsia. Ed è toccato sempre a lei affrontare i giornalisti ai quali racconta l’incredulità di quelle ore.
Non vi aspettavate una cosa simile?
«Nessuno se lo aspettava, neanche la moglie, nessuno. Anche se ultimamente l’umore dello zio era cambiato, non si poteva certo presagire una tragedia simile. Non era più lui, era teso, non riusciva più a riposare, per dormire era costretto a prendere le gocce di tranquillanti che si era fatti prescrivere dal medico curante. Tutto da quando è ricominciato il carosello dell’omicidio di Roma.»
Non si era ancora abituato a quel coinvolgimento, vero?
«Non si è mai abituato a quell’interesse dei media come non ha mai dimenticato ciò che ha passato in quegli anni a Roma. In questi giorni, poi, era particolarmente agitato per via di quel viaggio che doveva fare nella capitale per prendere parte al processo che lo vede come testimone. Era stanco di tutto. Era una persona molto buona, dolce, particolarmente schiva, per questo non sopportava l’interesse della stampa».
Sin dall’inizio della sua vicenda non ha mai avuto buoni rapporti con gli organi d’informazione. Non era cambiato niente in tanti anni?
«Ultimamente non ce la faceva più. Si lamentava delle continue notizie che uscivano sul suo contro, ogni volta che ascoltava una notizia alla televisione o leggeva sui giornali, si deprimeva sempre di più. Si sentiva perseguitato ed ultimamente più del solito per le vicende note del tribunale di Roma. Era stanco di sentire il suo nome collegato con quello di Via Poma e la sua immagine riportata sempre sui giornali. Quando ne parlavano spegneva sempre la tivù».
N.D.
Dopo l’arresto e la liberazione per l’omicidio si Simonetta Cesaroni, vent ‘anni da eremita
Dopo il suo coinvolgimento nel delitto di Simonetta Cesaroni, a cui seguì l’arresto e infine la scarcerazione per innocenza, Pietro Vanacore decise di tornare nel suo paese d’origine. Monacizzo, minuscola frazione di Torricella in provincia di Taranto, è il luogo più indicato per nascondersi e allontanarsi dal mondo. E così venti anni fa, la vita dell’ex portiere di Via Poma si trasformò in maniera completamente opposta a quella caotica vissuta sotto i riflettori della capitale. Una vita quasi da eremita, soprattutto nei primi anni di rientro a Monacizzo, che sconfortò anche i più tenaci cronisti i quali, da più parti d’Italia e per molto tempo, lo hanno quasi perseguitato in cerca di un’intervista che non ha mai lasciato a nessuno. Solo quando l’interesse su di lui si era affievolito, dopo un po’ di anni di stretti isolamenti, Vanacore aveva cominciato a condurre un’esistenza più o meno normale. Le sue uniche uscite, però, si limitavano a frequentare la piazzetta principale di Monacizzio, situata a pochi passi da casa, l’appuntamento con la spesa di mattina e un caffè al bar con i rarissimi frequentatori esterni alla famiglia. Solo di recente aveva cominciato ad aprirsi con delle passeggiate quasi quotidiane lungo il litorale di Torre Ovo, proprio dove ieri ha deciso di farla finita. Altra abitudine che Vanacore non aveva mai perso, era quella della messa domenicale nell’unica chiesetta della frazione, anche questa a pochissimi metri da dove abitava.
Così da imputato di omicidio Pietrino aveva deciso di proteggere la sua vita e quella di Giuseppa De Luca, la donna divenuta sua compagna dopo la morte della prima moglie. Con lei ha condiviso gli ultimi anni di un’esistenza fatta di sospetti. Circondato da una piccola comunità, quella di Monacizzo, che lo ha protetto e che non ha mai creduto alle terribili accuse che pesavano sul suo conto. Una fiducia incondizionata verso Pietrino emersa anche ieri quando, a notizia della sua morte già diffusa, non c’era paesano che non puntava il dito contro quella che tra la gente viene definita «una tortura dei giornali e dei magistrati che hanno costretto Vanacore a togliersi la vita».
N.D.
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