C’è una donna che mi ripete con l’eco dei miei deserti una canzone che ha accompagnato le mie nostalgie. Ho ancora nostalgie? In tempi di eventi o di avventi si possono avere nostalgie? Comincia così la mia impossibile fantasia nel mistero dei segreti.
Ascolto:
“Maruzzella Maruzzè,
t’he miso dint’a lluocchie
‘o mare e m’he miso
‘npietto a me ‘nu dispiacere.
‘Stu core me fai sbattere
chiu forte ‘e ll’onne
quanno ‘o cielo è scuro:
primma me dice si,
po’ doce doce me fai muri”.
La voce è di Renato Carosone.
Un piegare di malinconie tra le parole smorzate al far della sera.
Sono stati anni di echi riportati dal vento. Ma l’infinito che si credeva infinito ha sempre un suo orizzonte. Il mare si riprende le stelle.
In questo dicembre di luci che illuminano le strade ci sono voci che vanno e poi si chiudono nella sabbia. Siamo tutti come le nuvole o come le onde.
Qual è la differenza tra le nuvole e le onde? Vanno vengono poi ritornano lì dove sono state e poi ripartano definitivamente. Incamminarsi è sempre cercare di raggiungere uno spigolo di tempo. Il tempo.
Qual è la cifra tra il mio tempo è quello di mio padre?
Ascolto ancora la voce di mia madre che canta Maruzzella.
Perché mi incammino? Per dove? Il telefono tace. C’è silenzio.
Natale ha la sua notte. Stelle cadenti. Bianco Natale. Una volta c’era babbo natale e veniva dalla Lapponia. Mi sai dire dove si trova la Lapponia?
Via Carmelitani non è un ricordo. Neppure un tempo. È soltanto la memoria che graffia le pareti della mia anima. I nomi delle strade sono un cercare nella memoria una vita che si è strappata dalle tegole del castello.
Caro signor Sindaco tutte le vie hanno un senso ma quella Via Carmelitani era un’infanzia di giorni antichi.
Non ritornano. I giorni e l’infanzia. Si sono consumati come si è consumata la mia storia le mie storie.
C’era un ragazzo che tirava di palla in Via Carmelitani… poi quel ragazzo è partito e non ha più trovato non solo il nome della strada ma neppure la strada.
Mi hanno raccontato che babbo natale è giunto di giorno ed ha rubato la strada e invece della strada ora c’è il teatro di Gogol. Nel teatro di Gogol tutti hanno una parte non assegnata.
Entrano in scena i personaggi. Si guardano e comincia la recita.
Da un balcone c’è un uomo con delle mascelle robuste e veste la camicia nera e comizia: “Giovinezza resta sempre una primavera di bellezza”.
Un applauso lungo. Gli applausi dureranno oltre i secoli bui.
La camicia nera con le robuste mascelle alza il tono della voce e canta: “Un bel Sol in Abissinia… ritroverem il nostro suol…”.
Ma non è così la canzone. Non ci sono problemi. Qui ognuno si sceglie una propria parte. Cosa ci fa Giuda nel teatro di Gogol? Sciocco. Mi urla una voce in lontananza. Giuda sempre muove le carte.
Bisogna comprendere. Comprendere? È finito il tempo dei leoni e dei gattopardi. Vero. È arrivato il tempo delle iene e degli sciacalli.
Ma ancora mia madre con la sua melodia insiste: “Maruzzella Maruzzé…”. E mio padre che dall’alto del settimo piano del campanile sorride pronuncia una parola incomprensibile.
Silenzio. Entra in scena la maga Circe con i suoi porcellini omerici. Ma questi recitano una recita a soggetto. Sì. Perché sono sempre in cerca d’autore. Dico follie? La pazzia ci salverà dalla falsità e dai bugiardi. Signori. I bugiardi abitano sempre dietro l’angolo e pur sapendo che sono stati sono e saranno bugiardi noi gli abbiamo sempre concesso gli attenuanti.
Porcamiseria agli attenuanti. La danza delle streghe ha inizio. Hanno un accento strano. Fanno girotondointornoalmondo. Come è bello. Dico stronzate. No. Cerco di fregare il prossimo? Ma l’ironia ha mai fatto del male?
Intanto sono passate epoche. Il paese è diventato l’ombelico del mio tempio.
Gogol si guarda allo specchio e ogni mattina si rende conto che il naso diventa storto sino al punto di pensare se è storto il naso o è storto lo specchio o è storta la mente. Gogol aveva ragione. I folli sono i veri. La verità è dei fessi. Si recita per fregare il prossimo o per perire nell’immutabile sogno delle belle donne. Ma improvvisamente entra in scena la pollastra di Giuda che grida: “Non toccate il mio traditore. Fermi tutti. Vi sparo una telefonata in un orecchio e vi farò saltare dallo scanno”.
Ma qui più che il teatro di Gogol è un circo. E i personaggi? Hanno tutti il naso rosso e le donne hanno gli occhi delle puttane consumate ad odiare le prostitute. Ma cosa dico?
Basta con questa cervellotica carneficina dell’eleganza. Basta con il far morire l’estetica delle cifre. Siamo tutti in mezzo al mare? Non è vero. Io sono un attraversatore di mari e conosco molto bene i venti dei marinai. Io. Ma i personaggi da circo o riescono a restare per secoli a camminare sulle corde o cadono spezzati dai fulmini del sole inventato per riscaldare i disertori.
Nel teatro di Gogol c’è Giuda. Nel circo di Asmul ci sono i disertori.
Sto giocando? Ma sì. Lo scrittore se non è un giocatore è un coglione. Io che coglione non sono e scrittore lo sono preferisco il gioco.
Chi ha capito ha fatto bene a non interagire con la mia follia. Chi non ha capito ha fatto male a credersi protagonista. Ma sia chi ha capito che chi non ha capito pensano di avere ragione e tirano subito la bandiera sul mia testa e sventolano il misfatto delle loro anime.
È ora di finirla. Signori miei buon Natale, buon anno nuovo e buona epifania, anzi buona Befana.
Conosco una Befana che ha la nappa a sventola, un sacco dove ha custodito i suoi tesori, una voce da menzognera. Mi chiederete che allora non è la Befana. Guardatevi un po’ intorno e poi mi direte.
Babbo Natale è finito sul lettino dello psichiatra. La Befana in un istituto di bellezza e Giuda fuma il suo cervello.
Ora basta. Ritorno ad essere serio. Ritornano i ricordi. Dopo aver ascoltato Carosone mi sovviene un’altra canzone che cantava mia madre in tempi che l’infanzia dominava:
“In mezzo a quelle rose
ci sono tante spine
memorie dolorose
di chi ha voluto bene
Son pagine già chiuse
con la parola fine
Grazie dei fior
fra tutti gli altri li ho riconosciuti
mi han fatto male eppure li ho graditi
Son rose rosse e parlano d’amor
Grazie dei fior
e addio…
per sempre addio…
senza…
rancor”.
Era Nilla Pizzi che in quegli anni belli e le rose erano rose. Ora le rose sono diventati gigli e i gigli si sono trasformati in limoni. Amari limoni. Sai, nel mio giardino c’era una pianta di limoni… E poi basta. Finisce qui.
Gogol e il suo teatro Asmul e il suo circo la Befana Babbo Natale ed io che scrivo una favola bella e una novella brutta ogni notte per addormentarmi…
la storia che storia non è è completamente inventata ed è il frutto di un pazzo che sa di essere un pazzo perchè è consapevole che la pazzia è nella bellezza della verità.
Ogni fatto ogni evento e puramente infondato e nessuno potrà riconoscersi nei personaggi perchè chi pensa di riconoscersi in fatti circostanze e personaggi si rivolga al tribunale dell’armistizio. Ma tutto è fantasia. Uccidete, se ci riuscite, la fantasia.
Io mi sento offeso. Non sono Babbo Natale non mi reputo una Befana e neppure sono Giuda, magari fossi Giuda, ma consentitemi di dire che tutto accadde nel 4123, ovvero accadrà tra oltre due millenni.
A tutti Buon Natale e a me cosa augurate? L’inventario di tutti i pazzi che circoleranno in libertà vigilata sino al 4123. Esisterà ancora il panettone?
Pierfranco Bruni
Per scriverci e segnalarci un evento contattaci!