C’è un Oriente che si muove tra le parole di Carlo Levi. Un Oriente che si porta dietro tutta la cultura di un Mediterraneo che ha intrecciato i simboli, i miti, i riti e le etnie di un Occidente che ha cercato nel Sole degli Orizzonti metafore di tempo e angoli di spazio.
Carlo Levi ha viaggiato. Tra le isole: dalla Sardegna alla Sicilia. Ha viaggiato nei luoghi del deserto e in una Russia dal freddo chiarore. Ha viaggiato nelle Germanie. E poi tra le terre di un Sud che ha magie e storie: dalla Lucania alla Calabria. Ma i suoi scavi di anima, di esistenza, di metafisiche accoglienze sono in quell’Oriente dell’india e della Cina. (Esce Buongiorno, Oriente con Donzelli).
Ed qui tra questi luoghi della saggezza archetipica che Carlo Levi (nei suoi reportage soprattutto per “La Stampa” e per “Vie nuove” dal 1957 al 1960) impasta, e lo fa con la meraviglia dello sguardo e non solo della parola, antropologie del vissuti e intuizioni dell’estetica. L’immagine e l’impatto visivo sono fondamentali in una scrittura che non sembra narrare, ma raccogliere.
Ecco uno squarcio: “Dopo un gran giro per la campagna, ritornando verso Benares, incontriamo un altro villaggio, o piuttosto un sobborgo con le case allineate lungo la strada. Qui tutto è in vista, nei portici davanti le casupole: mercanti, venditori, artigiani, e gli usurai, personaggi eterni dei villaggi indiani, padroni degli analfabeti” (“La Stampa” 15 marzo 1957).
Un descrivere che nasce più che dal bisogno di raccontare, dalla necessità di capire e si comprende attraversando i luoghi e i luoghi sono emozione soltanto se vengono filtrati dalla intuizione. Carlo Levi si scopre, in modo letterario, scavando nei luoghi e negli uomini. Anche gli altri suoi libri hanno questa fedeltà. La pazienza della fedeltà nella scrittura nasce dalla consapevolezza di trasformare lo sguardo in contemplazione.
È ovvio che Carlo Levi cammina dentro questo Oriente e vi cammina con due elementi: il sacro e la religiosità. Sa che dove non è possibile catturare la comprensione con l’orientamento del sacro la cattura con il senso del religioso. Ma tutta la sua scrittura, la sua Opera, è impregnata da una religiosità che nasce nei miti di una cultura popolare e nella mistica che assorbe il camminamento nella solitudine.
Questo suo Oriente è un Oriente che osserva “la grande luna” e le “stelle limpidissime”.
L’India con le sue costellazioni diventa invisibile, a volte, e permanente. Come la Cina dalla quale Levi coglie subito questo spaccato: “Le infinite donne – bambine che popolano la Cina sono, in verità, degli esseri nuovi, che si vanno formando come persone adulte. La rivoluzione femminile è forse il maggiore avvenimento della nuova Cina, quello che profondamente modifica la struttura della società”. Pubblicava questo scritto il 4 febbraio del 1960 su “La Stampa”.
Allora, resta il Carlo Levi della percezione e della intuizione. Un aspetto, nel suo insieme, che riusciva a cogliere non solo come modello culturale, ma, soprattutto, come una finestra che il Mediterraneo Occidentale apriva su tutto l’Oriente. Gli strumenti di Levi restano sempre quelle delle parole. Le parole”sono pietre” e sulle pietre resta inciso un vocabolario che non è solo una koinè, ma una etnia.
Lo scrittore che aveva conosciuto gli abitati del Sud dell’Italia e delle isole trova nella parola il vero strumento di contatto per legare le immagini alle cose, la storia ai linguaggi.
Bisogna fare i conti con la storia, ma sono i linguaggi che restano nella vita dello scrittore. Questo Oriente, l’Oriente di Carlo Levi, è fatto di parole e di sguardi dove le mani hanno saputo scavare nelle profondità.
“Hanno cambiato il mondo/innumerevoli farfalle/grigie di tetti, palpebre/leggere sulle montagne/ricucite come nuvole./Sulle distese gialle/di terra, le tartarughe/sono le sole pietre,/l’ossa eterne dei morti./Sotto il verde dei salici/e il rotondo dei tumuli/oggi, per il domani,/han spianato le rughe/delle argille, le tetre/miserie, le ragne/dei costumi, le sorti/di servitù. Le mani/han scavato in profondo”. Così Carlo Levi incornicia il suo Oriente in un tessuto di fili che hanno ragnatele di memorie.
In questo Oriente ci sono le trame che raccontano non solo la civiltà, ma gli incontri tra civiltà e quelle che si usano chiamare etnie sono le radici, le eredità, le origini dei popoli. Carlo Levi in questo spazio – tempo ha viaggiato per lasciare segni indelebili che vanno oltre la storia stessa.