Averti amata, averti amata come ti ho amata nel tempo delle bellezze e delle cadute è stato meraviglioso, come è stato meraviglioso cogliere uno spicchio di sole da un angolo di mare che entrava tra le tende della stanza e tu, eri, sembravi una dea e un canto arabo con la danza dei passi e con gli echi delle sensazioni che raccontavano un amore…
Averti amata come io ti ho amata non è servito a nulla. Avermi tu amato come dici di avermi amato a nulla è servito…
Neppure ai ricordi che restano e si fanno fantasia sino a quando la fantasia giocherà con le parole e quando le parole su di te finiranno neppure tu esisterai.
Tutto si consuma. E non si consuma come amore. Ma si consuma vivendo il disamore, sino a quando ci sarà disamore perché poi sarà indifferenza, dimenticanza e non solo distacco e neppure vuoto e neppure lontananza.
Sei stata una donna straordinaria, certo, nei tuoi amplessi, nel tuo far l’amore, ma quando si ama si ama con la pelle e con l’anima e si trasporta il profumo della pelle e del corpo tra le mani e nei silenzi, e persino quando le solitudini, in appuntamenti fatali, mi raccoglievano nelle attese io custodivo il tuo sguardo, le tue mani su di me, le tue labbra, ma troppo ci si illude anche quando una storia dura più di una storia e cerca di diventare un destino e poi la dimenticanza… Pensavo di vivere un destino. Ma ci sono le illusioni che scavano i labirinti dell’anima.
Ti avevo atteso con emozione… ma devi sapere che proprio nelle “storie” che si considerano grandi amori basta una scintilla di stelle o una stizza per capire, in un attimo, soltanto in un attimo, che basta una parola, un guardare, una stretta di mano, un vuoto non riempito, una telefonata andata male, che tutto precipita o che non è mai esistito nella sua durevolezza, ma nella finzione che non è fantasia o mistero e tanto meno sogno.
Non voglio dirti che c’è stata finzione. Ma gli amori hanno la ragione d’essere fino a quando si vive la dolcezza, la tenerezza, l’assenza, la complicità e il segreto come inevitabile attesa e la nostalgia si intrappola tra ciò che è stato già un’ora prima.
Io non ho bisogno di essere capito o di essere compreso.
Ho me stesso. L’amore io lo vivo come l’eterno che si nutre di infinito.
Con te ho sbagliato. Troppo ti ho amata e amandoti ho rinunciato all’amore pienezza vivendo il rischio e pensando ad un infinito. Troppo ti ho amata per non saper raccogliere in una assenza le tue distanze e i tuoi ripensamenti sino a viverti in alcune situazioni di tua debolezza o di complessi di non so cosa.
Ho voluto perdonarmi, senza perdonartelo perché sai bene cosa è per me il perdono, di non averti lasciata e allontanata, immediatamente, quando, in un momento di ira o di ripensamenti, o di noia mi hai sussurrato “…non ti amo più” chiedendomi scusa il giorno dopo, dicendo di essere esasperata dalla mia gelosia. Ricordi?
Io non dimentico.
Bugie. Questo, sì, non me lo perdono. La nostra storia sarebbe dovuta finire in quel momento. Eppure siamo andati avanti per quasi un anno ancora. Un anno ancora con una intensità di forti passioni, amanti noi esasperati a volte, e poi di distacchi sino ad oggi che mi hai scritto, come se fosse un grido, per ben due volte, proprio mentre ti cercavo e ti ho cercata e ti ho detto “Ti voglio”, una parola. per ben due volte, ripeto, “Smettila!”.
Di cosa dovrei smetterla? Di cosa avrei dovuto smetterla? Di parlati, di cercarti, di essere insistente? Ma sì, la smetto. Tu mi hai chiesto di smetterla, come se avessi tra le mani un elastico che viene lanciato con palline di piombo, ed io sono disposto a smetterla, a lanciare questo elastico e lo faccio, e sono io che ora non ho alcuna intenzione di incontrarti e di capire le tue vite, le tue giustificazioni, i tuoi stati d’animo. Non voglio più entrare nel tuo esistere. Non mi interessa più essere comprensivo. L’amore non conosce comprensione ma passione. Per me, ora.
Impossessati della tua vita. Rimpossessati della tua vita e della tua storia. È ciò che vuoi. Troppo ti ho dato perché troppo ti ho amata. Ora non mi riprendo nulla, quello che ho mi appartiene, ma è un altro discorso. Non mi permetto neppure di dirti che mi hai ferito. Sarebbe aprire un discorso e neppure un discorso voglio più che si possa aprire.
Una volta sarebbe stato così. Le tue ferite non mi scalfiscono, ma io sono distante da te e tu non mi appartieni proprio, è bastato poco, sì pochissimo, perché chi sa di appartenere non ha il comportamento che hai avuto tu, non si stringe nelle parole che tu hai pronunciato con rabbia, non ha gli atteggiamenti che tu hai avuto in questi mesi, in queste settimane, in questi giorni.
Qui finisce! Non ho rimpianti. Mai avuti nella mia vita, anche nei momenti più tristi.
Non sono stanco e tanto meno stufo del tuo modo d’essere. Non voglio più essere oggetto dei tuoi spazi e nei tuoi spazi. Non sono uno spazio tra i tuoi spazi che reggi.
“…devo trovare uno spazio per incontrarci tra i tanti spazi occupati…”, mi hai detto un bel giorno…
Ed è qui che ti sei sbagliata e ti sbagli. È qui che ti sei sbagliata cercando in me non so cosa…. Io non sono uno spazio. Non pretendo altro, ma non sono uno spazio tra gli altri spazi. Ho sempre fatto in modo che il fiume passasse. Certo, per amore. Ma l’amore ha sempre un limite. Ed io ora non voglio andare oltre quel “Smettila”, che tu mi hai scritto per due volte.
La smetto. Non ti cerco, non mi raccolgo nelle nostalgie, mi dispiace che sia finita con una parola e un linguaggio orribile nel mio vivere la vita come estetica. La fine non conosce eleganza? Ho sempre saputo che l’estetica te la porti dentro e non ci sono più motivi per chiarire, spiegare, giustificare… Cosa, d’altronde?
Io, ripeto, mi rimprovero di non aver spezzato il filo quando tu per telefono mi hai pronunciato il “non ti amo più”… e sono stato al tuo gioco, intrecciandomi al tuo gioco, facendo il tuo gioco in una serata che aveva tutti i contorni di uno scenario in cui il successivo silenzio sarebbe potuto essere il trionfo della morte di un amore… Non hanno più senso, in questo mio preciso percorrere, le vie della confessione e questa mia confessione non ha maschere, ma il mio volto, come sempre perché come sempre non è stata la maschera a specchiarsi nel doppio, ma è stato il mio volto ad affrontare il tutto delle non verità e il contrario delle finzioni.
Questa storia finisce qui!
Con la delusione, forse? Con la provvisorietà del nulla, non so. Con la ricchezza del tutto, certo sì! Ma dovrei usare le metafore, per dare un orizzonte alla “ricchezza”, e so di essere bravo nelle metafore, tanto bravo da non metterle in pratica, ora, nella storia nostra finita senza bellezza. Le storie finite non hanno bellezza…
Il mio Pavese mi ha insegnato che ci saranno altri giorni e risvegli…
… Amanti noi!.
Noi amanti nel mistero dei segreti. Come quelli di Magritte. Non avrei immaginato che avresti potuto pronunciare quelle parole dopo le parole di un anno prima…
Basta, non voglio ripetermi.
Se tu mi hai amato, lo so e lo sai, ma l’amore non è trascrizione di un testamento per sempre…perché la vita è indefinibile, o forse è semplicemente la vita che noi rendiamo indefinibile… o consideriamo tale…
Ti consegno al silenzio! Non alla malinconia.
Se il tuo amore c’è stato non ha saputo chiudere in bellezza.
Scende il silenzio!
Pierfranco Bruni