Fu qualche tempo fa che ci incontrammo. Al premio Strega. Puntalissimi. Troia Elena e Nessuno erano i nostri temi. L’ulissimo che intrecciata tutta la nostra esistenza.
La Grecitá tra il mito e la filosofia oltre la prima avventura chiamata Bellavista. Un vero scrittore moderno che non aveva mai dimenticato quella classicità in cui la mediterraneitá era l’incipit di un esistere nella tradizione delle forme, dei costumi e dei linguaggi.
Il mio amico, caro in una fase della nostra vita, quella grisiana, è partito oltre la profezia. Ci penseranno gli dei ad accompagnarlo tra gli archetipi e la sua Napoli rimasta sempre a Santa Lucia.
Luciano De Crescenzo non c’è più. Era nato a Napoli nel 1928. Morto a Roma il 18 luglio di quest’anno. Tutto possiamo dire su Luciano. Tanto. Il suo costante interrogarsi sul concetto di dubbio. La presenza di Elena. Il Bellavista che parlò come la saggezza che viveva dentro la sua ironia.
Sarà il tempo a dare ragione dello scrittore esperto di ingegneria idraulica che di occupò ben presto di linguaggi. Dalla letteratura al fare cinema. Dalla recita dei morti Troiani a Socrate. Dall’invincibile inquietudine del mondo moderno alla malattia vissuta fino all’ultimo come un destino legato ai studi filosofici sulla temperie greca – ellenica sino a scavare nella complessità della realtà medioevale.
Nel cerchio infinito il dare e l’essere degli Dei che lo hanno sempre accompagnato. Uno scrittore che ha cercato nella filosofia la tradizione di un intreccio tra l’ironia napoletana e gli epicentri dei mari di Ulisse ed Enea con al centro le donne. Infatti nei suoi libri, non solo in quello dedicato ad Elena, la donna ha sempre occupato un punto centrale tra il linguaggio è l’interrogativo sulla morte. Ha fatto della sua scrittura un parlare con il quotidiano fino a toccare la comunicazione internitizzata.
Uno sguardo impeccabile con quei suoi occhi di mare calmo, sereno, e rassegnato. Come gli antichi saggi che conoscono il tempo della vita è il tempo della fine.
Si confessa senza preamboli nella sua ultima autobiografia, nella quale scava nel suo esistere nelle città. Bellavista ha dato la notorietà. Ma era scrittore che si è confrontato con la macchina da presa, con il recitare, con la musica popolare napoletana.
Napoli nell’anima e forse Milano nella sua storia come Roma nel suo vivere. I suoi testi sulla filosofia greca hanno insegnato a comprendere la grecitá profonda oltre l’accademismo.
È riuscito a penetrare un ellenismo filosofico che è giunto addirittura sino a Kant. Ma è rimasto sempre uno scrittore nella filosofia intrecciando i dati metafisici con le metafore. La sua scrittore è stata una costante ironia dentro le metafore. Siamo tutti nel vissuto meridionali. Diceva spesso.
Ma chi era Bellavista? Un nuovo Socrate tra le vie di Napoli. A Socrate dedica un libro seducente. Come agli eroi agli dei d’amore di guerra di bellezza di profezia. Riusciva a cogliere sempre la bellezza. Sia nella scrittura che nel vocabolario orale.
Con quella sua cadenza napoletana sapeva vivere l’eleganza in un vestito bianco con cappello. La canzone napoletana era una eredità non solo del linguaggio ma della infanzia. Fa parlare Ulisse nel viaggio dei mari e ricostruisce il fuoco di Troia come la consegna di un indovino.
Uno scrittore unico e originale nella tradizione mediterranea in cui la filosofia non la si cerca, ma la si vive nella quotidianità. Passo lento e paziente diceva che i problemi è l’uomo a crearseli ma deve avere la percezione di risolverli senza lasciarsi precipitare nella tragedia.
Luciano De Crescenzo non è stato soltanto uno scrittore. Si è servito della letteratura per non far dimenticare la filosofia. I miti e gli dei, gli eroi e i naviganti greci e medioevali si sono imbarcati sulla sua vela e viaggiano.
Nella nostra esistenza hanno tratteggiato un modello. La pazienza è una saggezza “saggia”. La letteratura ha anche questo involontario percorso. In De Crescenzo tutto ciò si abita. Lo scrittore che non ha mai abbandonato la filosofia.
Pierfranco Bruni