lunedì 25 Novembre, 2024 - 2:15:21

E Quaremma filava, e filava la lana

Ciao io sono Quaremma e arrivo subito dopo il giorno delle Ceneri quando viene bruciato quell’impiastro di Carniali mio marito, dopo che si è strafocato e che ha bevuto come un vichingo per una settimana intera tra travestimenti, scherzi e triccheballacche e carri allegorici con la musica a palla, con i temi sociali di turno e i faccioni dei mascheroni giganti in cartapesta che girano che ti rigirano e con i coriandoli e con i balletti sincronizzati che io poi, dopo na certa, non riesco più a seguire e mi lancio nel free style, si avete capito bene, che pure a me piace fare baldoria, che vi credete! Che qua a lui lo fanno sempre giovane e pimpante come un pupazzo e a me sempre come una vecchia baldracca che paro proprio na Quaremma!

Quaremma e Carniali

Noi siamo due pupazzi di paglia, ogni anno ci costruiscono con la santa pazienza e ci appendono per strada da palo a palo o tra due abitazioni o ai crocicchi delle vie. Il Mercoledì delle Ceneri se ne parte Carniali che muore perché ha mangiato così tanto da scoppiare e viene bruciato col fuoco che simboleggia la fine dell’Inverno e l’inizio della Primavera.
Me medesima invece, Quaremma, arrivo il giorno dopo le Ceneri e rimango per 40 giorni fino alla Pasqua.
Perché 40 giorni? Perché secondo la Bibbia quaranta furono i giorni in cui avevano digiunato Mosè, Elia e il Cristo, e quaranta furono i giorni del Diluvio universale, periodo di purificazione. La Quaresima fu adottata in Oriente nel IV secolo e dalla Chiesa di Roma a partire dal 384, e comincia da allora con il rito delle Ceneri (Marina Cepeda Fuentes). Ma non tutti sanno che quelle Ceneri si devono ottenere dai rami di olivo benedetti la domenica delle Palme dell’anno passato, che mi ricordo che quando ero piccola poi ce le mettevano in testa e ce ne ritornavamo a casa con i capelli tutti intufati e il prete ci diceva la fatidica frase: Ricordati che polvere sei e polvere ritornerai, che a me mi veniva sempre di rispondere come a Troisi: Si, mò melo segno!

Ritornando a me, dicevo che mi fanno sempre brutta, vestita da vecchia che sembro una strega, vestita male e sempre di colore nero e con il capo coperto da un fazzoletto, nero pure quello, in segno di lutto sempre per quel Carniali di mio marito.. Ma io dico, un po’ più di stile, basta poco che ci vuole, macchè niente, alla fine me ne esco sempre come una malombra, tutta tappezzata di toppe, e con la faccia incavolata, che poi mi hanno spiegato che mi devono per forza acconciare così per trovare un modo quasi sia per esorcizzare la paura delle carestie, che molto spesso cadono di marzo e aprile, la paura della morte, delle malattie e anche il periodo di penitenza e di trattenimento perché si entra in

Mò vi racconto come mi addobbano che ci sono degli oggetti che non devono mancare mai mai: allora, all’altezza della cinta mi appendono un’arancia amara, una marangia, o una patata o una melograna che porta sempre fortuna, nella quale conficcano sette penne di gallina, che praticamente sono le sette settimane che vanno dal mercoledì delle Ceneri alla domenica di Pasqua. Ogni settimana che passa in teoria mi deve essere tolta una penna.

Tra le mani invece, e qui viene il bello, reggo un fuso e una conocchia, cioè la lana da filare, simboli del tempo che trascorre, e divento la trasformazione del mito pagano delle tre Parche e divento Cloto, che era la filatrice della vita degli uomini.

Le tre Moire, Lachesi, Cloto e Atropo, Le filatrici del filo della vita

Ma chi sono ste Parche? Dette anche Moire, sono le figlie di Giove e Temi la Dea della Giustizia, e sono le divinità che stabiliscono il destino di noi uomini. Sono ricordate come vecchie tessitrici scorbutiche o come oscure fanciulle, e si chiamano Clòto, che sarei io che mi hanno messa a filare il filo della vita, poi c’è Làchesi che dispensa i destini, e ne assegna uno a ciascuno stabilendone anche la durata! e alla fine c’è lei, la più cattiva, Àtropo che, quando le gira la testa, prende e taglia il filo della vita quando decide che è arrivata l’ora e Amen! Sono, anzi siamo rigide e severe, tanto che le nostre decisioni sono immutabili: neppure gli dèi possono cambiarle. Veniamo chiamate anche Fatae, cioè coloro che presiedono al Fato. Ecco perché a volte mi sento chiamare Ah Fata! Poi guardo giù e non vedo mai nessuno.

Le Tre Parche, particolare dal Trionfo della Morte, arazzo fiammingo, 1520 ca.

Quando la Quaresima finisce, il filo da tessere ormai si è esaurito, le penne sono terminate e l’arancia amara è diventata secca, a mezzogiorno del Sabato Santo, momento in cui fino alla metà degli anni ’50 del 1900 si celebrava la Resurrezione, mi prendono o insomma prendono quel che è rimasto del mio pupazzo, dopo tutte le intemperie che mi sono prese stando appesa ad un filo e mi bruciano anche a me nel fuoco che segna la rinascita e l’inizio della salvezza e della purificazione, tra urla e grida di divertimento che finalmente la pallosa penitenza è bella che finita!

Jenne Marasco

 

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Notizie su Jenne Marasco

Jenne Marasco
Jenne Marasco nata a Sava dove tutt’ora risiede. Laureata in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Università di Lecce, Indirizzo Storico Artistico. Ha conseguito la maturità scientifica al Liceo De Sancits Galilei di Manduria. Ha lavorato in ambito culturale per Eventi e Festival di Cinema occupandosi di Comunicazione, Ufficio Stampa, Organizzazione, Recensioni di Cinema e di Storia del Territorio. Ha collaborato alla realizzazione di documentari su personaggi di rilievo come il poeti e artisti salentini, e su tematiche storiche dedicate alla memoria. Ha collaborato come assistente alla regia al documentario “Viviamo in un incantesimo” (omaggio a Vittorio Bodini 2014). Ama molto leggere ha la grande passione della scrittura.

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