È proprio vero che quando muore un amico un tratto del viaggio si interrompe. Un amico tra la condivisione dei valori e la vitalità della professione. Si interrompe e i ricordi si attorcigliano intorno al cuore come corde di luna che feriscono il tempo. Il tempo drammatico che si intreccia tra il passato e il presente. Non sono a Taranto. Ho appreso una notizia dolorante e tragica.
Il giornalista Angelo Caputo è morto. Uso la parola terribile: morto. Una semantica che non vorremmo mai pronunciare ma con la quale viviamo, anzi conviviamo. Era più piccolo di tre anni. Più giovane. Ma l’età è appunto un tempo che non si incentra tra il vivere e il morire. Soprattutto in questi destini di esistenza. Non solo giornalista tout court.
Uomo di forte formazione culturale. Cresciuto accanto a un padre che aveva come riferimento la tradizione, la ritualità, l’antropologia della festa e della religiosità. Formatosi in un contesto in cui il giornalismo era portare la notizia tra Video Levante e Studio 100. Due connotazioni forti nella città dei mari, dei viaggi e dei ritorni. Questa città immensa che è Taranto.
Molti anni di condivisioni tra libri e modelli culturali, tra l’eredità paterna della Settimana di Pasqua e i processi di lettura del territorio. Molti incontri coordinati. Uno tra i tanti. Un Giovanni Pascoli sul quale si era soffermato con una bella discussione portando sulla scena i suoi anni scolastici. L’eleganza era il suo stile. Il parlare piano la sua nobiltà. L’osservare una sua virtù. Il sorriso gentile il suo carisma.
La sua disponibilità una sua professionalità. La sua capacità di sintesi la sua intelligenza giornalistica. Il suo sguardo acuto la consapevolezza delle conoscenze e della ricerca. Un amico. Certo. Ma un uomo che non conosceva la resa e l’incertezza. Il ricercare e il non arrendersi erano due sentieri inderogabili. Era nato il 1958. Una profondità d’anima che è segna il vuoto. Non solo mio ma di una città e di un modello di fare giornalismo filtrando sempre la parola con la bellezza dei linguaggi. Una assenza. Un abbraccio ad ogni incontro.
Pierfranco Bruni