Ennio Morricone è una “epopea”. Ha attraversato il nostro tempo con il suono registrando incisi che restano epoche di generazioni di cultura tra la musica, la canzone, il cinema e i personaggi. Spesso le musiche dei film hanno definito i personaggi. Si pensi a “C’era una volta in America” o “Per un pugno di dollari” sino a “Malena”. Ha definito la storia all’interno dei film ma soprattutto ha delineato lo spazio – tempo dei personaggi rendendoli protagonisti nell’immaginario.
Con le colonne sonore ha misurato il tempo e lo spazio tra un’azione e un’altra. Da vero direttore d’orchestra ha diretto il movimento tra le azioni e le pause. Ha creato un film dentro il film. Quando la cultura musicale diventa cultura tout court. È stato così. La musica è stata una visione sacra e alchemica parimenti. Intoccabile e illuminante. Si pensi al maestoso “Il buono, il brutto e il cattivo” che ha dato vita al Concerto del 10 novembre del 2007 in una Venezia incantata, “Concerto a Venezia”. Aveva perfettamente ragione quando affermava che: “La musica esige che prima si guardi dentro se stessi, poi che si esprima quanto elaborato nella partitura e nell’esecuzione”.
Un dato prettamente metafisico che coinvolge non soltanto il dato musicale in sé, ma l’intera dimensione del rapporto tra cultura e spiritualità della magia delle note. Ciò è avvalorato da un altro suo pensiero in cui si sottolinea: “Quando scrivo nessuno mi può aiutare, perché chi scrive ha qualcosa di personale da dire”.
La musica ci ha insegnato che è anche coerenza. Nasce dalla magia e dalla propria interiorità. Più volte comparava la musica all’amore. Non nel senso che è amore. Ma che va vissuta come si vive l’amore. Ovvero: “Nell’amore come nell’arte la costanza è tutto. Non so se esistano il colpo di fulmine, o l’intuizione soprannaturale. So che esistono la tenuta, la coerenza, la serietà, la durata”.
Una costante proustiana ha sempre guidato il suo pensiero e la sua mano. Il pensiero, l’alchimia, non accompagna la mano, bensì la comanda perchè La musica esiste solo se viene eseguita, prende corpo nella mente di chi ascolta”.
Perché proustiana? Perché Morricone ha sempre seguito una partitura spazio – temporale. Non sul piano ritmico, ma proprio sul piano scenico. O meglio su quello estetico – letterario. Come uno scrittore o un poeta. Dentro il suo esistere musicale la nota era sempre una parola. Un linguaggio nella coerenza, appunto, del suo tessere storie. Storie senza la necessità della cronaca. Infatti la sua musica è una vera epopea nel senso che ha scavato nelle emozioni, nella sensibilità, nei sentimenti attraverso la percezione di una vera ontologia dell’ascolto.
Amava profondamente la Sicilia. Per diversi motivi. Tra questi ci sono i veri radicamenti primitivi dell’essere suono. Prima di creare musica bisogna vivere il suono nella sua caverna dell’esistenza. La Sicilia è la cavernosità platonica del suono delle origini che danno il senso all’incipit antropologica del canto stesso. Un fatto che ha sempre affermato in modo particolare anche quando ha dichiarato: “Ho sposato una siciliana, il che mi ha permesso di conoscere da vicino la sicilianità. Ma grazie all’arte di Tornatore ho avuto la conferma delle mie sensazioni su questa terra che è bella anche per le sue contraddizioni oltre che per la sua umanità. Quello siciliano è un popolo eletto nei migliori casi e nei peggiori. E credo che a prevalere sia certamente il suo lato positivo”.
Ha dato vita non ad un genere. Ma egli stesso ha generato la creatività. I diversi registi con i quali ha lavorato, da Sergio Leone a Tornatore, hanno letto in lui l’artista che aveva, ha, la capacità di rendere inclusive le scene attraverso una immediata intuizione dei contro campi, lunghi o breve, in una atmosfera che dava compitezza al senso di ciò che avveniva sulla scena stessa. Perché questo mi sono chiesto in molte occasioni.
La risposta mi è stata fornita da Ennio stesso nel momento in cui ha cesellato: “La musica poi è intangibile, non ha sembianze, è come un sogno: esiste solo se viene eseguita, prende corpo nella mente di chi ascolta. Non è come la poesia, che non necessita di interpretazione perché le parole hanno un loro significato. La musica può essere interpretata in vario modo. Una composizione per una scena di guerra può essere intesa anche come brano che accompagna una danza frenetica”.
È stato anche autore di splendidi brani di canzone durante gli anni Sessanta. Si pensi tra i tanti a “Sapore di sale”, “Il mondo”, “Se telefonando”. Contribuendo notevolmente al successo di Eduardo Vianello.
La sua musica e la sua statura rendono un’Epoca e raccolgono generazioni intorno al suo primo tocco di nota. Una epopea illuminante, dunque, nella proustiana memoria. Era nato il 10 novembre del 1928 a Roma. Muore, a Roma, il 6 luglio del 2020. Non voglio tracciare biografia o bibliografie. Lo faranno altri. cerco di andare oltre con quella sua frase lapidaria che dice: “Non scrivo per il successo. Scrivo per me”.
Pierfranco Bruni