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Erbe spontanee: Ruta graveolens, tradizione, mito, magia, medicina popolare

 

Pianta tipica e originaria dell’ Europa meridionale, un tempo era assai più diffusa allo stato spontaneo nella nostra zona.

Martino Marinosci, botanico martinese (1876-1866) la riporta tra le piante tipiche della flora salentina e si sofferma nella descrizione delle sue proprietà emmenagoghe, antiisteriche, sudorifere, abortive. L’aceto di Ruta e Canfora, scrive lo studioso, è efficace nel era utilizzato per contrastare i deliqui (perdita dei sensi), il tifo, i mal di denti; le fumigazioni a base di Ruta, sono utili come rimedio alle malattie della vista.[1]

Era ritenuta, in Salento come altrove, pianta dalle molteplici virtù e si impiegava per svariati scopi, come testimoniano i detti “La ruta ogni male stuta”, “la ruta sette mali stuta”.[2]

L’ infuso di foglie era utilizzato per ottenere azione antispasmodica, antiisterica, antinervosa: la ricetta utilizzata prevedeva l’impiego di “gr. 2 di foglie macerate per 1 ora in gr. 100 d’ acqua bollente”. [3] Si utilizzava inoltre per calmare i vermi intestinali, con cataplasmi posti sull’addome; si curava l’otite con un infuso mescolato nel latte.[4] Dalla macerazione delle foglie in olio di oliva si otteneva un unguento antireumatico; con lo stesso unguento, ma aggiungendovi un pizzico di zolfo e bucce di limone, veniva curata la scabbia.[5]

Il decotto, assunto in piccole dosi era utilizzato per facilitare la digestione e il flusso mestruale; ad alte dosi era utilizzato a scopi abortivi (in quanto ha l’effetto di provocare contrazioni uterine) o anche veleniferi (infiammazione dell’apparato gastroenterico e genitale). [6]

Essiccata e polverizzata, la pianta era utilizzata per disinfestare i giacigli degli animali. [7]

Anche a causa della forma a croce del fiore aperto, si credeva che avesse la capacità di tenere lontani i demoni e il malocchio.[8] Questa credenza ha, in ogni caso, radici antichissime, difatti già Aristotele ne raccomanda l’uso contro gli spiriti e contro gli incantesimi. Nel Medioevo era pratica usuale depositare corone di ruta sulle tombe per allontanare gli spiriti maligni. Nel Rinascimento, questa pianta veniva chiamata Herba de fuga demonis.[9] Una usanza tipicamente abruzzese della ruta come erba “anti-streghe” era quella di cucire le foglie di ruta in un borsellino da portare nascosto nel seno: erano ritenute ancor più efficaci, le foglie su cui una farfalla avesse depositato le uova.[10]

In ambito magico-medicinale, era raccomandata contro l’epilessia e contro la vertigine: si usava appenderla al collo pronunciando una formula con la quale si rinunciava al diavolo e si invocava Gesù (secondo il Cattabiani questa usanza ha radici pagane e il rito qui descritto è un esempio di cristianizzazione del rituale più antico).[11]

La Ruta era utilizzata anche come deterrente per tener lontani i topi, in quanto si riteneva che non ne sopportassero l’odore.[12]

Era molto utilizzata come antidoto per il veleno dei serpenti e di altri animali. Anche questo tipo di impiego risale a tradizione molto antica, e Plinio la cita come rimedio sia al veleno dei serpenti che a punture di scorpione, di ragno, di ape, di calabrone e di vespa; inoltre, contro la cantaride e la salamandra, e contro il morso dei cani rabbiosi. A questo scopo, fornisce indicazioni di utilizzo del succo di ruta bevuto con vino “in dose di un acetabolo” (recipiente per l’aceto, e unità di misura pari a lt. 0,068); applicazioni di foglie tritate, oppure masticate, in impacco di miele e sale, oppure bollite con aceto e pepe. Plinio suggerisce l’impiego della ruta anche a livello preventivo rispetto alle aggressioni di animali velenosi:

“si dice che coloro che si siano cosparsi di succo e anche coloro che portano su di sé la ruta non vengano aggrediti da questi animali dannosi, e che i serpenti, se si brucia la ruta, ne fuggono le esalazioni”. [13]

Pare in effetti, da osservazioni condotte anche recentemente, che le vipere fuggano davvero questa pianta, forse per l’odore a loro particolarmente sgradevole.[14]

Forse proprio a causa di questa sua “capacità” di tener lontani gli animali considerati velenosi e di fungere da antidoto ai veleni, era utilizzata anche nei rituali del tarantismo. La Caggiano nel 1931 descrive un rituale nel tarantino, in cui è presente questa pianta:

tutte le comari offrono – in prestito s’intende – fazzoletti, scialli, sciarpe, sottane, tovaglie d’ogni colore, vasi di basilico, di cedrina, di menta, di ruta, specchi e gingilli ed infine un gran tino pieno d’acqua. L’ambiente viene così addobbato e quando tutto è pronto la morsicata, vestita di colori vistosi, sceglie a suo gusto nastri, fazzoletti, sciarpe, che le ricordano i colori della tarantola, e se ne adorna in attesa dei suonatori” [15]

Teriaca e Mitridazio[16], antichi farmaci contenenti entrambi la Ruta, sono indicati dal Baglivi e dal Boccone come cure per il morso delle tarantole[17], e si ritrovano anche indicate in un manoscritto anonimo (risalente alla fine del XVII sec. o inizi XVIIII) che parla delle cure per i veleni di ragni e tarantole.[18]

Il Mattioli annovera la Ruta con l’ Aceto e la Ruta presa col vino tra i rimedi semplici indicati anche da Dioscoride per la cura dei morsi dei falangi in genere. Ruta Salvatica pesta, o bevuta nel vino, è indicata per i morsi delle scolopendre, degli scorpioni, delle vipere.[19]

La Ruta veniva utilizzata anche dagli esorcisti (decotta in acqua o tramite fumigazione) per liberare gli indemoniati; tuttavia, al pari di altre erbe magiche, risulta ambivalente negli impieghi, come vedremo nelle descrizioni a seguire.

Negli Atti del Tribunale del Santo Officio di Oria si legge di una unzione che causa la morte di una donna. In questa unzione sono presenti la Ruta ed altre erbe non specificate. Petronilla Carbone racconta agli inquisitori di una fattura di morte procurata dalla masciàra Antonella Teppi, di Torre S. Susanna, nei confronti di sua sorella Rosata Carbone (fattura confermata dall’ arciprete di Torre S. Susanna, il quale tenta invano di guarire la donna affatturata con la lettura degli Evangeli). La masciàra viene pregata di far guarire la Carbone da una fattura subita in precedenza (e forse operata, anche quella, dalla stessa Teppi), ma il risultato è un aggravamento della donna, sino alla morte :

Un giorno io con mia sorella Rosata ce la chiamammo dicendoli per amor di Dio che vedesse di farla guarire ed essa rispose che non poteva fare niente, e pregatala molte volte, disse che vedrà di aggiustarla, e così se ne andò, la sera notte poi verso hore due venne in casa mia e disse che io dovesse abbuscare un pignatino di oglio da nove persone, sotto pretesto che doveva allumare la lampa alla Madonna ed io per desiderio della salute della suddetta mia sorella buon anima, l’andai a trovare con patto che non dovesse parlare a niuno né all’altra mia sorella né anche a mia madre e buscato che ebbi l’oglio, essa Antonella se lo portò in sua casa e tenutolo ventiquattro hore me lo portò un terzo di quello che era con molte erbe, che vi aveva poste dentro, le quali non conosco altro che la Ruta e mi disse che ne ungesse detta mia sorella à tutte le giunture, e le spalle, e alli nudi delle mani e questo lo doveva fare per nove giorni, tre volte al giorno. […] Cominciò ad andar dal corpo quattro capelli biondi, e ristinco, e nell’altra unzione ne andò sei, à mezzogiorno poi andò un ciciro, e siccome io la ungeva così essa ancora faceva piaghe in quella parte dove toccava l’oglio”. [20]

Dopo pochi giorni, Rosata muore in preda a dolori e piaghe procurate dall’unguento. Secondo alcune testimonianze siciliane, la Ruta era utilizzata anche per un unguento che permetteva di volare: la mistura era preparata utilizzando olio d’oliva, Ruta, e il sangue di un uomo. [21]

L’ambivalenza della Ruta è tipica di altre erbe utilizzate a scopi magici: al tempo stesso veleno e farmaco, erba funesta ed erba benefica, era inoltre considerata afrodisiaca per le donne e anafrodisiaca per gli uomini.

Negli atti del processo di una strega bresciana, Benvegnuda Pincinella, ricompare la Ruta utilizzata per una liturgia di guarigione, che si apre proprio con una invocazione a “Madonna Ruta” e con una serie di preghiere rivolte all’ erba.[22]

Nella sua opera “Ricettario delle streghe”, il tossicologo Enrico Malizia raccoglie una selezione di antiche ricette da formulari, manoscritti e testi che vanno dal 1400 agli inizi del 1800. In tale ricettario, essenza di ruta insieme a: cinnamomo, radice di eringio, radice di pastinaca agreste, mirra, essenza di prezzemolo, polvere di zafferano mescolati con sciroppo di artemisia, fanno parte di un elettuario per favorire le mestruazioni.[23] Una variante di questo elettuario comprende, oltre a essenza di ruta, cinnamomo e mirra: succo di eringio, seme di nigella, essenza di calendula, succo di salicornia, succo di puleggio, essenza di sabina.[24]

In un ricettario marchigiano del ‘500, di autore anonimo, sono descritte le varie virtù dell’ olio di ruta insieme alla sua preparazione: “recipe frondi di ruta e ponile in acqua in tamburlano, e duecento libre di frondi farà un’oncia d’olio”.[25] Successivamente sono indicati gli impieghi dell’olio così preparato: una goccia, è indicata per sanare infallibilmente “qualsivoglia puntura o morsicatura d’animali”. L’olio è poi indicato anche come rimedio contro la pleurite e contro dolori reumatici vari. “Una goccia” vale anche a sanare congiuntiviti e a tonificare la vista. Due gocce messe nell’orecchio, a sanare il ronzio e ridare vigore all’udito. Inoltre, l’olio di ruta è consigliato come rimedio alla cattiva circolazione del sangue. Ancora, nel suddetto ricettario, ritrovato dal Pezzella, l’olio di ruta va unto sul grembo della gestante per ridare al feto la giusta posizione nel grembo.[26]

Il succo ottenuto dalla spremitura di una libbra di ruta insieme a una libbra di scordio, una di capraria e una di cedro insieme a un’oncia di teriaca erano utilizzati, dopo distillazione, contro febbri, tifo e peste.[27]

L’ “erba ruta ben polverizzata” deve essere data da bere inoltre come rimedio “a chi perde l’intelletto”.[28]

Ungere i piedi “con l’ erba ruta intrisa d’olio” serve “a non stancarti camminando a piedi”.[29]

Ruta ben tritata con miele, serviva come applicazione su ginocchi infiammati.[30]

La ruta è impiegata anche in un procedimento “per conoscere se una persona è affatturata”: si dovevano impiegare aceto, salvia, ruta, savina perforata (valeriana rossa) e una palma benedetta: “falle friggere in olio comune e fallo benedire et onge il capo del patiente e vedrai l’effetto”.[31]

Contro le fatture, si riteneva che la ruta, insieme a succo d’assenzio, funzionasse anche a livello preventivo, difatti “per non essere stregato, farai benedire il sugo d’assenso e ruta e lo darai a bevere ad alcuno che non potrà mai essere ammaliato”.[32]

La Ruta è anche ingrediente dell’ Aceto dei quattro ladroni, ricetta contro-veleno della peste, che la tradizione vuole originaria della Francia (in un periodo tra il XIV e il XVIII secolo) e che si estese in tutta Europa. Era composta (in una delle sue numerose varianti) di aceto, menta, ruta, lavanda, aglio, rosmarino.[33]

Una raffigurazione della Ruta dai testi del Mattioli

Il medico e ricercatore ottocentesco Paolo Mantegazza descrive così la Ruta:

Pianta del mezzodì dell’Europa coltivata negli orti, condimento ricercatissimo degli antichi, che le attribuivano infinite virtù e fra le altre quella di domare le passioni erotiche. Ora è piuttosto rimedio popolare contro i vermi, l’epilessia e le convulsioni che un vero alimento nervoso. Va però messo fra questi, perchè in Germania si mangia col pane come stomachico e fra noi serve ad aromatizzare l’acquavite”.[34]

Nel medioevo, la scuola medica salernitana affermava che “Giova la ruta agli occhi, fa la vista assai acuta, e scaccia la caligine. Nell’uom Venere affredda, e nella Donna assai l’accende, e fa l’ingegno astuto. E affinchè non vi dian le pulci tedio, ella, o donne, è ottimo rimedio”.

Il Cattabiani riferisce di un antico detto “Ruta libidinem in viris extinguit, auget in foeminis” (la ruta estingue la libido negli uomini, e l’aumenta nelle donne).[35]

Nella antica Roma, i semi della Ruta erano impiegati per la preparazione di una bevanda soporifera a base di oppio.

Nel mito, la Ruta è legata ad Afrodite e a Medea attraverso una storia singolare e dai risvolti cruenti: poiché le donne dell’ isola di Lemno avevano trascurato di omaggiare Afrodite, la Dea si vendicò condannandole ad emanare un odore ripugnante (simile a quello della Ruta): così, gli uomini dovettero abbandonare le loro spose, ma supplirono a tale mancanza procurandosi delle concubine straniere. Le donne tradite uccisero così tutti gli uomini. Un’altra versione del mito racconta della maga Medea protagonista del singolare incantesimo: navigando difatti al largo dell’ isola di Lemno insieme agli Argonauti, fu spinta da un desiderio di vendetta nei confronti di Issipile, una principessa di Lemno, che aveva amato il suo Giasone. Così, Medea inquinò le acque del mare di Lemno con la Ruta, che infestò di maleodore le donne che vi si bagnavano.

Secondo alcuni botanici la Ruta graveolens è la mitica erba moly descritta da Omero nell’ Odissea[36] (altri l’hanno identificata nella Mandragora, altri ancora nell’ Allium victorialis).

Per ulteriori approfondimenti, si veda anche il mio articolo dal titolo “Gli impieghi della Ruta tra medicina popolare e magia” apparso sul portale di Fondazione Terra d’Otranto.[37]

Gianfranco Mele

  1. Martino Marinosci, Flora Salentina compilata dal Dott. Martino Marinosci da Martina, Lecce, Tipografia Editrice Salentina, Vol. 1, pag. 208
  2. Giuseppe Cassano, Ràdeche vecchie Proverbi moti frasi indovinelli dialettali credenze e giochi popolari tarantini, Stab. Tipografico Ruggieri, Taranto, 1935 , pag. 21
  3. Antonio Costantini, Marosa Marcucci , Le erbe le pietre gli animali nei rimedi popolari del Salento , Congedo Editore, pag. 117
  4. Domenico Nardone, Nunzia Maria Ditonno, Santina Lamusta, Fave e favelle, le piante della Puglia peninsulare nelle voci dialettali in uso e di tradizione, centro di Studi salentini, Lecce, 2012, pag. 400
  5. Ibidem
  6. Ibidem
  7. Ibidem
  8. Ibidem
  9. Alfredo Cattabiani, Florario. Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Mondadori, 1996, ried. 2016, pag. 230
  10. Alfredo cattabiani pag. 230
  11. Alfredo Cattabiani, op. cit., pag. 232
  12. Domenico Nardone et al. op. cit., pag. 400
  13. Gaio Plinio Secondo, Naturalis Historia, XX, 132-133
  14. Alfredo Cattabiani, op. cit., pag. 231
  15. Anna Caggiano, La danza dei tarantolati nei dintorni di Taranto, in Folklore italiano: archivio trimestrale per la raccolta e lo studio delle tradizioni popolari, VI, 1931, pag. 72
  16. Antico rimedio a base di 20 foglie di ruta, sale, 2 noci e 2 fichi
  17. Paolo Boccone, Intorno la Tarantola della Puglia, in: Museo di Fisica e di Esperienze variato, e decorato di Osservazioni Naturali, Note Medicinali e Ragionamenti secondo i Princìpi de’ Moderni, Venezia, 1697, pag. 105
  18. A.A.V.V., Sulle tracce della taranta, CRSEC – Regione Puglia, 2000, pag. 57
  19. Pietro Andrea Mattioli, Discorsi nei sei libri di Dioscoride Pedacio Anazarbeo Della materia medicinale, Venezia, Pezzana, 1744, pp. 833-837
  20. Atti Curia di Oria, Sortilegi e stregonerie ai tempi di Monsignor Labanchi, denuncia contro Antonella Teppi di Torre S. Susanna, in data 19 maggio 1723, accusata di essere masciàra, ff. 6-7
  21. Macrina Marilena Maffei, La danza delle streghe: cunti e credenze dell’arcipelago eoliano, Armando Editore, 2008, pag. 143
  22. Erika Maderna, La ruta, erba di maghe e streghe. Usi magici da Medea a Benvegnuda Pincinella, marzo 2018, Wall Street International, Website
  23. Enrico Malizia, Ricettario delle streghe, Edizioni Mediterranee, 2003, pag. 203
  24. Enrico Malizia, op. cit., pag. 204
  25. Il tamburlano è un arnese in metallo che serve alla distillazione; “duecento libre di fronde” sta per sette chili di ramoscelli di ruta; un’oncia sta per circa 30 grammi
  26. Salvatore Pezzella, Magia delle erbe, vol. 1°, Edizioni Mediterranee, Roma, 1989 , pp. 30-31
  27. Salvatore Pezzella, Magia delle erbe, vol. 1 (cit.), pag. 71
  28. Salvatore Pezzella, Magia delle erbe, vol. 1 (cit.), pag. 65
  29. Salvatore Pezzella, Magia delle erbe, vol. 1 (cit.), pp. 90-91
  30. Salvatore Pezzella, Magia delle Erbe, vol. 1 (cit.), pag. 95
  31. Salvatore Pezzella, Magia delle erbe, vol. 2°, Edizioni Mediterranee, Roma, 1989, pp. 62-63
  32. Salvatore Pezzella, Magia delle erbe, vol. 2 (cit.), pp. 66-67
  33. Enrico Malizia, op. cit., pag. 184
  34. Paolo Mantegazza, “Quadri della natura umana – Feste ed ebbrezze”, 1871, Milano, Bernardoni Edit. ,Vol. II, pag. 660
  35. Alfredo Cattabiani, op. cit, pp. 232-233
  36. Alfredo Cattabiani, op. cit., pp. 228-229
  37. Gianfranco Mele, Gli impieghi della Ruta tra medicina popolare e magia, Fondazione Terra d’Otranto, sito web, maggio 2019
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Notizie su Gianfranco Mele

Gianfranco Mele
Sociologo, studioso di tradizioni popolari, etnografia e storia locale, si è occupato anche di tematiche sociali, ambiente, biodiversità. Ha pubblicato ricerche, articoli e saggi su riviste a carattere scientifico e divulgativo, quotidiani, periodici, libri, testate online. Sono apparsi suoi contributi nella collana Salute e Società edita da Franco Angeli, sulla rivista Il Delfino e la Mezzaluna e sul portale della Fondazione Terra d'Otranto, sulla rivista Altrove edita da S:I.S.S.C., sulle riviste telematiche Psychomedia, Cultura Salentina, sul Bollettino per le Farmacodipendenze e l' Alcolismo edito da Ministero della Salute – U.N.I.C.R.I., sulla rivista Terre del Primitivo, su vari organi di stampa, blog e siti web. Ha collaborato ad attività, studi, convegni e ricerche con S.I.S.S.C. - Società Italiana per lo Studio sugli Stati di Coscienza, Gruppo S.I.M.S. (Studio e Intervento Malattie Sociali), e vari altri enti, società scientifiche, gruppi di studio ed associazioni.

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