MARUGGIO – In occasione della Giornata internazionale delle donne, nata per ricordare sia le conquiste sociali, economiche e politiche, sia le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto in quasi tutte le parti del mondo, il Comune di Maruggio ha deciso di intitolare delle strade di Campomarino a delle donne speciali.
Si tratta di 18 traverse di via Leopardi dedicate a 18 donne: Madre Teresa di Calcutta, Anna Frank, Giuseppina Ghersi, Elisa Springer, Ilaria Alpi, Nilde Iotti, Matilde Serao, Annalisa Durante, Artemisia Gentileschi, Jolanda Crivelli, Silvia Ruotolo, Iolanda Dobrilla, Graziella Campagna, Norma Cossetto, Renata Fonte, Maria Montessori, Oriana Fallaci, Mia Martini.
L’iniziativa fortemente voluta dal vicesindaco e assessore ai Lavori Pubblici, Giovanni Maiorano insieme ai consiglieri comunali Maurizio Schirone e Antonella Friscini, rappresenta un modo “alternativo” e concreto per celebrare la Festa delle donne e per ricordare il fondamentale ruolo delle stesse nella società. Nomi noti e meno noti della violenza fatta sulle donne in periodo di guerra e dopo guerra. Queste donne vittime della ferocia nazista, comunista, camorrista e mafiosa.
Le schede biografiche e le loro storie da fonti internet (Treccani, il portale del sapere, Wikipedia, blog)
Madre Teresa di Calcutta, al secolo Anjezë Gonxhe Bojaxhiu [aˈɲɛzə ˈɡɔnʒɛ bɔjaˈʒu], per la Chiesa cattolica Santa Teresa di Calcutta per il culto tributatole, e spesso nota semplicemente come Madre Teresa (Skopje, 26 agosto 1910 – Calcutta, 5 settembre 1997), è stata una religiosa albanese naturalizzata indiana di fede cattolica, fondatrice della congregazione religiosa delle Missionarie della carità. Il suo lavoro instancabile tra le vittime della povertà di Calcutta l’ha resa una delle persone più famose al mondo e le valse numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Nobel per la Pace nel 1979. È stata proclamata beata da papa Giovanni Paolo II il 19 ottobre 2003 e santa da papa Francesco il 4 settembre 2016.
Giuseppina Ghersi, per molti, fino a qualche anno fa, questo cognome risultava sconosciuto e privo di qualsiasi collegamento ad eccezione di una copia di denuncia presentata alla Questura di Savona nel 1949. Giuseppina, una bambina di appena 13 anni, fu pestata, stuprata e giustiziata dai partigiani comunisti con l’accusa di essere al servizio del regime fascista. La famiglia Ghersi, che viveva a Savona e gestiva un negozio di ortofrutticola, non era neppure iscritta al Partito Fascista. Studentessa delle magistrali alla “Rossello” fu premiata direttamente da Mussolini per aver svolto con merito un concorso a tema. Questa la sua condanna. La mattina del 25 aprile 1945, Giuseppina fu sequestrata in viale Dante Alighieri, da tre partigiani comunisti, e portata nei locali della Scuola Media “GuidoBono” a Legino, adibito a Campo di Concentramento per i fascisti. Le tagliarono i capelli e le cosparsero la testa di vernice rossa. Fu pestata a sangue e seviziata per giorni, tutto questo sotto lo sguardo impietrito dei genitori, anche loro deportati e imprigionati. Il 30 aprile, Giuseppina, fu giustiziata con un colpo di pistola alla nuca e il suo corpo gettato, insieme ad altri, davanti al cimitero di Zinola.
Jolanda Crivelli, aveva solo 20 anni ed era la giovanissima vedova di un ufficiale del Battaglione M, ucciso a Bologna durante la guerra civile, in un agguato dei “sapisti” (costola della banda comunista dei gap). Il 26 aprile Jolanda Crivelli raggiunse Cesena, la sua città natale, per tornare dalla madre, che viveva sola. Immediatamente, come capitava in quei terribili giorni, fu riconosciuta e additata da suoi concittadini ad alcuni partigiani comunisti:”È una fascista, moglie di fascista!”. Percossa a sangue, torturata, verosimilmente violentata, denudata, fu trascinata per le strade di Cesena tra gli sputi della gente. Davanti alle carceri fu legata a un albero e fucilata. Il cadavere nudo, rimase per due giorni esposto a tutti come ammonimento per tutti i fascisti. Poi fu permesso alla madre di seppellirla. Non abbiamo altre notizie di questa sfortunata ed eroica ragazza né del suo giovane marito. Non esistono cifre certe sul numero delle ausiliarie e comunque delle donne fascista o presunte tali assassinate dai partigiani prima e dopo questo celebrato 25 aprile 1945. Alcune fonti parlano di circa mille donne uccise in quei mesi, tutte giovanissime, moltissime torturate e violentate prima di essere assassinate. La cifra si riferisce non solo alle impegnate politicamente o militarmente, ma anche figlie, mogli, madri di soldati della Repubblica Sociale, colpevoli solo di questo. E moltissime di loro sono rimaste per sempre senza nome, ingoiate dai meandri della storia.
Iolanda Dobrilla, poco si conosce delle origini familiari di Iolanda. Figlia di Mario Dobrilla, operaio e di Ines Pugliese.[1] frequenta il Liceo Combi di Capodistria, ma presto abbandona gli studi. Nel 1943 lascia la città natìa, forse per seguire un ufficiale del Regio Esercito destinato al sud. Nell’autunno dello stesso anno Iolanda è a Roma. Al liceo ha studiato tedesco, lingua che le permette di trovare un impiego presso il comando germanico di Velletri (RM). Rimasta isolata dopo un attacco aereo americano, nel dicembre 1943 la ragazza decide di tornare verso casa. La condizioni viarie dell’Italia del tempo rendevano difficili i collegamenti tra Nord e Sud. In prossimità di Terni, impossibilitata a proseguire il viaggio, è accolta dalla famiglia Papucci, ternani sfollati a Lugnola di Configni. La famiglia la accoglie e le presta soccorso. Tuttavia, decisa a fare ritorno a Capodistria, la giovane si rivolge alle colonne tedesche di passaggio chiedendo di essere trasportata verso il settentrione. La confidenza data ai militari della Wehrmacht e la conoscenza del tedesco fanno sorgere tra gli abitanti il sospetto di collaborazionismo. Il 23 aprile 1944 due partigiani della Banda Manni prelevano la Dobrilla. Stando alla ricostruzione degli storici Pietro Cappellari ed Enrico Carloni, Iolanda viene seviziata, violentata e uccisa con una bomba a mano modello ‘Balilla’.
Norma Cossetto, nata a S. Domenica di Visinada, nei pressi di Pola, nel 1943 era studentessa di Lettere all’Università di Padova e stava preparando la tesi di laurea sulla storia dell‘Istria con il Prof. Concetto Marchesi.
Il 26 settembre 1943, mentre girava in bicicletta per consultare archivi, in cerca di materiali per la sua ricerca, fu condotta via in motocicletta da un conoscente che le chiese se poteva andare con lui perché al comando la volevano per informazioni. Dapprima la arrestarono nella ex caserma dei carabinieri di Visionano, la invitarono a collaborare ma invano, allora decisero di liberarla perché tra quei guardiani improvvisati c’era qualcuno che conosceva. Ma dopo qualche giorno venne arrestata nuovamente. Rinchiusa nelle carceri di Parenzo, fu legata ad un tavolo e violentata ripetutamente da sedici aguzzini. Una donna che abitava lì vicino la sentiva implorare pietà, chiedere acqua, invocare la mamma.
Condannata a morte dal locale “tribunale del popolo”, fu condotta con altri ventisei su un camion fino all’orlo della foiba di Surani, dove fu nuovamente violentata, le furono recisi i seni, spezzate braccia e gambe e fu sottoposta ad ulteriori orrori prima di essere infoibata. Quando i Vigili del Fuoco di Pola la riesumarono pochi giorni dopo (la zona era stata nel frattempo occupata dai Tedeschi) il maresciallo Harzarich, che comandava il gruppo ed era un valido speleologo, scrisse: “Sceso nella voragine, fui scosso, alla luce violenta della mia lampada, da una visione irreale: stesa per terra con la testa appoggiata su un masso, con le braccia lungo i fianchi, quasi in riposo, nuda, giaceva una giovane donna. Era Norma Cossetto…”. Alcuni aguzzini furono arrestati e costretti a fare la veglia funebre al corpo di Norma e tre impazzirono. All’alba furono fucilati dai Tedeschi. Anni dopo, su indicazione del Prof. Marchesi, a Norma Cossetto fu conferita la laurea Honoris Causa dall’Università di Padova. Il Prof. Marchesi dichiarò: “Era caduta per l’italianità dell’Istria e meritava più di qualunque altro quel riconoscimento”
Elisa Springer, scrittrice austriaca naturalizzata italiana (Vienna 1918 – Matera 2004). Reduce dell’Olocausto, di famiglia ebraica di origine ungherese, dopo che, con l’annessione dell’Austria alla Germania, i suoi genitori e i suoi familiari furono catturati e deportati, nel 1940 è scappata in Italia. A Milano, città nella quale lavorava come traduttrice, è stata arrestata nel 1944 e deportata ad Auschwitz dove le venne tatuato il numero di matricola A-24020. È stata trasferita poi nel campo di concentramento di Bergen Belsen nel quale ha conosciuto A. Frank e poi a Terezin, e lì nel 1945 è stata liberata. Dal 1946 è tornata in Italia e ha vissuto per gran parte della sua vita a Manduria, in provincia di Taranto. Per cinquant’anni ha portato con sé i ricordi di quegli orrori per paura di non essere capita o peggio creduta, ma nel 1997 ha avuto il coraggio di condividere la sua esperienza di sopravvissuta nel libro Il silenzio dei vivi. All’ombra di Auschwitz, un racconto di morte e di resurrezione, per lei una seconda liberazione. Da allora ha iniziato l’attività di divulgazione, soprattutto tra i giovani, della sua storia di perseguitata, convinta che il ricordo di una della pagine più buie dell’umanità potesse portare alla diffusione di quei valori in cui aveva sempre creduto, come la solidarietà e la tolleranza, uniche armi contro l’odio, la barbarie e l’indifferenza. Dagli incontri avuti con le giovani generazioni sperando di indirizzarle con il suo esempio a una scelta di pace e fratellanza, nel 2003 è nato il secondo libro L’eco del silenzio. La Shoah raccontata ai giovani. La testimonianza di S. è riportata anche nel documentario Memoria (1997) di R. Gabbai.
Annelies Marie Frank, detta Anne, chiamata Anna Frank in italiano, è stata una deportata e scrittrice ebrea tedesca, divenuta un simbolo della Shoah per il suo diario, scritto nel periodo in cui lei e la sua famiglia si nascondevano dai nazisti, e per la sua tragica morte nel campo di concentramento di Bergen-Belsen. Wikipedia
Nascita: 12 giugno 1929, Francoforte sul Meno, Germania
Decesso: febbraio 1945, Campo di concentramento di Bergen-Belsen, Germania.
Ilaria Alpi, giornalista italiana (Roma 1961 – Mogadiscio 1994). Dopo aver studiato arabo all’università e grazie anche alla sua conoscenza delle lingue, ha iniziato la sua carriera come inviata dal Cairo per i quotidiani Paese Sera e L’Unità. Successivamente è stata assunta dalla RAI, avendo vinto una borsa di studio, e ha iniziato a seguire per il telegiornale di RAI Tre le guerre in Libano, Kuwait e Somalia. Proprio in quest’ultimo Paese, a Mogadiscio, la giornalista è stata uccisa insieme all’operatore M. Hrovatin, vittime di un agguato mirato alle loro persone. A. stava indagando su un traffico internazionale d’armi e rifiuti tossici illegali. Le informazioni raccolte, l’esito delle indagini e la vera causa della morte della giornalista non sono ancora noti e sono coperti da Segreto di Stato, anche se nel 2014, a vent’anni dall’omicidio, è stato avviato l’iter per la desecretazione dei documenti relativi all’inchiesta. In memoria della vicenda e in ricordo della giornalista, esempio di giornalismo d’inchiesta, dal 1995 è stato istituito il Premio che porta il suo nome, assegnato annualmente alle migliori inchieste televisive dedicate al tema della pace e della solidarietà.
Annalisa Durante (19 febbraio 1990, – 27 marzo 2004) era una ragazza di 14 anni, graziosa, con i suoi occhi azzurri e il sorriso sempre stampato sulle labbra, che amava stare in compagnia dei suoi coetanei, allegra, vivace ma comunque consapevole del degrado del suo quartiere e delle problematiche che lo affliggevano. Infatti come ricorda la sua insegnante di matematica e scienze Annalisa scrisse una lettera molto bella nella quale descriveva i problemi del suo quartiere riportando spesso la frase: “un giorno vorrò vivere in un’altra città”. Nel suo diario scriveva “le strade mi fanno paura. Sono piene di scippi e rapine. Quartieri come i nostri sono a rischio…ci sono i ragazzi che si buttano via e si drogano senza motivo… mi fanno pena quei tossicodipendenti che barcollano tutti i giorni sotto le nostre case” o anche semplicemente “vorrei fuggire, a Napoli ho paura”. Era il 27 marzo 2004, un sabato sera, le vie di Forcella, uno dei quartieri più malfamati di Napoli, erano vuote e silenziose. La partita del Napoli faceva da sottofondo ai soliti rumori di strada. Sembrava un clima da coprifuoco con un silenzio irreale e sinistro. In un istante si scatenò il Far West in via Vicaria Vecchia. Mentre stava chiacchierando con un’amica, due ragazzini su uno scooter spararono dei colpi diretti al boss Salvatore Giuliano detto ‘o russo (il rosso, per via del colore dei suoi capelli), che era entrato nel mirino di una banda rivale. Purtroppo la ragazza si trovò sulla traiettoria dei colpi sparati e un proiettile le trafisse l’occhio e le devastò il cervello. Dopo tre giorni di coma irreversibile, con una macchina che le pompava ossigeno nei polmoni, morì. La famiglia con un grande gesto d’amore e di speranza autorizzò l’espianto degli organi grazie al quale sette persone vivono. Annalisa non si trovava nel posto sbagliato, ma in quello giusto, dove una ragazza della sua età doveva stare: per strada insieme agli amici a vivere la vita…
Silvia Ruotolo, 39 anni, fu assassinata l’11 giugno del 1997 a Napoli, mentre tornava nella sua casa di salita Arenella, nel quartiere Arenella, dopo essere andata a prendere a scuola il figlio Francesco, di 5 anni. A guardarla dal balcone c’era Alessandra, la figlia di 10 anni. Il commando di camorra che sparò all’impazzata aveva come obiettivo Salvatore Raimondi, affiliato al clan Cimmino, avversario del clan Alfano. Furono sparati quaranta proiettili che, oltre ad uccidere Salvatore Raimondi e ferire Luigi Filippini, raggiunsero Silvia Ruotolo – che era in strada con il figlio – alla tempia, uccidendola sul colpo. La collaborazione con la polizia di uno dei killer, Rosario Privato, risultò decisiva per l’individuazione del gruppo di fuoco. Rosario Privato fu arrestato il 24 luglio dello stesso anno mentre era in vacanza al mare in Calabria. L’assassinio di Silvia Ruotolo ebbe grande risalto mediatico e contribuì alla crescita della consapevolezza sulla gravità del fenomeno camorristico. Silvia Ruotolo era cugina di Sandro Ruotolo, giornalista della Rai ed abituale collaboratore di Michele Santoro, e del fratello gemello di quest’ultimo, Guido Ruotolo, giornalista de La Stampa.
Renata Fonte, nata a Nardò nel 1951, fu assessore alla cultura e alla pubblica istruzione del comune di Nardò eletta nel 1982 nelle liste del PRI-Partito Repubblicano Italiano. Il 31 marzo 1984 a Nardò due sicari uccisero con tre colpi di pistola Renata Fonte mentre ritornava nella sua abitazione. Dai tre gradi di giudizio sono stati individuati e condannati gli esecutori materiali: Giuseppe Durante e Marcello My; gli intermediari: Mario Cesari e Pantaleo Sequestro e il mandante di primo livello: Antonio Spagnolo. Quest’ultimo, collega di partito di Renata e primo dei non eletti alle elezioni amministrative, avrebbe dato ordine di uccidere per risentimento nei confronti di Renata Fonte, ma questa affermazione è contestata. Accanto ad un’avversione personale di Spagnolo, la sentenza di primo grado della Corte d’Assise di Lecce dichiara la presenza di ulteriori personaggi, non identificati, che avrebbero avuto obiettivi non raggiungibili con l’elezione di Renata Fonte: la costruzione di un villaggio turistico sull’area naturalistica di Porto Selvaggio.
Graziella Campagna, cresciuta in una famiglia numerosa (erano sette tra fratelli e sorelle) a Saponara Superiore, abbandona gli studi e trova lavoro come aiuto lavandaia in una città vicina, Villafranca Tirrena, un impiego in nero che le frutta solo 150 mila lire al mese. Svolgendo quest’attività, un giorno trova un documento nella tasca di una camicia di proprietà di un certo “Ingegner Cannata”. Il documento rivela che il vero nome dell’uomo è Gerlando Alberti junior, nipote latitante del boss Gerlando Alberti (assicurato alla giustizia anni prima dal generale Carlo Alberto dalla Chiesa). Quest’informazione le costerà la vita. Il 12 dicembre, dopo aver finito di lavorare, va come di consueto ad aspettare l’autobus che la condurrebbe a casa. Ma nell’attesa successe qualcosa e quella sera la corriera arriva a Saponara senza di lei. La madre, che la aspettava, si preoccupa; Graziella non era ragazza ritardataria. Nessuno riesce a trovarla, inizialmente si pensa ad una “fuitina” (una scappatella con un ragazzo) ma l’ipotesi non regge, in quanto l’unica persona che poteva aver progetti con lei era in quel momento a casa con la famiglia e lei lì non c’era. Il maresciallo presente in quel momento in caserma però è così convinto che sia una fuitina che addirittura si prende un giorno di vacanza. Testimoni affermarono che lei quella sera salì su un’auto sconosciuta molto tranquillamente, quindi con qualcuno alla guida di sua conoscenza e di cui si fidava, cosa che parve ugualmente molto strana ai familiari, visto che si trattava di una cerchia ristretta di persone. Due giorni dopo il corpo fu ritrovato a Forte Campone – vicino a Villafranca Tirrena – e riconosciuto dal fratello, Pietro Campagna. Aveva cinque ferite d’arma da fuoco, rivelatasi una lupara calibro 12 che sparò da non più di due metri di distanza dalla vittima. Le ferite erano sulla mano e sul braccio (con cui probabilmente tentò di proteggersi), all’addome, alla spalla, alla testa e al petto.
Maria Montessori, pedagogista italiana (Chiaravalle, Ancona, 1870 – Noordwijk, Olanda, 1952). Fu la prima donna laureata in medicina (1896) dall’università di Roma; assistente alla clinica psichiatrica della stessa università, s’interessò al problema dell’educazione dei minorati; nel 1898 fu incaricata dal ministro della Pubblica Istruzione, Guido Baccelli, di un corso di psichiatria alle maestre di Roma; da questo corso sorse la scuola magistrale ortofrenica di Roma, da essa stessa diretta per due anni. Estese poi anche all’educazione dei fanciulli normali il suo metodo, il quale fu applicato nella prima “Casa dei bambini”, aperta a Roma (1907) nel quartiere di S. Lorenzo, e poi da essa esposto in Il metodo della pedagogia scientifica applicata all’educazione infantile (1909). Questo, che è il libro maggiore della M., e il seguente su L’autoeducazione nelle scuole elementari (1912) dettero ampia diffusione alle sue teorie; così nel 1931 si tenne in Roma il primo congresso internazionale di studi montessoriani. Il soggiorno della M. all’estero (nel 1934 si stabilì a Barcellona, poi visse in Gran Bretagna, in Olanda, in India e infine di nuovo in Olanda) consolidò il suo successo sul piano internazionale. Il metodo della M., che ha trovato applicazione in apposite scuole istituite in molti paesi, anche extraeuropei (USA, Canada, India e Giappone), è considerato uno dei principali esperimenti di “scuola nuova”. Esso mira a fare della scuola non la casa per bambini, ma la casa dei bambini, ossia un ambiente adatto alla libera esplicazione della loro attività, onde la maestra non insegna propriamente, ma assiste individualmente i bambini, mentre spontaneamente si esercitano col materiale didattico, cui è data un’estrema importanza. I critici del metodo tuttavia sostengono che esso offre al bambino un materiale obbligato e predispone rigidamente, in nome della scienza, i procedimenti cui debbono attenersi maestri e bambini, riuscendo così in certo modo frustrata l’originaria sua ispirazione alla spontaneità e libertà.
Nilde Iotti, donna politica italiana (Reggio nell’Emilia 1920 – Roma 1999). Militante del Partito comunista italiano fin dal periodo clandestino, partecipò alla Resistenza dirigendo i Gruppi di difesa della donna. Deputato alla Costituente (1946) e alla Camera nel 1948 e in tutte le legislature successive. Membro del Comitato centrale del PCI (dal 1956), dal 1962 fece parte della direzione del partito. Nel giugno 1979 fu eletta presidente della Camera dei deputati, carica che mantenne fino all’apr. 1992. Dal 1991 fu membro della direzione del Partito democratico della sinistra (PDS). La vita politica della I. si era intrecciata a quella privata nel periodo del suo legame con P. Togliatti, segretario del PCI. Ricevette incarichi parlamentari di prestigio, come la presidenza della bicamerale sulle riforme istituzionali (1993-94) e la presidenza della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (1996-99). Nel 1997 venne eletta vicepresidente dello stesso Consiglio.
Matilde Serao, scrittrice e giornalista (Patrasso 1856 – Napoli 1927). Compiuti a Napoli gli studî da maestra, s’impiegò nei Telegrafi dello stato, mentre cominciava a pubblicare bozzetti e novelle su giornali locali; finché entrò nella redazione del Corriere del mattino. Nel 1882 si trasferì a Roma, dove collaborò al Capitan Fracassa, al Fanfulla della Domenica, alla Nuova Antologia e alla Cronaca bizantina. Nel 1884 sposò Edoardo Scarfoglio, col quale fondò il Corriere di Roma, poi il Corriere di Napoli (dove creò una rubrica mondana, “Api, mosconi e vespe”, che divenne presto famosa), e quindi Il Mattino, di cui fu condirettrice fino al 1904, quando si separò dal marito e fondò, sempre a Napoli, Il Giorno, che diresse fino alla morte (firmando anche con lo pseudonimo Gibus). Accanto a questa attività giornalistica, la S. venne svolgendo la sua opera di narratrice, che comprende oltre quaranta volumi fra romanzi e novelle; e che, iniziatasi all’insegna del verismo meridionale, seguì poi, più che le correnti, le mode dello psicologismo alla Bourget, dello spiritualismo misticheggiante e del cosmopolitismo. Il primo periodo, che si protrae fino al 1905, resta, pur con qualche flessione, il più felice della sua arte; la quale, ora fervidamente rievoca aspetti, ambienti, figure della più gremita e misera vita napoletana, con sicura intuizione della psicologia collettiva e individuale, specie femminile (Dal vero, 1879; Piccole anime, 1883; Il romanzo della fanciulla, 1886; All’erta, sentinella!, 1889; Il paese di Cuccagna, 1890; La ballerina, 1899; Suor Giovanna della Croce, 1900), ora rappresenta passioni, tresche e ambizioni della società borghese o del mondo politico-giornalistico, con un distacco tuttavia oggettivo, a momenti da nota di cronaca (Fantasia, 1883; La virtù di Checchina, 1884; La conquista di Roma, 1885; Vita e avventure di Riccardo Ioanna, 1887): e sempre con uno stile disadorno, ma capace di suggestioni, di poetiche illuminazioni, talvolta (come in certe scene napoletane) anche di una barocca grandiosità. Fra le altre opere: Il ventre di Napoli (1884); Addio, amore! (1890); Castigo (1893); L’infedele (1897); Nel paese di Gesù (1898), ricordi di un viaggio in Palestina.
Artemisia Gentileschi – Pittrice (Roma 1597 – Napoli 1652 circa). Allieva del padre Orazio, lavorò a Firenze, a Roma e a Venezia ed infine, poco dopo il 1630, a Napoli, dove tornò dopo aver lavorato per qualche tempo a Londra. Fu ottima ritrattista, ma dipinse anche molti quadri religiosi o di soggetto biblico, come la Giuditta (Firenze, palazzo Pitti), di una violenta espressività. Pur nella sua costante preziosità, il colorito della G. è più intenso di quello del padre, più vivace il contrasto chiaroscurale (Miracolo di s. Gennaro, nel duomo di Pozzuoli). Tra le opere più significative dell’ultimo periodo è la Nascita di s. Giovanni Battista (museo del Prado). Notevole fu la sua importanza nello sviluppo della scuola napoletana, soprattutto per la formazione di M. Stanzioni e di B. Cavallino.
Oriana Fallaci, giornalista e scrittrice italiana (Firenze 1929 – ivi 2006). Inviata speciale dell’Europeo e collaboratrice di alcuni dei maggiori quotidiani del mondo (Times, New YorkTimes, Corriere della sera, Asahi Shimbun, ecc.), è stata altresì autrice di varî volumi di successo che raccolgono molti dei suoi più brillanti reportages giornalistici (Il sesso inutile: viaggio intorno alla donna, 1961; Intervista con la storia, 1974; ecc.). Vasto riscontro hanno pure conosciuto i suoi romanzi: Penelope alla guerra, 1962; Lettera a un bambino mai nato, 1975; Un uomo, 1979; Insciallah, 1990. Dopo gli attentati del sett. 2001, ha scritto La rabbia e l’orgoglio, un vibrante atto d’accusa al fondamentalismo islamico che è stato ristampato nel 2009 con l’integrazione di due testi del 2002; nel 2004 ha pubblicato La forza della ragione,quasi un’appendice del precedente saggio, e Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci. Postumi sono stati editi Intervista con il potere (2009), raccolta delle interviste ai grandi protagonisti della storia del Novecento realizzate tra il 1964 e il 1982, il volume di discorsi inediti Il mio cuore è più stanco della mia voce (2013) e l’antologia di reportage dagli Stati Uniti Viaggio in America (2014). Nel 2013 è stata edita la biografia Oriana. Una donna, testo agile e documentato di C. De Stefano che ne restituisce un’immagine complessa e travagliata, mentre sono del 2016 il volume a cura di E. Perazzi La paura è un peccato. Lettere da una vita straordinaria, in cui sono raccolte 120 lettere inedite a firma della giornalista, e il testo autobiografico Solo io posso scrivere la mia storia; nel 2017 è stata pubblicata la raccolta di articoli L’Italia della dolce vita.
Mia Martini, cantautrice italiana (n. Bagnara Calabra, Reggio Calabria, 1947 – Cardano al Campo, Varese, 1995). Dopo un discreto ma effimero successo come Mimì Bertè, ha ottenuto i primi riconoscimenti all’inizio degli anni Settanta: con il brano Padre Davvero (1971, il primo inciso sotto lo pseud. M. Martini e censurato dalla Rai perché considerato scandaloso) ha vinto il Festival di Musica d’Avanguardia e di Nuove Tendenze di Viareggio, imponendosi sulla scena musicale italiana per l’intensità dell’interpretazione. Da allora i toni nostalgici e dolenti delle sue canzoni hanno conquistato pubblico e critica; tra i brani più apprezzati si ricordano Piccolo uomo (1972), Minuetto (1973), Notturno (1975), Almeno tu nell’universo (1989), La nevicata del ’56 (1990) e Gli uomini non cambiano (1992). M. ha partecipato a diverse edizioni del Festival di Sanremo (in due occasioni insieme con la sorella L. Bertè); dopo la scomparsa, in suo onore il Premio della Critica sanremese (creato nel 1982 appositamente per la sua E non finisce mica il cielo) è diventato il Premio M. Martini.
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