L’appello del centro antiviolenza Rompiamo il Silenzio di Manduria
Ci ritroviamo, ancora una volta, a leggere di un femminicidio. Per l’esattezza l’85° femminicidio dall’inizio del 2021. Non un semplice numero, ma una donna in carne e ossa, Giuseppa Loredana Dinoi, morta per mano del suo compagno. Un nome e una storia che ricorderemo, assieme a quelle di tutte le altre donne, affinché non diventi, ancora una volta, un’anonima cifra che va a ingrossare il “bollettino dei femminicidi”. Perché il rischio di assuefarsi a queste tragedie è nascosto dietro l’angolo.
Dovremmo chiederci, invece, ogni volta che viene perpetrato un femminicidio il perché. Perché i maschi continuano a uccidere mogli, ex mogli, compagne, fidanzate, ex fidanzate, figlie? Perché le donne non denunciano prima? Perché la rete delle istituzioni non riesce a proteggerle?
Un dato oggettivo: rispetto al 2019, le donne che si rivolgono ai Centri Antiviolenza denunciano meno. Un dato costante: nei casi di femminicidio e/o di violenze venute alla ribalta dei giornali i vicini non hanno visto e sentito mai urla o notato comportamenti “anomali”. Altro dato costante nei femminicidi: anche nei casi in cui le donne hanno denunciato più volte non è scattata alcuna misura preventiva o, se è scattata, è stata disattesa.
È un fallimento dello Stato in tutte le sue diramazioni. Ogni femminicidio, infatti, è l’affermazione di un potere che ha molte facce: quella del servizio, quella dell’agente, quella del magistrato quando non crede alla donna. Il potere patriarcale ha la faccia dei vicini quando minimizzano e normalizzano; ha la faccia del giornalista che scrive “raptus”; ha la faccia di un sistema che trae sostentamento dalla disparità tra i generi, incastrati nei ruoli ad ogni livello sociale, politico ed economico.
La notizia di una nostra sorella colpita a morte, in un territorio che abbiamo iniziato a conoscere dal 2019, quando abbiamo inaugurato il Centro Antiviolenza Rompiamo il Silenzio, richiede una riflessione profonda, che deve coinvolgere l’intera comunità di Manduria.
Giuseppa Loredana non è morta per colpa di un raptus, di un gesto folle, di una lite feroce, ma è morta piano piano, ogni giorno di più, in una tragedia cominciata tanti anni fa, tra abusi, isolamento, denigrazioni e consumata tra le mura domestiche, di cui NESSUNO, NESSUNO ha letto i segnali di pericolo.
In queste situazioni ci chiediamo: se Giuseppa Loredana si fosse rivolta ad un centro antiviolenza, se si fosse rivolta alle forze dell’ordine o ai servizi, sarebbe ancora viva? Saremmo stati in grado di ascoltarla, comprenderla, proteggerla?
La diffidenza verso le donne, la minimizzazione dell’agito violento in tutte le sue espressioni sono stereotipi duri a morire. Ma continuiamo a sperare!
A tutta la comunità di Manduria chiediamo che l’impegno contro i femminicidi non si fermi agli anniversari, all’indignazione annuale del 25 novembre cui segue poi un silenzio solcato soltanto dalle notizie di cronaca. Le urla, i litigi, i pianti non possono essere ignorati: chiamate le forze dell’ordine, segnalate, prendete posizione. Solo insieme, solo se ognuno fa il proprio pezzettino, sarà possibile evitare queste immense tragedie.
Se vivi una situazione violenta, se subisci violenza psicologica, fisica, economica, sessuale, contatta il Centro Antiviolenza Rompiamo il Silenzio: le operatrici sono reperibili, h24, ai numeri 331/7443573 – 327/6239835. Troverai un’equipe di professioniste, tutte donne, che ti ascolteranno, ti crederanno, ti offriranno sostegno psicologico, assistenza legale e sociale, in modo totalmente gratuito e nella più assoluta riservatezza.
L’equipe del Centro Antiviolenza
Rompiamo il Silenzio Manduria
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