venerdì 27 Dicembre, 2024 - 19:36:20

Gli Spintria, le tessere erotiche in bronzo dei bordelli dell’antica rRoma

Secondo la cultura romana la prostituzione non era considerata moralmente negativa, tanto che diversi ricercatori ne conferiscono proprio ai Romani l’ideazione, nel senso più moderno della parola, come un “settore di mercato” che rappresentava una parte significativa nell’economia dell’impero, con prostitute, per la maggior parte schiave straniere, che venivano regolarmente iscritte, con il proprio nome, nel registro degli edili, pratica questa che si diffuse a dismisura fino a coinvolgere, durante il primo impero, il fior fiore delle matrone patrizie. La pratica dell’iscrizione nel registro degli edili si spiega molto semplicemente: poiché le prostitute non potevano contrarre matrimonio e l’adulterii crimen veniva per loro a cessare, l’iscrizione in questo apposito registro consentiva a ogni donna che ne avesse fatto richiesta di eludere l’incriminazione per il reato d’adulterio. Tiberio, Domiziano e Adriano affrontarono la prostituzione con l’obiettivo realistico di contenere gli eccessi, e ricorsero a provvedimenti indiretti tra cui l’imposizione di una tassa.

Nel corso di tutta l’epoca romana, i luoghi designati al piacere sessuale mercenario furono i lupanari (derivanti dal latino lupa, dal significato di prostituta) che erano delle vere e proprie case d’appuntamento o bordelli che per la loro innegabile funzione sociale erano nientemeno che posti sotto la tutela e il controllo dello Stato. A Roma le zone dove erano diffusi i bordelli si trovavano nella Suburra, una zona abitata dalla plebe, o nei luoghi adiacenti il Circo Massimo. Oltre che nei lupanari, la prostituzione si praticava nei bagni pubblici, nelle taverne e nelle botteghe. Vi erano anche locali per gli uomini “migliori” come il lupanare costruito sul Palatino, di proprietà dell’imperatore Caligola, dove esercitavano donne di classe e fanciulli liberi le cui prestazioni venivano pubblicizzate al Foro da un dipendente imperiale.

Come sappiamo, in antichità i Romani erano soliti affiancare alle monete che circolavano in tutto il vasto territorio, sottoposto al dominio dell’URBE, anche delle tessere in bronzo, ne sono un esempio le tesserae frumentariae, che servivano a comprovare il diritto al ritiro di grano o altre derrate nelle pubbliche elargizioni e, probabilmente, proprio a seguito del divieto d’introdurre all’interno dei lupanari monete con l’effige imperiale che, intorno al I secolo d.C. (tra la fine del regno di Augusto e quello di Tiberio), furono battute apposite monete che presero il nome di spintria, più precisamente si trattava di tesserae eroticae, con le quali era possibile pagare le prestazioni sessuali alle prostitute. L’ipotesi dell’uso specifico della spintria nei lupanari è basato su un passo si Svetonio (Vita di Tiberio LVIII) dove si dice che nelle latrine e nei bordelli l’Imperatore proibì l’uso di monete e di anelli recanti l’effige imperiale (nummo vel anulo effigem impressam latrinae aut lupanari intuisse). Comunque non esistono altre fonti che confermano l’applicazione pratica di tale divieto.

La spintria, nel dettaglio, era una tesserae in bronzo, del diametro di circa 20-23 mm, caratterizzata da varie raffigurazioni erotiche sul lato diritto (conio d’incudine), accompagnate sul lato rovescio (conio di martello) da un numerale romano, generalmente da I a XVI, che probabilmente costituiva una specie di contromarca con un ben preciso valore economico espresso in assi.

Sono discordi le ipotesi circa le possibili funzioni delle tesserae eroticae. La diversità delle opinioni degli studiosi deriva dal fatto che i vari autori latini parlano molto raramente di questa “moneta” e se lo fanno lo fanno in modo tale da non poter far individuare con certezza la loro funzione. Comunque la più accreditata ipotesi è quella che fa della spintria la moneta dei lupanari.

A causa della componente erotica riprodotta, inusuale sulle monete, le spintriae, considerate molto rare a causa dei pochissimi esemplari noti per ogni combinazione di conio, furono molto ricercate dai collezionisti. Con ogni probabilità molte tesserae furono imitate sia in epoca romana sia al tempo rinascimentale e post-rinascimentale rendendo molto difficile riconoscere l’autenticità delle stesse.

I Musei italiani che custodiscono alcuni esemplari di questa moneta sono pochi e si trovano soprattutto a Roma, Firenze, Bologna, Forlì (Collezione Piancastelli), Padova e Milano; sono presenti degli esemplari anche nella Galleria Estense di Modena. Non mancano esemplari nei vari musei europei come quelli del British Museum di Londra.

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