sabato 23 Novembre, 2024 - 13:53:26

Gustav Klimt: La forza del pensiero di un artista libero

Il secondo numero della rubrica “Passo a due”, pone l’attenzione su alcune delle più importanti tematiche della rivoluzione artistica, che sconvolse l’Europa a cavallo di due secoli. A Gustav Klimt, e alla sua straordinaria figura di artista libero, è dedicata questa doppia riflessione di Alessandra Basile e Domenico Semeraro, accompagnata dalla raffinata illustrazione di Noemi Maggio, che ha reso in maniera esemplare il suo personale omaggio all’artista.

Gustav Klimt (1862-1918) è figlio dell’epoca di Freud, senza sapere di esserlo, tra simboli, inconscio, fascino dell’onirico, postumi di innamoramento dei mosaici aurei di Ravenna.

Hermann Bahr, scrittore e giornalista, fu legato a Klimt da una intensa amicizia, a partire dagli anni Novanta dell’Ottocento, quando entrambi condivisero la causa della modernizzazione dell’arte a Vienna, sulla scia di quanto stava rivoluzionando il paesaggio artistico delle altre nazioni europee. Dopo anni di studi e viaggi in Europa, Bahr era rientrato a Vienna nel 1891 con la missione di educare il pubblico a comprendere le nuove tendenze artistiche, che dove vano fare tabula rasa dello storicismo tradizionalista imperante. Anche Klimt, come Bahr, riteneva, che fosse parte dei loro obblighi di artisti far conoscere quanto di nuovo si stesse presentando, in particolare l’Impressionismo e il Simbolismo. Scrivendo di Klimt, Bahr sottolineava con forza le sue qualità di pittore di livello. Lo “Schubert” di Klimt non era solo bello artisticamente: per Bahr il quadro esprimeva l’essenza stessa dell’Austria. L’ammirazione di Bahr per Klimt crebbe rapidamente, tanto da descriverlo come il principale pittore della nazione austriaca, nonostante l’artista non fosse pienamente apprezzato anche a causa, delle controversie che sarebbero esplose negli anni successivi, rischiando di travolgere lo stesso artista, in principio incaricato di realizzare delle opere d’arte per l’università e poi, crudamente criticato per un lavoro non apprezzato. E così dopo una lunga causa, Klimt riuscì a rientrare in possesso delle sue opere, restituendo perfino il denaro ricevuto come anticipo per la commissione, svincolando la sua arte da imposizioni e richieste non in linea con il suo stile e continuando il suo percorso di ricerca, che lo porterà ad essere il vincitore a Vienna e a Roma di importanti riconoscimenti, ponendosi nel ruolo di difensore della libertà dell’arte e dell’artista. Durante il 1907, a Vienna, Gustav Klimt finiva uno dei suoi più bei ritratti a fondo oro, senza dubbio un capolavoro dell’arte occidentale: Il Ritratto di Adele Bloch-Bauer. Lo stesso anno, all’altra estremità dell’Europa, in quel cuore del continente che era Parigi, un altro pittore destinato a diventare famoso, Picasso, decideva di lasciare definitivamente incompiuta la grande tela a cui aveva lavorato per lunghi mesi, e che sarebbe stata più tardi conosciuta come “Les Demoiselles d’Avignon. A Vienna, lusso, calma e voluttà; a Parigi, orrore, bruttezza e disarmonia. L’osservatore prova una certa difficoltà a cogliere la contemporaneità di fenomeni, che sembrano avere avuto luogo su pianeti diversi, non appartenere alla stessa storia. Eppure, se si osasse pensare oltre gli schemi dell’apparenza, forse si riuscirebbe a leggere il motivo che ha prodotto il mutare, in quel preciso momento, del corso della storia dell’arte. La figura della donna come femme fatale, per Klimt e Picasso, acquista una voce di grande spessore per la ricchezza stilistica e per intensità di colore. “ Les demoiselles d’Avignon”, dove attraverso l’abolizione di qualsiasi prospettiva o profondità annulla lo stesso spazio, individuando una terza dimensione, non visiva ma mentale. La donna e il mistero della carne sono temi che lo affascinano a lo coinvolgono e, a cui dedica, nel corso degli anni, una serie di quadri: nel 1950, “ Le signorine in riva alla Senna”, che rappresenta forse l’ultima opera ricca d’inventiva di Picasso e segna l’inizio di un periodo di riflessione, durante il quale l’artista dipingerà una serie di varianti delle “Donne d’Algheri” di Delacroix, di “Las Meninas,di Velàzquez”, del “Déjenuer sur l’herbe” di Manet e delle “Sabine” di David. In maniera quasi analoga, la donna è per Klimt colei che traduce le paure, schiava dei tabù, ma pur sempre femme fatale e consolatrice di se stessa; Klimt dipinge una donna sicura della propria identità, che vuole essere e sentirsi alla pari degli uomini, affrancata da Secoli di oscurità.

Alessandra Basile

Non è affatto inusuale che studiosi fotografi, affascinati dalla capacità di interscambio di esperienze dimensionali e tecniche tra fotografia e pittura, reinterpretino maestri di quest’arte per carpirne segreti manipolativi e di esperienza, con lo scopo di simulare, ed in alcuni casi emulare, le loro capacità espressive. Ovviamente, il più delle volte, le scelte di riferimento ricadono su artisti che hanno interpretato situazioni soggettive ed oggettive opportunamente accostabili alla tridimensionalità fotografica; che hanno rapportato, cioè, le dimensioni del loro dipinto alla presenza di una luce che, conosciuta o arcana, trasparisse come elemento di intima espressione, oltre che disegnatrice di forme.

Non scomodando il Rinascimento e la sua glorificazione di una luce eterna, quanto crudele dissipatrice di tenebre, la fotografia ispirata alla pittura si è rivolta, spesso, verso l’avanguardia espressionista con l’intento di assimilarsi ad una gestione ottica e di illuminotecnica naturale, e a quella del realismo per uno studio delle atmosfere generatrici di pathos e riflessione o, ancora, si è fatta rapire dalla pittura metafisica, che molto l’ha permeata nella sua derivazione concettuale al confine con la graphic art. Le piazze e i luoghi deserti di De Chirico, le atmosfere sospese di Magritte che rinviano all’utopia del sogno, sono impronte indelebili in un certo tipo di fotografia astratta e tanto in voga come disseminatrice di stilemi onirici. Così, accade che un fotografo americano, Richard Tuschman, ricrei ambienti e situazioni hopperiane, attraverso immagini di alto livello qualitativo. Azione non certamente assimilabile ad una semplice operazione di mimetismo, che avrebbe breve durata, giusto il tempo di andare oltre gli schemi di luce e la miscelazione dei colori; il rivivere dell’humus americano passa anche attraverso la meticolosa ricostruzione dei meccanismi espressivi, dell’uso attenuato del colore, come avvolto da un triste pulviscolo, di una luce desaturata della carica vitale, elementi che nelle fotografie appaiono più intensi e pertanto rendono ancora più presente la costruzione hopperiana.

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Ciò che sulla tela viene smorzato, addolcito, per un contatto narrativo tra pittore e osservatore, nella fotografia viene acuito, intensificato, pur nel senso nichilista, proprio della sospensione di Hopper, carico di profonda malinconia e di sguardi persi nella disperazione. La pittura di Klimt, in questo senso, è una vera e propria sfida per una serie di ragioni, sottese non tanto alla visione soggettiva, quanto ad una capacità di riproduzione fotografica, ispirata ad elementi reali limitanti e narranti nella loro fisicità. Opere di ritrattistica dell’artista austriaco, come la sua Femme Fatale, hanno certamente riproducibilità fotografica per la presenza di una luce direzionale e di chiaroscuri inversi su soggetto e sfondo; ovviamente, non elementi chiave, rispetto all’espressione enigmatica curata, ma di sicuro improntati a una gestione oggettiva e “presenziale” della luce.

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Ma, soggetti come Giuditta, Adele Bloch-Bauer, Hygieia, gli amanti del bacio e le loro immersioni nell’oro costituiscono sfide ardite nella riproduzione fotografica, non tanto per la ricchezza di particolari tipica della iconografia dell’artista, quanto per una gestione della luce così lontana dal reale e da una fonte diretta. Si tratta di dover realizzare ombre incorporate e parti illuminate, che permettano di rendere volume e rilievo, con gradazioni di colore, dal chiaro per la parte illuminata, all’intermedio per la transizione, allo scuro per la parte in ombra, tutte immerse nel caldo dell’oro e di una luce, appunto, non direzionale, ma emanata dallo stesso soggetto. E, così, di nuovo accade che un altro fotografo, l’ottima Inge Prader, austriaca come Klimt, accetti la sfida. E, in occasione di un grande evento di beneficenza viennese, ne mostri i risultati al pubblico. Il rispetto per il pittore conterraneo e l’umiltà nei confronti di un progetto pericoloso, proprio per la sacralità di certe opere, ha portato la Prader ad una ricerca minuziosa e dettagliatissima nella costruzione delle scene: luce diffusa e uniforme con toni caldi, ambientazione onirica, atmosfere plasmate dall’oro, soggetti ricercati per forme ed espressività.

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Opere da apprezzare, ammirare, o al, contrario, da destinarci un’occhiataccia e un naso storto con conseguente denuncia di lesa maestà. Ma, quanto possiamo addentrarci in una critica che determini il grado di soddisfazione dell’occhio di fronte ad un’opera di simulazione fotografica? In quale misura possiamo determinare come riuscito un tale progetto, che ha tutte le caratteristiche dell’attentato all’accademismo? Forse poco, forse nulla, perché, facendolo, ci distaccheremmo dall’intento per accostarci al risultato, ci solleveremmo dall’ascolto dell’impeto per atterrare sul piano della denotazione oggettivante, a dispetto di un senso di ammirazione verso la ricerca, verso il pieno coinvolgimento della fotografia, artigianalmente costruita, nel percorso artistico istintivo ed emotivo che crea sogno, evocazione, memoria. Klimt, la sua luce, il suo oro, l’aria snob delle sue donne liberty continuano a respirare vita attraverso un’opera fotografica, rispettosa o meno dei dettami accademici di purezza artistica. È lì il senso della ricerca. È lì la rievocazione, affianco all’ennesima splendida testimonianza di intreccio, che la fotografia imprime ed esprime.

Domenico Semeraro

 

 

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Notizie su Alessandra Basile

Alessandra Basile
Laurea magistrale in Progettazione e Management di sistemi turistici e culturali e triennale in Scienze dei Beni Culturali per il Turismo, presso l'Università degli Studi "Aldo Moro" di Bari, è presidente della Associazione culturale Programma Cultura, di Taranto, che promuove e valorizza il territorio ionico e regionale, con progetti ed organizzazione di eventi per la divulgazione delle eccellenze del nostro patrimonio culturale. Appassionata di arte, teatro e fotografia, è da anni impegnata nella divulgazione scientifica per la tutela del cielo stellato, dichiarato dall'UNESCO patrimonio dell'umanità. Ha al suo attivo importanti esperienze redazionali con testate nazionali e regionali, con cui collabora per raccontare le bellezze artistiche, culturali e paesaggistiche del territorio.

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