Carl Schmitt in “Terra e mare” ha disegnato l’inizio e la fine del Mediterraneo. Il Mediterraneo è fatto di voci. Il Mediterraneo non è il musulmano, il cristiano, il bizantino che proviene da una geografia ben definita. È anche il Pascoli che legge e introduce la storia del Novecento moderno in una Mediterraneo della linea magrebina. È anche Enrico Pea che dedica le sue pagine più belle all’Egitto. È Luigi Pirandello con il suo mondo arabo di Girgenti. È il Ludovico de Varthema che ci fa compiere quel “meraviglioso” viaggio alla Mecca. È Albert Camus che ha inventato la linea meridiana.
Camus grande conoscitore del Mediterraneo nella coscienza dello straniero e nella caduta delle rivolte. L’etnia e la lingua sono un dato di fatto. Come è un dato di fatto l’intreccio tra la fuga, l’esilio e la nostalgia. Il mondo Mediterraneo è un intreccio tra realtà araba, musulmana, islamica, cristiana. Il Mediterraneo è il vissuto dei dervisci. Rumi e Kajjam sono un intreccio tra Oriente ed Occidente.
Per dare un senso ad un Mediterraneo bisogna aver penetrato i Mediterranei, bisogna aver frequentato i luoghi: dalle Medine ai deserti, dai Camini delle Fate alle Moschee. Essersi incontrati e scontrati con il mondo musulmano e islamico. Aver osservato le Gerusalemme e i mari che toccano i deserti di Tunisi, aver capito che la Macedonia e il Kosovo sono in un Oriente islamico e in una ambiguità cattolica sino a toccare l’ortodossia di Cipro.
I Mediterranei sono una letteratura inafferrabile e quando riusciremo a trovare il legame tra queste geografie o la definitiva discordanza tra gli Oceani e l’Adriatico e il Tirreno, che sono nell’abitazione dei Mediterranei, possiamo cominciare a muovere qualche tassello del vasto mosaico anche sul piano della consapevolezza – conoscenza.
Bisogna aver visitato quei luoghi. Bisogna aver abitato quei contesti. Bisogna aver penetrato le coscienze di un Mediterraneo che è Siria ma anche Omero, che è la Striscia di Gaza ma anche la Cappadocia, che è letteratura albanese (sì, perché l’Albania è un mondo Balcano nella storia dei processi Ottomani mediterranei), che è Regno di Napoli con Corrado Alvaro che offre le straordinarie immagini di Istanbul e Ankara, ma anche il vento del Libano, le strade di Siviglia, la roccaforte di San Paolo da Damasco a Malta.
Il punto nevralgico della visione di una mondo e di una identità nelle identità dei Mediterranei è la consapevolezza di essere occidentali negli Orienti che non solo sono civiltà frontaliera, ma sono ben strutturati in un processo culturale che trova la sua sintesi contemporanea in Italia, come ho avuto modo di sottolineare in una mostra su “Donne mediterranee” presentata anche su Rai Uno, attraverso tre processi storici:
-il Regno di Napoli e l’Unità d’Italia, che nascono sotto la spinta di conquista del Mediterraneo,
- la guerra giolittiana la cui fase, come preannunciò Pascoli nel 1911, termina con la Grande Guerra,
- l’occupazione dell’Africa e dell’Albania da parte del Fascismo,
l’importanza che ha avuto Italo Balbo nel mediteraneizzare l’Africa.
Tutto ciò che è avvenuto dopo nasce sotto la spinta di un Occidente americanizzato ed europeo sino alla primavera di Tunisi e alla “rivoluzione” in Libia, compresa la Guerra del Golfo, con la morte di Gheddafi. Non si può prescindere da ciò anche in letteratura. Soprattutto per una letteratura che è metafora della fuga, del viaggio, dell’esilio, della estraneità, della religiosità portata alla tragedia con il 2001.
È dentro questa constatazione che si intrecciano vita, storia, letteratura tra poesia e racconto. La letteratura diventa un innesto di un linguaggio esistenziale che è linguaggio di lingue, di etnie, di tradizioni. Si tratta di un’antropologia vissuta sulla conoscenza e su modelli di archetipi che sono voce di antica tradizioni.
Pierfranco Bruni
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