I migranti tagliano confini e frontiere. Compiono un viaggio reale. Geografico. Compiono un taglio nella loro vita. Un’antropologia dell’esistere affidando tutto alla speranza. Noi viviamo il senso dell’accoglienza. Il senso è nell’essere stati migranti tra popoli e civiltà. Il viaggio ha le sue attraversate. Le frontiere si attraversano e non sono come gli orizzonti e non sono come i confini.
C’è un Mediterraneo che è confine, eredità, accoglienza. Ma in questi tre aspetti serpeggiano le cadute delle civiltà. Tutto è comprensibile e giustificabili, ma la soluzione che potrebbe essere per i migranti di chiara rilevanza economica e sociale diventa immediatamente antropologica, culturale, geo-politica. Il Mediterraneo, tra Sponda Sud e Sponda Nord, è un destino che ha sempre attraversato le storie dei popoli migranti lungo le rotte dei popoli che sono civiltà.
Le frontiere separano. Ma bisogna sempre guardare ad un viaggio che include, ovvero ad viaggio includente, ovvero bisogna comprendere il senso del viaggio prima per comprendere il proprio viaggio ulissico e poi per spezzare le finestre e dare voce alle partenze. Il viaggio è una costante partenza. I migranti conoscono la partenza e non entrano nel sentimento del ritorno.
Viaggio, dunque, come ricerca della propria interiorità. Viaggio migrante e viaggio emigrante. Ma anche questo vive di frontiere. Jung ci avrebbe disegnato la mappa dell’essere per una conoscenza di se stessi. In questo viaggio interiore, che non è da intendersi quale camminamento spirituale, c’è l’impossibilità della rottura della frontiera che incontra l’orizzonte. Non si viaggia per conoscere. Il viaggio, nel tempo dei migranti, è una fuga dalle terre delle radici. La fuga è la diaspora tra coscienza del luogo e abbandono per un legame ad una speranza: economica, esistenziale, sociale.
Dobbiamo poter uscire dai nostri deserti soltanto superando il viaggio dei nostri labirinti (avrebbe detto Mircea Eliade, il grande teorico del rapporto tra viaggio e simbolo del labirinto), perché in questi labirinti che si raccolgono i destini di una appartenenza. Appartenenza che può essere linguistica, transitiva tra il sociale e il culturale, fisica come è il vivere nelle comunità di quartiere.
Ma da questo labirinto bisogna che si esca. Ci vengono incontro ancora Eliade, Pound, Pavese, Eliot, Walkot, Joece e tutta quella letteratura di un Novecento, compresa quella dei viaggiatori come Piovene, Moravia, Alvaro che può fare a meno di Dante e della sua teologia. Oggi siamo oltre i viaggiatori. Siamo nella disperazione del viaggio. Già, il viaggio è strazio. Si parte per disperazione e per speranza.
La letteratura offre scavi tra la mente (Vittorino Andreoli) e la ragione (Pascal) in una onirica visione psicologica che è offerta non dalle parole ma dai linguaggi. La lingua non è il linguaggio. Maria Zambrano è la vera teorica del rapporto tra frontiera, viaggio ed esilio nel viaggio. Ci sono frontiere che convivono con il nostro esistere e che sono comunque nella realtà come linea di demarcazione tra le civiltà, tra i popoli, tra le Genti (direbbe San Paolo).
I discorsi sono complessi, ma bisogna capirli. Difendere le frontiere? Certamente difendendole si difende una identità culturale e una appartenenza ad una lingua. Perché le lingue minacciate sono quelle spezzate dai conflitti politici. Ecco perché attraversandole bisogna amarle senza viverle come modelli ideologici. Le idolatrie provengono proprio dalle ideologie e dalle religioni. Bisogna superare le religioni e le filosofie delle ideologie per renderle, le frontiere, superabili, le frontiere si superano nel momento in cui si attraversano.
Attraversarle significa, tra l’altro, penetrarle. Nell’anima, nel corpo, nella coscienza, nelle Ragioni di Stato. Ma al concetto di frontiera deve subentrare un ulteriore concetto che è quello della identità diffusa (non condivisa). Le frontiere appartengono a processi politici ed esistenziali. Le frontiere si attraversano ma non si dimenticano le civiltà.
I popoli fanno sempre i conti con le loro identità, tanto che i gravi conflitti tra popoli del Novecento sono sorti sulla linea delle appartenenze e delle eredità geo – politiche. La questione slava e dei Balcani è una delle tante testimonianze, come lo è il problema che pone il Mediterraneo.
La metafora più vera è quella di considerare una frontiera come un muro (lo ha detto Sartre) ma la frontiera è anche il richiamo di una nostalgia di ciò che abbiamo lasciato prima di attraversarla e da questo punto di vista Albert Camus è un maestro nell’aver indicato il concetto di “Meridiano” come posizione di attesa di una esistenza tra gli uomini, tra i popoli e tra le civiltà.
Possono essere “provvisorie”. Lo sono. Ma non può esserci comprensibilità della frontiera senza un porto antropologico tra gli uomini e le tradizioni, perché attraversare frontiere vuol dire anche tentare di non perdere la memoria e la tradizione. La speranza dei migranti possono diventare illusioni.
Il viaggio dei viaggiatori è ben altra cosa. I viaggiatori non fanno mai i conti con le frontiere. Il viaggio è una realtà e una metafora le frontiere sono esistenze dell’anima e conflitti tra civiltà. Il viaggio dei viaggiatori è sempre un ritorno. Il viaggio dei migranti è sempre una partenza che si intreccia nella speranza che si definisce nell’illusione di stanziarsi in una nuova terra, attraversando il mare.
Non bisogna, comunque, mai disperdere il valore delle appartenenze. Nelle appartenenze ogni valore diventa antropologia dell’esistere. I nuovi migranti dei Mediterranei diffusi vivranno l’inconsapevolezza delle lingue perdute e delle eredità tradite.
Lasciando una Patria non si perde un’appartenenza. Si perde un’identità e con l’identità si tagliano le frontiere e si entra in “continenti” che sanno di altro e sono oltre. I migranti tagliano confini e frontiere e chiedono alla speranza di farse voce di un nuovo destino. Il più delle volte diventa illusione. Il Mediterraneo raccoglie le voci e queste voci sono nel destino delle civiltà e dei popoli che verranno.
Pierfranco Bruni
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