Ho visto un cigno navigare spaesato per i viali, i portici e i palazzi di un centro storico del nord sommerso dai nubifragi. Passava sgomento davanti agli uffici postali, alle banche e agli uffici comunali, navigava con placido terrore, sospinto da una fatalità misteriosa. Ogni tanto tuffava la testa nel fiume urbano forse per riaversi da quel sogno allucinato. Poi il suo collo rispuntava dal gorgo e rivedevi il suo sguardo stranito. Dev’essere un trauma per un cigno passare dalla natura alla cultura, ritrovarsi da un corso d’acqua a un corso garibaldi e scoprire che una città intera, auto incluse, si è adeguata al suo mondo, guazza nella stessa acqua e a volte soccombe sommersa.
Figuratevi che trauma dev’essere il suo contrario, gente che abita da una vita in una casa e un giorno si ritrova in mezzo alle acque, tra fango e torrenti che ti entrano fin dentro la camera da letto. È più drammatico regredire dalla città alla natura, dal pavimento alla palude. I tg sono ormai da giorni dei drammatici bollettini di navigazione, dei notiziari pluviali, lo schermo è un acquario. Narrano di alluvioni, esondazioni, bombe d’acqua, economie sommerse e galleggianti, paesi alla deriva. L’Italia come Atlantide, un tesoro sommerso da un cataclisma, un galeone finito sotto le acque dopo l’assalto dei pirati e la fuga dei comandanti. È il canto del cigno di un paese nobile e fragile, dalle piume ormai pesanti d’acqua e di fango, incapace di alzarsi in volo, sospinto dalle correnti fuori di casa.
Marcello Veneziani su www.facebook.com/notes/marcello-veneziani-pagina-autorizzata
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