N.B.: gli utilizzi delle piante di cui si tratta in questo articolo hanno unicamente valenza documentaria antropologico-folkloristica
Nella medicina popolare salentina, il fico (Ficus carica) aveva svariati utilizzi: uno di questi consisteva nell’impiegare il lattice per eliminare porri e verruche dalle mani (veniva applicata sula parte interessata, per uno o due giorni ricoprendola con una garza, una goccia di lattice ricavata dal frutto o dalle foglie).
Il lattice del fico si applicava anche sui denti doloranti come antinevralgico; si utilizzava inoltre come antiinfiammatorio per punture di insetti, e a mò di ceretta depilatoria.
Per ammorbidire e decongestionare la pelle si utilizzava un impiastro di fichi secchi con foglie di malva, aglio, cipolla, bulbi di scilla, impastati con olio d’oliva.[1]
Un decotto per guarire la tosse era preparato con fichi secchi, carrube, fiori di camomilla in eguale quantità, e addolciti poi con miele.[2] Una variante di questo rimedio contro la tosse era ottenuta con la bollitura di fichi, bucce di mandorle, foglie di alloro, malva, chicchi di melagrane e fette di cotogna. [3]
Uno sciroppo per il raffreddore si preparava bollendo i fichi nel vino con noci, malva e miele.[4]
Un cataplasma di fichi secchi tritati e lasciati a bagno era impiegato per foruncoli ed ascessi.[5] Su ascessi e ferite, per fini rinfrescanti, erano impiegate le foglie del fico.
I fichi secchi messi a bagno la sera, erano utilizzati a digiuno al mattino contro la stitichezza.[6]
Utilizzi medici, “magici” e d’altro genere li aveva anche il Caprifico (nei dialetti salentini, “brufìcu”, “mbrufìcu”, “prufìche”, “prufìcu”, ecc.): il suo lattice, ad esempio, veniva utilizzato nella medicina popolare salentina per calmare il mal di denti.[7]
Un altro uso del lattice di Caprifico era finalizzato alla preparazione di trappole per piccoli uccelli.
I frutti del caprifico, infilati a mò di corona negli steli della Carota selvatica (detta per questo motivo anche “’nfilabrufìcu” in dialetto), venivano appesi agli alberi di fico per favorire l’impollinazione del fico commestibile.
Il lattice di un fico fresco fatto sgocciolare su una ferita da puntura di scorpione serviva a far cessare il dolore del morso e a neutralizzare il veleno; era consigliato anche come antidoto per altri veleni.[8]
Il fico è presente anche in una singolare antica ricetta “per favorire il ciclo mestruale”. [9]
Questo frutto è considerato fin dall’antichità alimento altamente energetico: Pitagora ci racconta dell’usanza degli antichi atleti di cibarsi di cacio e fichi.
Nel dialetto di varie località il frutto è considerato sinonimo dell’organo femminile, ed è oggetto di vari proverbi e stornelli salentini a doppio senso. Dai tempi antichi gode fama di frutto erotico e afrodisiaco, e si ritrova nella composizione di diverse ricette magiche finalizzate ad accendere i sensi o alla fertilità.
Era molto utilizzato anche nell’ambito della stregoneria: ad esempio nella composizione, insieme ad altri ingredienti, di una “polvere per vincere la ritrosia della donna amata”,[10] nella ricetta di un improbabile “decotto per far concepire”,[11] in quella di una altrettanto improbabile “polvere per ingravidare e concepire un maschio”,[12] in quella di un’altra “polvere per concepire” (“fichi tagliati” insieme a radici di eringio, radici di satirione, foglie di sambuco).[13]
Sempre in ambito magico, le foglie di fico hanno la segnatura delle mani: giovano dunque secondo questa credenza ai mali delle articolazioni.[14]
Narda Mingolla, accusata di stregoneria dal Tribunale del Santo Officio di Oria, descrive la preparazione di un unguento che ha il potere di rendere invisibili, unguento la cui preparazione, asserisce Narda, le è stata trasmessa da una donna di Latiano, e che comprende “polvere di amendola amara e polvere di profico”. [15]
A Lecce, per scacciare il malocchio si recitava: “la fica, la fàa e l’ecchi de fore” (il fico, la fava, e gli occhi spalancati per l’invidia).[16]
In ambito mitologico, il fico nasce per mano di Gea che fa sorgere nel suo grembo un albero che ha lo stesso nome di suo figlio, Sykèus (da Sykè, “fico”).[17] A questo mito è ricollegata anche l’origine di Sykéa, una città della Cilicia detta anche la città del fico.[18]
Il fico è presente anche nel mito eleusino: Demetra dona a Phytalos per gratitudine la pianta del fico, e i discendenti del primo fichicoltore, i Phitalìdai, formano un collegio sacerdotale destinato a funzioni purificatrici.[19]
Secondo un altro mito, è Dioniso ad aver donato agli uomini il fico, e per questo motivo nel culto dionisiaco dell’isola di Nasso la maschera rituale del dio è intagliata nel legno di fico.[20] Nel legno di quest’albero è intagliato anche il fallo rituale di Dioniso, che veniva portato in processione durante le Falloforie. Nella religione romana, lo stesso simbolo appariva come attributo di Liber Pater durante la vendemmia.[21] Dei miti legati al fallo di Dioniso ricavato dal fico vi sono poi numerose altre varianti.[22]
Come nei miti greci e romani il fico è associato a Dioniso, Bacco e Liber Pater, così nelle Bhagavadgata è associato a Krishna, dio-simbolo di amore estatico e divino.
Nell’immaginario popolare dei greci antichi, il fico era associato sia ai genitali maschili che a quelli femminili: in particolare, il frutto chiuso alludeva allo scroto e quello semiaperto alla vulva, allusione ereditata anche dalla nostra cultura popolare.
Presso gli antichi greci spesso il capro dionisiaco e il caprifico, oltre ad avere lo stesso nome, τράγος, erano interscambiabili e indistinguibili.
Presso gli antichi romani il caprifico è simbolo di fecondazione e albero sacro nel mito delle origini della città di Roma: secondo Plutarco, la cesta con dentro Romolo e Remo, trascinata dalla corrente del Tevere, si arena miracolosamente in una insenatura fangosa sotto un fico selvatico. Secondo un’altra leggenda, la lupa nutre col suo latte. Romolo e Remo sotto un albero di caprifico detto anche Ficus ruminalis.
Durante la festa delle Nonae caprotinae, che si svolgeva il 9 luglio, le donne che vi partecipavano bevevano il lattice del caprifico e si percuotevano vicendevolmente con i rami dell’albero.
Il fico è considerato albero sacro e nutrimento divino anche dagli antichi Egizi, attributo e simbolo anche della dea Hathor.
In molte immagini dell’ Eden, l’Albero della conoscenza è un melo, in altre è un fico. Nella Genesi, le foglie con cui si coprono Adamo ed Eva dopo il peccato, sono foglie di fico.
Il fico ricorre nell’ Antico Testamento, anche come simbolo di fertilità e di vita gioiosa nel regno messianico.[23] Però, laddove identificato con l’ Albero del Bene e del Male, è anche lo strumento della caduta di Adamo ed Eva, e nel Nuovo testamento c’è, peraltro, un episodio in cui Gesù Cristo maledice il fico, poiché, mentre tornava da Betania a Gerusalemme, affamato, si avvicina ad una pianta di fico ma non vi trova frutti: allora dice “che da te non nasca più frutto in eterno”, e all’istante il fico si secca.[24] Questa ambivalenza, e in particolar modo la parte negativa di ciò che simboleggia il fico nel cristianesimo, si riflettono nelle credenze popolari dando luogo all’immagine del fico come una pianta frequentata da demoni, al pari del noce: così, in Sicilia esiste il detto “Spiritu di ficu e diavulu di nuci, tanti pàmpini siti, tanti diavuli facìti”.[25]
Gianfranco Mele
- Antonio Costantini, Marosa Marcucci, Le erbe le pietre gli animali nei rimedi popolari del Salento, Congedo Editore, 2006, pag. 82 ↑
- Ibidem ↑
- Domenico Nardone, Nunzia Maria Ditonno, Santina Lamusta – Fave e favelle, le piante della Puglia peninsulare nelle voci dialettali in uso e di tradizione, centro di Studi salentini, Lecce, 2012, pag. 252 ↑
- Nardone et al., op. cit., pag. 253 ↑
- Nardone et al., op. cit., pag. 252 ↑
- Nardone et al., op. cit., pag. 253 ↑
- Nardone et al., op. cit., pag. 182 ↑
- Salvatore Pezzella, Magia delle Erbe, vol. 1, Edizioni Mediterranee, 1989 pag. 97 ↑
- Salvatore Pezzella, op. cit., pag. 105 ↑
- Enrico Malizia, Ricettario delle streghe, Edizioni Mediterranee, 2003, pp. 232-233 ↑
- Enrico Malizia, op. cit., pag. 252 ↑
- Enrico Malizia, op. cit., pag. 258 ↑
- Enrico Malizia, op. cit., pag. 259 ↑
- Giovanni Tritemio, Il Libro delle Meraviglie, pag. 167 (edizione a stampa di un manoscritto del XV-XVI sec.) ↑
- Archivio Curia di Oria, Denuncia in data 24 luglio 1724 contro Narda Mingolla perchè posseduta dal demonio, f. 7 ↑
- Nardone et al., op. cit., pag. 252 ↑
- Ateneo, III, 78 A ss. ↑
- Alfredo Cattabiani, Florario. Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Mondadori ed., 2017, nota 112 a pag. 720 ↑
- Alfredo Cattabiani, op. cit., pag. 115 ↑
- Ibidem ↑
- Alfredo Cattabiani, op. cit., pag. 116 ↑
- ibidem ↑
- Gioele, 2,21-22; Michea, 4,3-4; Zaccaria, 3,10. ↑
- Matteo, 21,18-19 ↑
- Alfredo Cattabiani, op. cit., pag. 125 ↑