N.B.: le notizie, i preparati e le ricette inserite in questo articolo hanno unicamente valenza documentaria antropologico-folkloristica: non sono in alcun modo da considerarsi praticabili o sperimentabili.
Nel Salento, e in particolare nei tratti di macchia litoranea, sono frequentemente presenti il ginepro coccolone (Juniperus oxycedrus subsp. macrocarpa) e il ginepro feniceo (Juniperus phoenicea).
Anticamente, l’olio di ginepro era considerato stimolante ed emmenagogo, e quindi era adoperato come abortivo.
A Lecce con i frutti di ginepro si preparava una bevanda alcolica detta cernìperu. L’origine di questa bevanda è antichissima, e difatti già nel II sec. a.C. Catone il Censore indicava la composizione di un vino diuretico ottenuto dalle coccole del ginepro: questo vino aveva anche fama di combattere l’idropisia, la renella, i calcoli, le infiammazioni della vescica e delle vie urinarie.
Un olio ottenuto dalla distillazione secca del legno, era utilizzato per ferite e screpolature della pelle.
I galbuli del ginepro erano usati dai bambini per i loro giochi alla stessa stregua delle biglie di vetro.
Ha proprietà antisettiche, aromatizzanti, balsamiche.
Le bacche erano utilizzate anche per facilitare la digestione e per profumare i piatti di cacciagione.
Nel codice “Historia Plantarum” (fine XIV secolo) il ginepro è indicato come rimedio per le patologie dell’ articolazione sacro iliaca e per le difficoltà ad orinare, e infatti è riportato: “L’olio di ginepro è efficacissimo contro il disturbo iliaco, la stranguria e la disuria: si dà al paziente nel vino in quantità modesta e si ungono anche le parti dolenti. Contro l’epilessia si unge la spina dorsale del paziente. Contro il disturbo ai calcoli si inietta per siringa.”
Un ricettario del ‘500 prescrive i frutti del ginepro come rimedi per tonificare il cervello e la vista, per eliminare i gas nocivi del corpo, risanare il midollo nelle cavità ossee, sanare dolori, nutrire il sangue, riattivare la circolazione, disintossicare il corpo, guarire malattie bronchiali e dello stomaco, eliminare i calcoli della vescica, impedire i tremori delle membra tipici della vecchiaia, purificare l’alito, togliere la lacrimazione oculare, purificare la memoria, prevenire l’angina pectoris, prevenire dolori al cuore e in qualsiasi parte del corpo. Dovevano essere raccolti a metà agosto, e lasciati per un paio di giorni in vino bianco con aggiunta di un po’ di acquavite; poi riposti in una pezza di lino bianco e lasciati seccare al sole. Una volta ben secchi, dovevano essere assunti al mattino e alla sera (tre o cinque frutti secchi immersi in vino bianco una tantum, non quotidianamente).
Fumigazioni di semi di ginepro erano utilizzate contro il mal di testa da raffreddamento e contro ogni forma catarrale.
Il nome locale dialettale del ginepro è “sciannìbulu”, “sciannìpulu”, confrontabile anche con cinìpulu, scianìbale, sciannièbale, scianìpru, utilizzati in altri paesi del Salento e derivanti tutti dal latino juniperus.
A Taranto è attestato il termine frasciannìpule per indicare dialettalmente il ginepro, ed è stato interpretato come composto da “frasca + il latino juniperus” (il nome tarantino e l’interpretazione etimologica sono presenti nell’ottocentesco Vocabolario del dialetto tarantino curato dall’erudito domenicano De Vincentiis, e il Rohlfs riprende nel suo Vocabolario dei dialetti salentini, in questo caso, l’interpretazione del De Vincentiis). Ma è probabile, invece, che il termine dialettale tarantino dedichi al ginepro il nome del frate francescano Ginepro di Assisi, compagno di San Francesco. Questo frate, a quanto sembra, nacque a Bevagna, in provincia di Perugia, intorno al 1190 e morì a Roma nel 1258 (anche se alcune fonti lo descrivono come personaggio di fantasia). Le sue gesta sono descritte in un manoscritto intitolato Vita fratris Iuniperi. Di questa opera latina, esiste un volgarizzamento trecentesco spesso posto in appendice alle moderne edizioni dei Fioretti di San Francesco.
A Sava esiste una edicola votiva detta “la Madonna ti Frasciannipuli” o anche “Frasciannibuli” che prende il nome da un altro frate Ginepro, scultore del busto della Madonna posta in tale edicola nel 1872. Questo frater Juniperus locale, evidentemente, aveva preso il nome dall’antico personaggio francescano, secondo la tipica usanza monastica di cambiare nome dopo aver preso i voti, e di dedicare il nuovo nome ad un personaggio esemplare. “Frasciannipuli” pertanto non starebbe per “frasca+juniperus” ma per “fra’ Juniperus”.
Curiosamente, il nome richiama alla mente, per assonanza, il tedesco Frau Wacholder (Madama Ginepro), che, come vedremo più avanti, è una divinità femminile che personifica lo spirito della pianta ed ha la caratteristica di essere guardiano delle soglie.
Il ginepro era utilizzato anche come amuleto contro i sortilegi.
Si credeva che le foglie e i rami bruciati tenessero lontani gli spiriti maligni, e potessero proteggere dalle pestilenze. Queste credenze hanno antichissime origini, dal momento che in greco era detto árkeuthos, dal verbo arkéo, che significa “allontanare, respingere un pericolo”, proprio in omaggio alla sua fama di pianta in grado di scacciare spiriti maligni e malattie.
Si pensava che la scorza del ginepro, bruciata, ridotta in cenere e mescolata con acqua, potesse giovare alla lebbra e alla rogna.
In alcune zone della Toscana esisteva la tradizione di appendere alle porte un ramoscello di ginepro perchè si pensava che le streghe, vedendolo, erano spinte a contarne le numerose e piccolissime foglie: desistevano così da altri intenti, accanite come erano su questa operazione dalla quale non riuscivano a sottrarsi, e, oltretutto, inevitabilmente “sbagliavano il conteggio” e arrivava poi il momento in cui, sia perchè spazientite, sia perchè avevano perso troppo tempo in quella operazione ed avevano paura di essere riconosciute, si allontanavano.
In Germania si credeva che esistesse un genio femminile del ginepro, detto Frau Wacholder (Madama Ginepro): trattasi di uno spirito legato alla magia, alla guarigione, alla prosperità, all’abbondanza e alla fertilità. Viene invocata per impedire a fantasmi e demoni di disturbare, e per facilitare la comunicazione con i propri cari defunti. Questa divinità può aprire o chiudere le porte di comunicazione con l’aldilà.
Se invocata, Frau Wacholder aveva anche il potere di indurre i ladri a restituire ciò che avevano rubato. L’operazione da eseguire era la seguente: ci si doveva fermare presso un ginepro, e curvare un ramo fino a terra tenendolo fermo con una pietra, e chiamando ad alta voce il ladro. Questo, non poteva resistere a quel richiamo, e doveva necessariamente presentarsi alla vittima del furto restituendogli il maltolto.
Il ginepro è anche il titolo di una fiaba dei fratelli Grimm, che narra della persecuzione e della uccisione di un ragazzo da parte della sua matrigna (la quale giunge persino a far mangiare il cadavere al padre, ignaro). Sotto l’albero del ginepro, per sua esplicita richiesta, era stata seppellita la vera madre del bambino; sotto il ginepro, la sorellastra della vittima seppellì anche il fanciullo dopo averne radunato le ossa. Da qui, il fanciullo rinacque trasformato in uccello. Nella sua nuova vita da volatile, il fanciullo si posa presso le dimore del paese, cantando sempre la stessa canzone, che fa: «Mia madre mi ammazzò, mio padre mi mangiò, mia sorella Marilena l’ossa mie tutte raduna; nella seta le ha legate, sotto il ginepro celate. Ciuì, ciuì, che bell’uccello è qui!»
l ginepro è presente anche in antichi ricettari magici, ad esempio nella preparazione di un Elisir per accendere la sensualità contenente infusione alcolica di Ginepro insieme a tintura di zafferano, di artemisia e di cantaride.
Sempre nell’ambito delle antiche ricette magico-esoteriche, l’ essenza di ginepro fa parte di un’altra mistura (in questo caso un balsamo) utilizzata a fini erotici, insieme ad altre essenze (di rosa, di gelsomino, di fiori d’arancio). Questo, perchè in passato si attribuivano al ginepro anche azioni sesso-stimolanti. Tuttavia, nella prima ricetta qui descritta il ginepro è abbinato ad altri agenti tradizionalmente utilizzati a fini erotici (artemisia, zafferano, cantaride).
Gianfranco Mele
BIBLIOGRAFIA
Domenico Nardone, Nunzia Maria Ditonno, Santina Lamusta, Fave e favelle, le piante della Puglia peninsulare nelle voci dialettali in uso e di tradizione, Centro di Studi Salentini, Lecce, 2012
Domenico Ludovico De Vincentiis, Vocabolario del dialetto tarantino, Tipografia latronico Taranto, 1872
Gerard Rohlfs, Vocabolario dei dialetti salentini (Terra d’Otranto), Monaco, 1956-1957 ed. it. Congedo Editore, Galatina, 1976
Salvatore Pezzella, Magia delle Erbe, vol. 1, Edizioni Mediterranee, 1989
Enrico Malizia, Ricettario delle streghe, Edizioni Mediterranee, 2003
Alfredo Cattabiani, Florario. Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Mondadori, 1996
Jacob e Wilhelm Grimm, Le fiabe del focolare, Torino, Einaudi, 1951
Judika Illes, The Ultimate Guide to the Magic of Fairies, Genies, Demons, Ghosts, Gods & Goddesses, 2009