Pellegrinaggio e Casa. Viaggio e Radici. Ritengo che la lettera del Papa emerito Benedetto XVI, inviata a Massimo Franco del “Corriere della Sera”, (7 febbraio 2018), e pubblicata sul quotidiano di Milano, rappresenti un vero e proprio testamento scritto non con le parole, neppure con la teologia, bensì con la consapevolezza che soltanto un filosofo, che pone insieme mistero, sacralità e destino, è in grado di focalizzare in due parole fondamentali: pellegrinaggio e Casa. Il pellegrinaggio si vive attraversandolo. La Casa si abita.
Benedetto XVI scrive nella lettera: “Sono in pellegrinaggio verso Casa”. Non ci sono illusioni. Neppure Pascal avrebbe insistito sul concetto di dubbio. Giordano Bruno non sarebbe finito tra le fiamme.
Una nota brevissima nella quale campeggiano gli elementi pregnanti del suo pensiero forte, del suo essere “parola pensante” e della sua attenzione nei confronti del legame tra infinito ed eterno, piuttosto che della mutevolezza del quotidiano. Il legame tra infinito ed eterno connota le parole che egli rivolge ai suoi lettori, in nome di una profondità d’animo che esula da qualsiasi visione religiosa, bensì profondamente umana e, se vogliamo, metafisica. Alla fine della sua missiva, con un semplice “cordiali saluti”, sottolinea un ringraziamento. È qui che si notano la grande spiritualità e la maestosa personalità di un Papa che conosce la “RINUNZIA”. Il coraggio del mistico!
La sua notevole attenzione è rivolta non tanto verso valori e idee, quanto nei confronti di una filosofia dell’essere. È palese la diversità con l’attuale leggerezza di papa Francesco. La sua profondità, il senso perenne del pensiero e la concettualizzazione dell’essere emergono nella frase finale dei ringraziamenti, quando sottolinea:
“Non posso far altro che ringraziare, nell’assicurare da parte mia a voi tutti la mia preghiera”.
Non scrive “Pregate per me”, che enuclea l’attualismo della ragione.
Egli sottolinea la sua grande fede come se ribadisse: Io vi ho nella mia preghiera. Non afferma il contrario, ovvero Pregate per me. La diversità è tra essere Dio nel Cristo vivente ed essere spazio nel relativismo umano.
Sono del parere che la funzione del sacro esuli da qualsiasi forma di illuminismo relativista o da qualsiasi forma di relativismo pre – immanente e di attualismo, perché il pensiero – anima non è attualismo, il mistero cristiano non è attualismo. È la pazienza della beatitudine, della sacralizzazione della Croce nel Mistero.
La metafora del pellegrinaggio, che vive il Papa emerito, è il suo personale viaggio nella propria solitudine, ma è la simbologia del viaggio dei monaci del deserto, i pellegrini in attesa o verso il Dio – Città di Dio. Un viaggio verso quella Casa che è l’infinitudine.
Come si fa a non comprendere il dato filosofico, anti-ragione, anti-razionalismo, anti-razionalità di questa grande personalità che è Benedetto XVI? Il pellegrinaggio è essere pellegrini nella propria casa con la “c” minuscola verso la grande Casa che è l’abitazione dell’eterno nella definizione di orizzonte in una ontologia del Supremo.
Nelle brevi parole che consegna a Massimo Franco non vi è soltanto la sua visione della rinuncia al pontificato (sono ormai trascorsi cinque anni da quel giorno), ma sono presenti anche quelle linee portanti che ci fanno cogliere il valore dell’interiorità, soprattutto quando dichiara
“Io sento scemare le forze fisiche interiormente. Divento sempre più un pellegrino in pellegrinaggio verso Casa”.
Il suo viaggio, che diviene un viaggio circolare, pone una importante questione che è quella della centralità del Cristo e non delle religioni, non del sinodo interreligioso in sé, ma della cristianità concepita nel pellegrinaggio e nella Casa – Sempre.
Metafore che diventano Cerchio delle metafisiche. In contrapposizione con una religiosità rettilinea.
In queste sue parole, “Io prego per voi”, rinveniamo anche la profonda visione legata alla commozione della sua preghiera in solitudine. La Solitudine è il viaggio orante verso una Terra non promessa, ma una Terra certa.
Qui si manifesta la notevole differenza tra due modelli di visioni di vita, di civiltà, di eredità spirituale. Nelle parole di Benedetto XVI vi è una eredità spirituale che è semantica e diventa una geografia testamentaria. Non vi troviamo né leggerezza né ironia, ma il sorriso dell’anima, quella dimensione ontologica che si deve al “grande pensiero”, alla grande manifestazione del pensiero; e tale è il pensiero di Benedetto XVI, tale è nei suoi scritti così come in questa breve nota che consegna a “Corsera”.
Personalmente considero Benedetto XVI non solo uno dei più grandi papi, ma anche uno dei più grandi filosofi che abbiano attraversato la teologia del mistero, ritornando alla filosofia dell’essere, alla centralità in un modello antropologico tra uomo e Dio. Una visione, la sua, in cui Dio diviene quasi un trasgredire una tradizione per recuperare il senso ontologico di una metafisica dell’essere e della priorità del pensiero che vive l’anima o dell’anima che diventa pensiero senza alcun dubbio, senza alcuna interferenza della ragione. La fede, appunto.
Io prego per voi, significa proprio questo: io che ho fede posso pregare per voi perché, se non avessi fede, non affiderei la mia parola pensante e supplicante alla Preghiera. La Preghiera come Dono e mai come richiesta.
Un grande pensatore. Un grande Papa. Un grande filosofo.
È come se ci regalasse “una briciola di Dio” (Paul Claudel) nella lettura di una Apocalisse che vive la “Briciola” come un diamante, ovvero come la “bianca pietra”. Le parole sigillano il cuore con l’anima in un Antico Testamento che sa vivere con la voce del Profeta. Benedetto è un Profeta che si è confrontato con la “sposa infedele” che è la Chiesa.
È come se la pietà si intrecciasse con la penitenza. La pietà è nel saper raccogliere le Solitudini e attraversare i deserti. Un taglio di bosco è il suo Pellegrinaggio.
Pierfranco Bruni