Il Lentisco (Pistacia lentiscus) è pianta tipica della macchia mediterranea.
Nomi dialettali: frasca, lentìscu, listìncu, restìncu, ristìncu, stincu, màcchia, macchiòne.
I frutti maturi del lentisco, frantumati e bolliti in acqua, erano utilizzati per ricavare olio lampante.
Girolamo Marciano ricorda che Avetrana produceva molto olio di Lentisco che esportava in tutta la provincia.
L’olio di Lentisco poteva essere impiegato anche come olio commestibile, in alternativa all’olio d’oliva o mescolato con quest’ultimo (in Sardegna particolarmente, c’è una lunga tradizione dell’uso di olio alimentare ricavato dal lentisco).
Le foglie erano impiegate a scopo tintorio (per tingere di giallo il cotone, la lana, il bisso). Le cime fogliose erano utilizzate anche per aromatizzare la concia delle olive in acqua.
Il legno decotto era utilizzato per curare i reumatismi. A fini di massaggi, sia antireumatici che rassodanti, era utilizzato l’olio.
L’infuso delle foglie era utilizzato come astringente e antidiarroico; con il decotto delle cime fogliose, unite a quelle di cisto e mirto, si curavano le piaghe degli animali.
Le foglie erano utilizzate anche per la concia delle pelli, e l’olio per ammorbidirle. A questo scopo, nel XVII secolo dalla Puglia partivano carichi di Lentisco destinati ai conciatori veneziani.
I frutti, specialmente in epoca romana, erano utilizzati per aromatizzare le carni.
La cenere di lentisco era utilizzata nel bucato a mano, posta sulla tela che fungeva dal filtro insieme a rametti di mirto, allo scopo di sbiancare e profumare.
I rami erano utilizzati per ricavarne carbonella; quelli più giovani e flessibili erano utilizzati da pastori per ricavarne, intrecciandoli, collari per pecore e capre; erano utilizzati anche per lo scheletro di cesti e panieri.
Con i ramoscelli si costruivano scupàri, che servivano per pulire il forno prima di cuocere il pane. L’ acqua ti lu scupàru era utilizzata per strofinare le parti doloranti di persone e animali.
Contro l’ipertensione si utilizzavano le foglie in decozione; sempre le foglie decotte, si utilizzavano per sciacqui contro il mal di denti.
Il decotto di foglie era utilizzato anche contro affezioni e calcolosi delle vie urinarie, e come depurativo del sangue.
Un fascio di rami di Lentisco appeso alla porta della casa, delle rivendite, delle “cantine”, indicava il punto di vendita del vino (a volte, in alternativa veniva utilizzato un ramo di pino o di edera).
La resina del lentisco, detta “mastica”, era usata come antalgico locale e come epitalizzante nelle ustioni, e, modellata in palline masticabili, veniva utilizzata per curare gengiviti e infezioni del cavo orale, nonché per imbiancare i denti.
La parola “mastice”, oggi utilizzata per definire qualsiasi sostanza adesiva, deriva dal greco “mastiche”, che indicava proprio la resina di lentisco, impiegata ad uso masticatorio.
A tutt’oggi il mastice ricavato dal lentisco è chiamato “mastice di Chio” (dal nome dell’isola greca, dove la sua produzione era abbondante). Si usa ancora, per preparare vernici, mastici comuni, per aromatizzare vini e liquori, come masticatorio per l’aumento della secrezione salivare.
L’ “oglio di mastice” è citato in un processo per stregoneria tenutosi nel 1679 presso il Tribunale del Santo Officio di Oria, ed è impiegato dalla masciàra Grazia Gallero per la composizione di un unguento per volare al sabba.
Maurizio Nocera riferisce di un singolare impiego del mastice ricavato dal Lentisco: un anziano contadino da lui intervistato gli racconta che le masciàre salentine “davano questa gomma da masticare alle donne che volevano conquistare un uomo e soprattutto se ne servivano quando si accingevano ad un rapporto sessuale”.
Ritornando agli usi medicinali, quelli che abbiamo descritto nell’articolo (ed altri), erano conosciuti ed impiegati fin dai tempi antichi. Plinio, parlando del Lentisco, scrive:
“Sia le drupe, sia la scorza e la linfa, sono diuretiche e arrestano il flusso di ventre, mentre il loro decotto cura le ulcere serpiginose. Le si impiastra anche sulle ulcere sierose e contro il fuoco sacro, e funzionano da colluttorio per le gengive […]. La linfa giova alle malattie dell’ano e per le affezioni nelle quali sia necessario riscaldare e prosciugare una zona del corpo. Per lo stomaco si usa il decotto della linfa, poiché fa ruttare, ed è diuretico; dallo stesso si ottiene anche un impiastro con farina d’orzo per il mal di capo. Il mastice è usato per rovesciare le palpebre e distendere la cute facciale, per fabbricare paste detergenti, contro l’emoptisia, contro la tosse cronica e tutte le affezioni su cui agisce anche l’ipocistide. Cura il lentisco, inoltre, le escoriazioni, sia in impiastro fatto con olio dei suoi frutti mescolato con cera, sia con il decotto delle foglie in olio, sia con questi stessi scaldati in acqua”.
Il Lentisco era consacrato a Dictynna, antica divinità cretese delle acque, della prosperità e della fertilità, identificata anche da alcune fonti come una Ninfa di Artemide e/o come emanazione di Artemide stessa.
Gianfranco Mele
BIBLIOGRAFIA
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