Nell’antichità il Melograno rappresentava l’immortalità, la fertilità, la forza della creazione e l’abbondanza; era inoltre il simbolo della primavera, del rinnovamento, della rigenerazione.
Gli antichi romani ornavano il capo delle spose con rametti di melograno come augurio di fecondità e prosperità. In Turchia la sposa getta per terra come augurio una melograna, poiché, si crede, potrà avere tanti figli quanti i chicchi usciti dal frutto. Anche in Vietnam, si recita una filastrocca che dice pressapoco: “si apre la melograna, e vengono cento figli”.
Si credeva, secondo alcune versioni mitologiche, che questa pianta fosse nata dal sangue di Dioniso (secondo altre dal sangue di Agdìstis, come vedremo), e veniva associata anche ad Afrodite, e pertanto a significati erotici e a proprietà afrodisiache.
Il Melograno gode di fama afrodisiaca anche nel Medioevo: si credeva potessero eccitare i sensi la corteccia, i frutti, e soprattutto il vino di melograno. Una ricetta a base di melograno come rimedio per uso esterno, per chi soffre di “pigrizia sessuale” è indicata anche nel Dioscoride del Mattioli e consiste nella preparazione di una polvere ottenuta da bucce di melograno, da cospargere “sulla parte interessata”.
Il melograno come afrodisiaco fa parte persino di una ricetta tibetana per risvegliare il desiderio sessuale, e che comprende, oltre alla mela granata, Malva, Cannella, Angelica, Asparago, Pepe lungo, Cardamomo, Plygonatum cirrhifolium, Tribulus terrestris, Mirabilis himalaica.
Tuttavia, non è stata isolata nessuna vera e propria sostanza afrodisiaca sinora nel melograno. La polpa del frutto contiene proteine, grassi, idrati di carbonio, minerali (calcio, ferro, potassio, sodio, fosforo), vitamine (vitamina C, riboflavina, tiamina, niacina). Nella corteccia dell’albero e in misura minore nella scorza del frutto, sono presenti tannini, acidi gallici, acidi betulinici, friedelina, betasitosterina e alcaloidi (piridina, piperidina, isopelletierina: quest’ultimo può incrementare l’eccitabilità dei centri nervosi). Questi alcaloidi hanno inoltre proprietà antielmintiche. I fiori contengono tannini, dalle proprietà astringenti.
Il decotto della scorza del frutto era utilizzato nella medicina popolare salentina per la cura dei parassiti intestinali.
Il frutto era utilizzato come cibo devozionale e aveva significati beneaugurali (di rinascita, di fertilità e di abbondanza).
I chicchi di melograna erano utilizzati anche come condimento del grano lessato, in un piatto preparato appositamente per la commemorazione dei morti, nel giorno 2 novembre. Sempre come cibo dei morti, era utilizzato a Brindisi la notte della vigilia dell’ Epifania, e a Massafra come cibo di consolazione nel giorno dell’ Assunta.
Donna egiziana che beve il vino di Melograno
Nel santuario di Santa Maria del Granato a Capaccio Vecchio (Salerno) si venera la Madonna del Granato, che tiene in una mano un frutto di melograna come fosse uno scettro. Questa singolare Madonna pare ispirata alle Grandi Madri precristiane di cui parliamo appresso, e che simboleggiano con il melograno in mano la funzione di generazione e rigenerazione del cosmo.
Nel Museo di Paestum si conserva una statua arcaica di terracotta raffigurante Era con un frutto di melograno nella mano, e un’altra statua raffigurante sempre Era con un bimbo in braccio e un melograno.
Nel Museo Provinciale Campano si conservano altre statuette di Kourotrophoi (“donne che nutrono”, “che curano”, nutrici) con la melagrana.
Pausania aveva parlato di una statua di Era in Argo, con il frutto di melograno in una mano e nell’altra lo scettro. Non volle svelare il significato della melagrana, dicendo che “non è lecito parlarne”.
Come abbiamo detto in apertura dello scritto, la melagrana è associata anche ad Afrodite (secondo un mito questa dea avrebbe piantato per la prima volta l’albero nell’isola di Cipro), e ad altre divinità come Dioniso, Atena, Kore-Persefone.
Nel dialetto salentino la melograna è chiamata “seta”, e questo termine deriva da un nome greco della melograna, Side.
Nell’antica Roma si pensava che il melograno, detto malum punicum (melo fenicio) proveniva dall’area fenicia, da Sidone, città che dava i natali ad una mitica figura femminile di nome Sida, moglie di Belo e madre di danao ed Egitto, che una leggenda racconta anche che fu trasformata in melograno. In realtà l’albero del melograno (nome botanico Punica granatum), proviene da una zona che si estendeva dal Punjab (India) ai territori a sud del Caucaso.
Secondo un’altra leggenda, Side era la sposa di Orione, e da costui fu gettata nell’Ade perchè aveva osato misurarsi con Era in una gara di bellezza.
Una ulteriore variante del mito narra che Side, insidiata da suo padre, si uccise sulla tomba della madre: dal suo sepolcro sorse il melograno, mentre il padre fu trasformato dagli dei in un nibbio, il rapace che non si posa mai sui rami del melograno.
In un altro mito, originatosi in Frigia, si racconta che una roccia di nome Agdos aveva assunto la forma della Grande Madre: su questa roccia si era addormentato il dio del cielo, Papas. Mentre papas dormiva cadde il suo seme sulla roccia che fu fecondata, e ne nacque un essere androgino di nome Agdìstis. Agdìstis era arrogante e oltraggioso, e per questo motivo fu punito da Dioniso. Un giorno, dopo essersi recato a caccia, Agdìstis si fermò a bere l’acqua di una sorgente; ma Dioniso, sapendo che Agdìstis sarebbe andato là ad abbeverarsi, aveva trasformato quell’acqua in vino. Così, Agdìstis cadde in un profondo torpore e Dioniso ne approfittò per legare il suo membro con una fune. Quando Agdìstis si risvegliò, balzò in piedi di soprassalto, e, non accortosi che aveva il membro legato, si evirò a causa dello slancio del salto compiuto. Inondò perciò la terra di sangue, ma di un sangue talmente fecondo da far nascere istantaneamente un albero di melograno con il suo caratteristico frutto.
Quel frutto fu raccolto un giorno da Nana, figlia del dio Sangarios. La fanciulla, attirata dalla bellezza del melograno, lo colse e se lo pose in grembo, e così fu ingravidata da quel frutto dal quale nacque Attis.
Il melograno è associato a Persefone e appare negli Inni Omerici dedicati a Demetra laddove si narra del rapimento di Persefone ad opera di Ade: poiché Demetra, irata per aver perso la sua figliola, maledisse la terra con i suoi frutti, Zeus invia Ermes presso Ade per liberare Persefone e far cessare così l’ira di Demetra. Ade dovette acconsentire ma escogitò un espediente: diede a mangiare a Persefone il seme di melograno, così che per mezzo di questo incantesimo Persefone sarebbe dovuta perriodicamente ridiscendere nell’ Ade. E’ la stessa Persefone a raccontare a Demetra che “quando a me venne Ermes il corridore, messaggero veloce, da parte del padre Cronide e degli altri dei, progenie del cielo, a dirmi di risalire dall’Erebo, affinchè rivedendomi con i tuoi occhi tu ponessi fine al rancore e all’ira inesorabile contro gli immortali, al vederlo balzai in piedi piena di gioia; ma Ade, insidiosamente, mi porse il seme di melograno, cibo dolce come miele, e contro la mia volontà mi costrinse a mangiarlo”.
In tutti questi miti la melograna assume il significato di simbolo di morte-rinascita, rigenerazione, rinnovamento della vita e delle stagioni.
Il melograno come simbolo di fecondità e prosperità permane anche nell’ Antico Testamento, dove simboleggia anche femminilità e regalità.
L’abito sacerdotale di Aronne, fratello di Mosè e primo sacerdote del popolo ebraico, porta sopra ricamate, per ordine del Signore, melograne di porpora viola, di porpora rossa e di scarlatto, e sonagli a forma di melagrana.
Il frutto della melagrana assomiglia nel picciuolo ad una corona, e così Salomone fa scolpire melegrane sui capitelli della sua reggia come simbolo di regalità e insieme di benedizione divina.
Nel Rinascimento la melagrana è simbolo di concordia, e nell’ Iconologia di cesare Ripa la Concordia è raffigurata come “una bella donna che mostra gravità e tiene nella mano destra una tazza con un pomo granato, nella sinistra uno scettro che in cima abbia fiori e frutti di varie sorti, e in capo haverà una ghirlanda di mele granate con le foglie e i frutti”.
Gianfranco Mele
BIBLIOGRAFIA
Christian Ratsch, Le piante dell’amore, Gremese editore, 1991
Domenico Nardone, Nunzia Maria Ditonno, Santina Lamusta Fave e favelle, le piante della Puglia peninsulare nelle voci dialettali in uso e di tradizione, Centro di Studi Salentini, Lecce, 2012
Alfredo Cattabiani, Florario. Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Mondadori, 1996
Pausania, guida della Grecia, II
Inni Omerici a Demetra
Cesare Ripa, Iconologia ovvero descrizione delle immagini universali cavate dall’ Antichità e da altri luoghi, 1603