Il mirto è caratteristico della macchia mediterranea, ed è elemento fondamentale nella simbologia dei Misteri Eleusini e in quelli Orfici. E’ una pianta sacra a Venere, ai Lari e alle Ninfe del mare.
Nella tradizione locale era utilizzato con vari scopi: cosmetico, ornamentale, aromatizzante, alimentare, come agente tintorio; il suo olio era usato per l’illuminazione e per le concerie, i virgulti per intrecciare cesti e panieri, e a scopi medicinali si usava il mirto per disinfettare e rafforzare le gengive (foglie masticate), o per il mal di gola (decotto). Un’altro impiego del mirto era per purificare l’alito, secondo una antica tradizione citata anche nel codice “Historia plantarum” (fine XIV sec.) che recita: “la polvere dei frutti del mirto data al mattino prima del cibo e assieme al vino giova ad eliminare il fetore della bocca dovuto a un disturbo dello stomaco”.
A Manduria si usava il detto “ti la Mmaculata la murtedda è maturata”, per indicare appunto che le bacche son mature ai primi di dicembre, nel periodo dell’ Immacolata.
Le bacche sbollentate, essiccate e conservate nelle giare si mangiavano nel periodo natalizio e durante tutta l’invernata, e da qui l’altro detto “ti Natali la murtèdda allu putàri”.
Il mirto veniva utilizzato, inoltre, per la concia delle olive.
Nel Seicento i conciatori veneziani importavano foglie di mirto e di lentisco dalla Puglia.
Dalla distillazione di foglie e fiori si estraeva l’ “acqua angelica”, un cosmetico utilizzato per rendere candida la pelle femminile.
Questa pianta è sempre stata associata alla bellezza e alla femminilità: per i greci era gradita ad Afrodite, e i romani lo utilizzavano nelle feste nuziali.
Oltre che simbolo di bellezza, il mirto era simbolo di gloria eroica.
Molte eroine o amazzoni della antica Grecia avevano nomi che richiamano il mirto: Myrtó, Myríne, Myrsíne, Myrtíla.
Secondo il mito, Myrsíne era una giovane donna abilissima in guerra, che venne uccisa dagli uomini per gelosia delle sue virtù, e trasformata dagli dei in mirto.
Il mirto è anche, come già accennato, pianta sacra ad Afrodite che la aveva adottata dopo essere sbarcata a Citera. Una leggenda racconta che Erostrato, devoto ad Afrodite, fu colto da una tempesta mentre navigava nei pressi delle coste egiziane, e così la dea intervenne in suo aiuto manifestando la sua presenza attraverso foglioline di mirto che spuntarono improvvisamente da una statuetta a sua immagine comperata da Erostrato prima di affrontare il viaggio. Afrodite si manifestò in questo modo e protesse Erostrato e i suoi marinai, aiutandoli a superare la tempesta e ad approdare.
Per questo motivo il mirto era considerato anche di buon auspicio per viaggi e partenze.
Il mirto era considerato anche pianta purificatrice, energetica e rinvigorente.
Si pensava anche che potesse allontanare gli effetti dannosi delle sbornie di vino.
Anche nella antica Roma il mirto era simbolo di purificazione ed era piantato nei luoghi pubblici in omaggio a Venere che era considerata sia protettrice delle unioni coniugali che di quelle politiche, diffondendo energia di pace. Secondo alcune interpretazioni, il simbolismo di questa pianta in Roma è ereditato da un antico legame tra il mirto e il culto arcaico della Grande Madre.
Il mirto è collegato anche al simbolismo dionisiaco, e al mondo infero: Dioniso, sceso nell’Ade per liberare sua madre Semele uccisa dalla folgore di Zeus, dovette lasciare in cambio una pianta di mirto. Così, la pianta assume la doppia simbologia di pianta di Dioniso e dei morti.
Nel calendario arboreo dei greci il mirto è simbolo di morte e chiude l’anno.
Afrodite e il mirto sono collegati anche a Taranto e alla Magna Grecia: intorno al 1760 nella città vecchia vennero alla luce i resti di un tempio dedicato alla dea. Venne recuperata un’ara marmorea con un bassorilievo di Afrodite (oggi custodita nel Museo di Copenaghen). Cataldantonio Carducci ne descrisse le caratteristiche: “l’ara ha l’altezza di palmi tre e un quarto, e larghezza di due, con un festone di mirto che la cinge intorno nel lembo superiore, che nei quattro angoli termina in una testa di ariete. Alle quattro facce ci sono quattro bassi rilievi. Uno rappresenta appunto la dea armata d’asta, e con la palma sinistra stretta al seno sostiene il pomo, ed ha un amorino alato sull’omero sinistro in atto di porle sul capo un serto di mirto”.
Coerentemente con i poteri attribuitigli sin da tempi più remoti, anche in epoca medievale e rinascimentale si credeva che il mirto potesse accrescere la forza sessuale e il desiderio, e anche che potesse conservare la giovinezza. La pianta è presente, perciò, anche in ricettari magici. Una “polvere per irrobustire l’uomo fiaccato sessualmente”, si ottiene con la tritatura di un corno di cervo (dieci once) mescolato a un’ oncia di radice di aconito e con l’aggiunta di foglie, fiori e bacche di mirto macerate in acqua piovana ed essiccate all’ombra; il tutto, amalgamato con sublimato di acqua di doppie rose rosse, palme, foglie e frutti di olivo (“un cucchiaino di questo composto, per tre volte al dì per venti giorni”) . Da sottolineare la forte tossicità dell’ aconito, in questa improbabile ricetta. Un pugno di foglie di Mirto compare anche nella composizione di una polvere per trasformare una fanciulla pudica in danzatrice (gli altri ingredienti sono: “uno scrupolo di segala cornuta, un pugno di maggiorana selvaggia, un pugno di maggiorana franca, uno scrupolo di tasso selvaggio, un pugno di verbena, tre foglie di noce e tre piccoli finocchi”). Vale, ovviamente, per queste “ricette” l’avvertenza che pongo ad ogni mio scritto nel quale descrivo usi popolari e magici delle piante: tali descrizioni hanno unicamente valenza documentaria etno-antropologica, e non sono in alcun modo da considerarsi praticabili o sperimentabili.
Gianfranco Mele
BIBLIOGRAFIA
Domenico Nardone, Nunzia Maria Ditonno, Santina Lamusta, Fave e favelle, le piante della Puglia peninsulare nelle voci dialettali in uso e di tradizione, Centro di Studi Salentini, Lecce, 2012
Alfredo Cattabiani, Florario. Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Mondadori, 1996
Cataldantonio Atenisio Carducci, Delle delizie tarantine libri IV. Opera postuma di Tommaso Niccolò d’Aquino patrizio della città di Taranto, Napoli, 1771
Enrico Malizia, Ricettario delle streghe, Edizioni Mediterranee, 2003