Con la perdita di mio padre ho perduto anche il paese che lo ha visto nascere, vivere e morire. Ho perduto il suo paese, ma anche il mio. E’ sempre stato un paese “strano” il mio, nel senso che i suoi cittadini non si sono mai curati di rispondere o fornire una plausibile spiegazione per l’epiteto di cui, mi pare, non vanno fieri. Il mio paese – si dice – sia il paese dei coglioni. Ancora oggi ogni volta che dichiaro la mia provenienza, il commento è sempre lo stesso: «Il tuo è il paese dei coglioni.» Ci sono voluti anni perché identificassero il mio paese come il paese del mare, dell’olio, dell’uva e dei cavalieri di Malta. Quasi tutti conoscono il mio paese per i suoi coglioni. Molti miei concittadini, fuori dalla Puglia, si definiscono genericamente tarantini o salentini per non sentire la solita battuta sui coglioni. I campanilisti, invece, dicono fieramente che i coglioni del proprio paese, in quanto tali, raccolgono gli amori dei paesi vicini perché sono sani e ospitali, seducenti curatori delle donne altrui. Io invece cerco di redimere l’ingenerosa battuta decantandone la portata storica: il nostro è il paese dei templari e dei cavalieri di Malta. (…)
Dopo la perdita di mio padre ho capito che il mio paese è quello che mi porto dentro, il paese del mio passato, il paese delle mie origini, il paese di mio padre. Rimpiango il paese di mio padre. Rimpiango la comunità di mio padre. Rimpiango la dimensione umanitaria dei suoi abitanti. Rimpiango tutto di quel paese. Perché il paese di mio padre ti faceva sentire amato, considerato e protetto dentro un comune agire, un comune orizzonte da raggiungere e un destino da condividere. Come sei lontano paese mio, e come questa lontananza ti accomuna all’anima mia, perduta nel cielo insieme a quella del padre mio.
Brano tratto dal libro “Il soldato contadino” di Tonino Filomena
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