Gran parte della produzione artistica dai primi graffiti dell’antichità sino alle forme rivoluzionarie degli inizi del Novecento è una storia di ritratti. Al di là di quelle commissioni volutamente destinate alla raffigurazione di sé – in forma di icona ufficiale o privata, con intenti politici o per motivi propagandistici – ogni opera d’arte sia essa una scultura, una moneta o un gigantesca tela ha avuto a che fare con volti umani, protagonisti come protagonisti o comparse di scene storiche, mitologiche, religiose, con tratti somatici veri o inventati, stilizzati fino all’astrazione o caricati in maniera grottesca, ognuna di esse, volutamente o indirettamente, ha spronato l’artista a cimentarsi con la tematica del ritratto.
L’arrivo della fotografia, nel XIX secolo, con la sua capacità “obiettiva” di bloccare l’immagine nello scatto, può davvero considerarsi la scoperta della “verità assoluta” dell’occhio e della natura, senza finzioni e recondite intenzioni? Oppure il ritratto nell’arte pittorica e raffigurativa, in generale, non fu mai vero fino in fondo, mai distaccato da ideologie, finalità, intenzioni e visioni introspettive significati di vario tipo.
Alessandra Basile
IL RITRATTO E IL SUO SGUARDO
È il titolo di un’opera di Jean Luc Nancy, filosofo francese, professore emerito di filosofia presso l’università di Strasburgo. Attraverso l’esame di alcune opere di pittura, egli evidenzia il ruolo di quell'”oggetto” misterioso che compare nel ritratto e attorno al quale si organizza tutto lo spazio pittorico: lo sguardo. E’ lo sguardo a “esporre” il soggetto in pittura e a presentarlo al nostro stesso sguardo. Dalle righe dell’opera è nato, poi, lo sviluppo di un concept fotografico mirato allo studio di quella costruzione artigianale di un ritratto, per lo più smarrita o sconosciuta. Un processo di decontestualizzazione soggettiva e oggettiva che si conclude nella tessitura di una fitta connessione tra soggetto e fotografo, prima che uno sguardo appaia impresso e prenda vita. Un ritratto integra fattezze del soggetto e tratti della sua anima, intercettati dal pittore o dal fotografo, e tutta la magia dei ritratti si esprime proprio nella triangolazione degli sguardi (concessi, negati, sbiechi, indiscreti o clementi…) dell’autore, del soggetto, di noi che osserviamo l’opera.
Luci, postura, abbigliamento, trucco, acconciatura….. nessun elemento prevale, e tutti si completano attorno al focus principale, la creazione dello “sguardo”, inteso come insieme di espressioni mimiche del corpo e del viso che rendono magnetico il supporto su cui esso è impresso col fine di calamitare lo sguardo dello spettatore.
Nella elaborazione del concept, la parte più semplice è stata quella, in controtendenza agli usi social, del superamento della cosiddetta “teoria dello strumento”. Laddove il concentrare l’attenzione e la cura per un certo tipo di ambiente e di clima psicologico, è riuscito a relegare a funzione strumentale la presenza di un sistema fotografico (camera + ottiche), spodestando in qualche modo l’attenzione verso l’elemento tecnico per concentrarlo su quello umano.
Per questo, in una illecita comparazione degna di ogni smentita, ho pregato il mio modello Commodo di posare, col medesimo schema di luci, prima davanti ad un sistema fotografico di tutto rispetto, mix tra innovazione e artigianato ottico di pregio (Nikon D800 + Nikkor 50mm f/1.2 d’annata), poi davanti al mio smartphone con la fotocamera in modalità portrait. Settaggi semplici, un minimo di conoscenza delle funzioni avanzate della fotocamera del cellulare, e……. il risultato è degno di riflessione, come si può apprezzare dalle immagini. Differenze apprezzabili? Non molte, tolte quelle legate ad esigenze di risoluzione.
Non ne ho tratto morali sconvolgenti sui “passi da gigante in avanti” della tecnologia smartphone; piuttosto una, sulla necessità di “passi riflessivi indietro” da fare; verso quella funzione di autore, di artiere, di chi si approccia al ritratto con fare circospetto, minuziosamente dedicato al millimetro di volto che cambia ruotando una luce o chiudendo un sorriso; come un pittore nel suo lento procedere verso lo sguardo ideale per il ritratto perfetto.
Domenico Semeraro