A parte la nobilissima carriera culturale che lo contraddistingue, Pierfranco Bruni è una bella persona che è riuscito con la volontà e immenso talento a unire la sua grande intelligenza ad una profonda sensibilità .
“Sul davanzale delle Parole” (Pellegrini) è stato il riferimento di una bella serata a Firenze. Come possiamo definire questo libro, autobiografico? solo in minima parte; certo ci sono i protagonisti: egli stesso, i suoi genitori, la casa, gli oggetti ma tutto viene vissuto e riproposto sul piano esclusivamente emotivo ed emozionale, non racconti, non sentimenti compiuti, ma squarci di emozioni che affiorano in un momento o in vari momenti della vita del protagonista, talora nei momenti più banali; sorseggiando un caffè, durante l’attesa in un aeroporto, guardando una palma del giardino della casa paterna e così via. Il racconto immediato e non mediato dalla razionalità che cerca le parole adeguate ad esprimere queste “illuminazioni”, questi ricordi, questi degjavù rappresentano l’originalità di questo libro.
Un libro costruito attraverso un monologo dell’autore che diventa poi un dialogo con i suoi genitori. Un dialogo- colloquio che si sposta dalla madre al padre e ritorna ad essere un monologo con sé stesso. Un legame unico ed esclusivo che tutti abbiamo avuto con i nostri genitori, con le nostre radici e che ognuno ha vissuto in modo non uguale ma equivalente.
La parola “radici” mi ha portato, per deformazione professionale, ad immaginare ognuno di noi come un albero; i nostri genitori sono le nostre radici che ci hanno nutriti e ci hanno permesso di farci diventare un tronco saldamente fissato sulla terra e crescendo abbiamo messo i rami, pochi, molti secondo i nostri talenti, la nostra cultura, la nostra volontà e il nostro impegno. Nelle varie fasi della vita, se riflettiamo, si passa dalla infanzia dove tutto ciò che riceviamo è naturale: i genitori ci nutrono ci vestono ci insegnano a camminare ci aiutano nei compiti, ci proteggono, alla adolescenza durante la quale nasce una sorta di ribellione più o meno latente per conquistare un presumibile, presunta libertà: un consiglio dato dai genitori diventa una limitazione, un divieto diventa una tirannia, una attenzione provoca una insofferenza e così via. Si desidera il distacco, la lontananza, l’autonomia ma poi con la maturità ritorna inconsapevolmente alla mente una frase della madre: ”Figlio, non dimenticare che qui noi siamo solo di passaggio, di conseguenza dobbiamo vivere questo passaggio con quella dolcezza e tenerezza che è data dall’amore, dal voler bene, cercando di farsi voler bene con le buone azioni e con la bellezza”, il ricordo di uno specchio un po’ appannato, di una poltrona un po’ lisa, il trovare in un cassetto un paio di ferri infilati in un gomitolo di lana color avion, il ricordo del profumo di una crostata casalinga e si riscrive il nostro cammino emotivo.
Quando i nostri genitori se ne vanno si spezzano quelle radici che ci hanno permesso di crescere, che ci hanno sostenuto, a volte anche nostro malgrado, ed allora si rielabora tutto il nostro cammino di vita e come dice Pierfranco Bruni:
VIVO DI NON DIMENTICANZE: NON DIMENTICARE E’ UN VIAGGIO DELL’ANIMA IN CUI NON ESISTE IL LIMITE: L’AMORE NON HA MAI LIMITI
Prof. Adriana Mastrangelo Adorno
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