Lunedì 20 agosto, presso l’ipogeo di Palazzo Gennarini, in via Duomo 245/247, a Taranto, si è svolta l’inaugurazione della mostra “Il Sonno della Ragione… Il Mondo Immaginario di Loredana”, personale dell’artista Loredana Lamendola. Il vernissage, organizzato dalle associazioni culturali, Nobilissima Taranto e Programma Cultura, è stato introdotto da Carmine De Gregorio, che ha evidenziato «la straordinaria capacità dell’artista di ritrarre, in chiave allegorica, soggetti fantastici nei quali però fantasia e ragione sono in perfetta simbiosi. Il variegato universo poetico di Loredana – osserva De Gregorio – è davvero profondo, atteso che nelle sue opere aleggia un senso di sospensione, che genera un effetto lirico di straniamento metafisico. Le opere non rifuggono la realtà, anzi, la ricerca dell’artista rimane sempre aderente alla condizione esistenziale odierna, che è ridotta a simbolo, ad emblema o a parvenza lievissima. Tenera, a volte aspra, con un fondo di malinconia, la grande poetica di Loredana Lamendola tocca le corde dell’animo dei tarantini, da troppo tempo alla ricerca di una dimensione identitaria, con il richiamo al mito». Alla serata hanno partecipato la regista e attrice MariaElena Leone, fondatrice della Compagnia Teatro del Mare, direttrice didattica della Sun Film, impegnata da anni con importanti progetti in partenariato con la ASL e con produzioni di alto livello internazionale. Donando un intenso momento di arte drammatica, la Leone ha coinvolto i presenti in una riflessione intimistica, vibrante e accesa. La ballerina Ilaria Nigri, insegnante e coreografa dell’A.S.D. “Liberdanza”, di Massafra, si è esibita in una coreografia molto suggestiva, tra i blocchi isodomici di formazione geologica plurimillenaria, per evocare emozioni visive e sensoriali legate all’elemento terra, nella sua parte più energica e generatrice di vita. La musica live, ha corso sulle corde della chitarra elettrica del giovane talento tarantino, Marco Masiello, che ha piacevolmente intrattenuto il pubblico sulle note di “Always With Me, Always With You” e “Revelation”, di Joe Satriani, storico virtuoso americano delle sei corde. I toni morbidi dei fraseggi, la leggerezza compositiva, unita alla freschezza e al trasporto dell’interpretazione, hanno reso la performance, colonna sonora della zona espositiva dedicata al mare. E’ stato un momento in cui l’arte, presente in più forme ed espressioni, ha generato una fusione sensoriale, finalizzata ad accompagnare il percorso artistico dell’autrice, Loredana Lamendola, tarantina di nascita e di formazione, ma residente a Verona, che ha sempre mantenuto stretti legami affettivi e culturali con la città natale e, questo, è nettamente apprezzabile dalle sue opere. Emozionante, sensibile e dirompente, la sua presenza artistica ha conquistato il numeroso pubblico presente nell’ipogeo, luogo dal fascino ancestrale, che ha saputo avvolgere con la sua atmosfera dai sentori di mito e storia, l’esposizione delle opere, suddivisa idealmente in aree tematiche. Il mare, la terra, il travaglio dell’inconscio, l’incontrollato fluire delle passioni e il delicato respiro emozionale di una dimensione fantastica e fatata, sono i fili sottili che, intrecciandosi, creano il racconto del percorso espositivo, in mostra fino al 30 agosto, con orari di apertura 18.00-21.00.
Abbracciare l’arte significa, in verità, mettersi in cammino. Le interrogazioni, i dubbi, sono per essa più essenziali delle risposte, perché ogni presunta risposta è lo spunto per una nuova domanda. L’arte non si origina altro che dalla capacità di stupirsi di ciò, che si percepisce quando lo spirito della vita ti impone dei “perché”, da cui ha inizio la ricerca. Trovare nella passione artistica quella forza, che determina la concreta volontà di lasciare scorrere le energie creative nel proprio essere è la chiave per armonizzare i flussi di una coscienza, mossa da forti sensazioni, tali da sfondare quelle porte dell’intimo per troppo tempo rimaste chiuse. È un impatto intenso, a volte violento, che ci lascia disarmati, di fronte a quanta parte di noi fosse inedita, recondita, ma presente e latente, in attesa di un risveglio emotivo e percettivo che solo una sublimazione artistica può generare. Dinnanzi ad un’opera d’arte si riesce a realizzare un’elevazione dello spirito, al di sopra della quotidianità, rendendo finalmente palese il diritto inalienabile di ogni essere umano di tendere alla libera espressione, che sia essa parola, gesto, immagine, luce o pensiero. Nell’opinione di Nietzesche, gli artisti sono come i filosofi, ossia «persone che compiono sforzi estremi per sperimentare fino a che altezza l’uomo possa elevarsi» ed è nel tentativo di fare ciò, che, a volte, si costruisce un universo personale, in cui lo spazio dei sogni-pianeti viene costantemente bombardato da asteroidi, il cui impatto forte, intenso, sconvolge al punto tale da dover ricalcolare la rotta, ma apre anche un varco, una lacerazione, che dal profondo fa emergere una nuova visione. È lo stato di cose necessario, per perdere l’equilibrio di sintesi, costretto e imposto, per ritornare ad avere quell’equilibrio ricercato, desiderato e percepito sempre al limite tra l’orizzonte e l’infinito. La nascita di un parallelismo critico-poetico, a sostegno dell’arte sperimentale, era stata avviata già al tempo pre-impressionista, quando Baudelaire, visitando il Salon del 1859, scriveva che «un buon quadro, fedele e pari al sogno che lo genera, deve essere prodotto come un universo». E si esprimeva, così, quel desiderio di generare una sorta di autonomia dell’arte contemporanea, che non poteva rispondere ad alcuna norma, se non a quella dell’universalità; la critica, di conseguenza, non poteva avere altra forma letteraria al di fuori di una poetica sincronica all’arte. Proprio questa battaglia condotta dall’arte, per riuscire ad organizzarsi all’interno del cospicuo e nobilitato novero di discipline scientifiche, in un’epoca che ha rispetto solo per il calcolo dimostrabile, ha fatto sì che l’opera critica finisse con l’esercitare un ruolo totalmente estraneo al sistema di cultura empirica e pragmatica del contemporaneo. All’epoca delle sperimentazioni avanguardiste, al di là delle singole cronache, la teoria critica si esprime in un continuum fra poetica letteraria e vincolo esperienziale. Nelle opere di Loredana Lamendola, l’arte si trasforma in una sorta di macchina del tempo, riporta indietro attraverso i ricordi o trasporta in avanti, con sogni e speranze. Come diceva Van Gogh «prima sogno i miei dipinti, poi dipingo i miei sogni», nell’artista tarantina, la dimensione onirica esiste e persiste come fil rouge, che pare un’esortazione affinché i sogni non esistano solo per restare desideri, ma perché si cerchi di farne le proprie scelte. Ed è proprio tra le ferite culturali da rimarginare, in una realtà cittadina che tanto poco, fino ad ora, ha guardato all’azione rigeneratrice dell’arte, quale volano di ripartenza e riqualificazione spirituale della propria identità, concentrata, come era, sulle pestilenziali politiche del discredito culturale, di cui la stessa società civile deve sentirsi responsabile, che si innesta l’azione divulgatrice e promotrice di questi eventi artistici. E, allora, ben vengano occasioni del genere, che siano foriere di quel risveglio culturale da tempo auspicato, perche si cancelli quell’oscura accusa, che l’arte sia null’altro che un sistema di mercato ad uso e consumo di una ristretta cerchia di fruitori speculatori. Nell’arte come nella società, l’idiosincrasia tra critica e cura non esiste, poiché la cura senza la critica altro non è che uno sterile manifestare un azionismo, privo di significato. Avere cura dei valori artistici significa, dunque, nutrire quei fermenti di coscienza sociale, che potranno, crescendo, arginare l’onda qualunquista e dissennata dei nostri tempi, che ha frammentato la consapevolezza di un’appartenenza emotiva, invece di difenderla, lasciandosi trasportare, in una fase di resiliente regressione, dalla macchina di interessi del mercato economico, fucina di consenso di massa.
Alessandra Basile