MANDURIA – Il Tar di Lecce ha annullato il parere favorevole di compatibilità ambientale espresso dal Servizio ecologia della Regione Puglia per il progetto relativo all’impianto con scarico nel mare di Specchiarica del depuratore a servizio degli abitanti di Sava, Manduria e delle marine di Manduria. La sentenza che porta la firma del presidente del Tar Aldo Ravalli è stata emessa ieri e boccia sonoramente i piani regionali e rimette in gioco tutti i progetti dell’Acquedotto pugliese fortemente sponsorizzati dal governo Vendola e dall’amministrazione di Sava ma osteggiati dall’amministrazione uscente di Manduria e dalle comunità di Maruggio e Avetrana.
Il dispositivo dei giudici rende nulli tutti i presupposti necessari alla realizzazione dell’opera ed entra nel merito del progetto evidenziando in esso delle incongruenze davvero macroscopiche. Oltre a motivi di ordine procedurale, come l’assenza dei pareri di merito della Provincia di Taranto e dei comuni interessati con particolare interesse per Manduria, il presidente Ravalli si è addentrato in questioni di natura economica e ambientale. Trovando contraddittorio, ad esempio, il comportamento della regione Puglia che prima (marzo del 2009) «riscontra notevoli carenze progettuali con particolare riferimento allo scarico dei reflui ed al loro impatto sull’ambiente marino, ordinando di conseguenza alla società proponente un supplemento istruttorio» mentre poi accetta la soluzione prospettata dall’Aqp «nonostante manchi la richiesta analisi costi-benefici nonché l’indicazione di eventuali alternative localizzatrici». In fase d’istruttoria la stessa Regione Puglia, fa notare il Tar, aveva dichiarato che l’opzione numero 3 (condotta sottomarina lunga 3600 metri e profonda 35) risultava “la più cautelativa” mentre quella numero 2 (condotta di 1000 metri e 10 di profondità) veniva definita “non ottima, in quanto lo scarico dei reflui depurati avviene all’interno dell’area Sic” (Sito di interesse comunitario). Nonostante questo gli uffici regionali stabilirono che doveva essere data comunque preferenza alla seconda ipotesi in quanto “appare quella che concretamente consente di ottenere i maggiori benefici ambientali con costi pubblici economicamente sostenibili”. E qui il presidente del Tar, Ravalli, sfodera una lezione di diritto-ambientale. Tra i costi di un tale progetto, il giudice amministrativista mette in parallelo «la somma che la collettività è disposta a pagare per assicurarsi un bene od un servizio desiderati e quanto è invece è disposta ad esborsare per evitare una cosa non gradita. Nella specie – rileva il giudice – andava dunque esemplificamente considerata, da un lato, la disponibilità a pagare per lo smaltimento dei reflui; dall’altro lato, la disponibilità a pagare della popolazione per la conservazione di un ambiente naturale quello in esame».
Di tutto ciò, si legge ancora nella sentenza, «non v’è traccia dato che sono stati considerati unicamente dati finanziari (che pure rientrano nella suddetta analisi costi benefici, ma non sono i soli), ossia l’esborso in termini contabili che le varie scelte ipotizzate avrebbero comportato, non anche le conseguenze che, in chiave sociale e soprattutto ambientale (e tradotte nei termini anzidetti), avrebbero potuto in concreto derivare dalle varie soluzioni prospettate». Tra gli altri motivi di accoglimento del ricorso, il Tar segnala anche la mancata considerazione, da parte degli uffici regionali, della proposta avanzata dall’amministrazione comunale di Manduria che nell’esprimere opposizione al depuratore così concepito, ipotizzava un piano di riutilizzo delle acque per l’agricoltura.
Nel ricorso in questione il Comune di Manduria è stato difeso dall’avvocato Gianluigi Pellegrino mentre la regione Puglia dall’avvocatessa Antonella Loffredo. L’Acquedotto pugliese non si è costituito. Possibile ora un ricorso al Consiglio di Stato.
Nazareno Dinoi
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