Pubblicate le poesie inedite di Nazhim Kalim Dakota Abshu, curate da Pierfranco Bruni, dedicate alla Croce dal titolo: “La Croce”. Il volumetto, in veste pregiate, esce proprio in occasione della Settimana Santa nella collana, fuori commercio, del Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi”. Il testo porta la prefazione di Roberto Burano, Cavaliere del Santo Sepolcro, e la postfazione di Baldassarre Cimmarrusti, Cavaliere di Gran Croce del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Il percorso critico, in una analisi letteraria a mosaico, è, appunto, di Pierfranco Bruni che studia da anni l’opera di Nazhim Kalim Dakota Abshu.
La plaquette raccoglie 12 poesie nel testo, una tredicesima è posta nella quarta di copertina, il cui cammino è un intreccio tra il senso del mistero e la fede nella Croce. Una fede che si fa rivelazione costante dentro la ricerca di un orizzonte che è fatto di una Passione travolgente rivolta ai piedi di Cristo. Il suo dialogare con il Cristo in Croce è una lenta contemplazione intrecciata da un lirismo costante e da una punteggiatura misurata che si struttura sull’incontro tra lingua, suono e ritmo. Sono tredici poesie scritte in italiano perché Nazhim Kalim Dakota Abshu conosceva bene la lingua italiana e il “poemetto” sulla Croce lo dimostra ampiamente. Si tratta di un poemetto il cui filo conduttore è la devozione di un poeta che si è accostato al cristianesimo con molta umiltà.
Nazhim Kalim Dakota Abshu è un poeta di origini tunisine, è nato a Tunisi nel 1900 e morto a Nizza la notte di Natale del 1955, che ha intrecciato un modello culturale proveniente da una scuola musulmana ben radicata nella tradizione dei sufi e dei dervisci danzanti (o rontanti). Pierfranco Bruni con lo studio su Abshu continua nelle sue ricerche sulle culture poetiche del Mediterraneo definendo dei percorsi e degli incontri in una visione in cui il Mediterraneo è incontro e confronto anche di poeti e di poetiche, di modelli etnici e confronti antropologici. Perché un poeta di origini tunisini e con una cultura islamica si confronta con la Croce ed ha con la Croce un sentimento di devozione? Compie, in realtà, un vero e proprio pellegrinaggio all’interno di una “desinenza” esistenziale che è quella della Passione e del Dolore passando attraverso una visione forte data dalla filosofia dell’Assurdo e della Speranza. Due temi molto cari a Nazhim Kalim Dakota Abshu perché in questi due contatti religiosi ed esistenziali c’è la profonda ricerca di una cristianità che è stata cara ad un poeta barocco spagnolo con il quale sembra che Abshu si sia confrontato, ovvero Pedro Caldéron de la Barca (Madrid, 17 gennaio 1600 – 25 maggio 1681). Infatti è il poeta, e drammaturgo, che pubblica nel 1636 “La devozione alla Croce”.
Un testo esemplare, rimasto per molti anni sconosciuto e non rappresentato, studiato attentamente da un grande scrittore contemporaneo qual è Albert Camus (1913 – 1960) che lo ha messo in scena nella corte del castello d’Angers (una struttura costruita tra il 1228 e il 1238, sono gli anni che hanno maggiormente interessato Abshu per il collegamento con il poeta persiano Rumi, 1207 – 1273) nel 1953, due anni prima della scomparsa di Abshu, il quale muore, come si è già detto a Nizza.
L’Assurdo e la Speranza costituiscono anche sul piano letterario una chiave di lettura dentro quel “mosaico” definito da Pierfranco Bruni nella sua nota critica alla plaquette e che sottolinea dei punti di contatto tra la cultura musulmana e il pensiero cristiano grazie ad un attraversamento che va dai poeti “rotanti” alla poesia spagnola che tocca da una parte Caldéron de la Barca, quindi la centralità del barocco, e dall’altra Gustavo Adolfo Becquer (1836 – 1870), un poeta nel pieno del Romanticismo che annuncia preventivamente un Novecento lorchiano segnato da una “punteggiatura” esistenziale tra la poesia e la morte, o meglio tra l’esigenza della vita nella poesia come modello estetico e il senso di morte che la parola si porta sempre dentro di sé. Per Abshu la Croce diventa devozione e l’assurdo che si manifesta nel tentativo di leggere le tre fedi e le tre proposte religiose o filosofiche (Cristianesimo, Islamismo, Buddismo) si incentra in un richiamo alla speranza che è praticabile lungo il camminamento del mistero. Il mondo Occidentale si recita dentro la storia e la cultura degli Orienti: “Maometto, Cristo, Budda:/io sto con le parole della rugiada/sul letto d’erba a custodire, nell’ora/della preghiera,/le voci delle madri/che hanno puntato il dito/sul pianto del tempo”. L’altro concetto di una metafisica della parola che vive tra le griglie di poetiche di Abshu è il tempo. Il tempo agostiniano e pascaliano che trovano nella visione orientale di un poeta come Tagore il dato centralizzante. Versi come: “A te affido la parola/che non ho detto; in Croce//io ti seguirò” sono la rappresentazione di una devozione che si dichiara con una sua marcata spiritualità (di natura tagoriana e gibriana) ma anche con un forte solco che porta alla contemplazione. Poesie e mistero si intrecciano con la sintesi, a volte kafkiana come vorrebbe Camus, dell’assurdo e della speranza che si enucleano intorno a versi come: “La Passione ti ha colto/lungo le rive della Rivelazione./Tu, sei Cristo, sconfitto e ritrovato in Paolo”. Il messaggio paolino resta quello dell’andare oltre e il viaggio è nel compimento di una “pars” estetico – devozionale che vive nella misura cristiana della “chiamata”.
Proporlo oggi significa anche accostarsi con umiltà ad una parola che è sempre più, in poesia, una parola orante.
Marilena Cavallo
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