In un momento difficile come quello che stiamo vivendo, in cui rischiamo di smarrire riferimenti culturali e valori, l’esigenza induce il teatro a non essere autoreferenziale, ma occasione di crescita e confronto. Il teatro pone in evidenza colori a volte sfumati, a volte forti, fotogrammi e frammenti di drammatizzazione assai efficaci sul piano della denuncia dei comportamenti umani in tutte le sfaccettature fisiche, psicologiche, sociali, culturali. Uno squarcio oltre le pareti domestiche, oltre la saturazione mediatica priva di senso, è stato lo spettacolo “Il Tempo delle Donne”, inserito nel Premio Marubium, la rassegna regionale di teatro amatoriale organizzata da Comune di Maruggio, Filodrammatica Maruggese, Fita Puglia e con il patrocinio della Regione Puglia. “Il tempo delle Donne” è un evento teatrale che intende far riflettere sulla condizione femminile: il giorno 7 marzo è stata rappresentata la pièce teatrale “Eva non è ancora nata”, di e con Salvatore Cosentino, mentre la serata di domenica 10 marzo ha messo in scena un concorso – contenitore di corti teatrali, incentrati sulla figura femminile, “15 Minuti di tempo… delle donne”, al quale hanno partecipato quattro compagnie selezionate tramite una specifica call in tutta la regione: “I Resti di Amleto” di Mesagne, la “Compagnia Aurea” di Bisceglie; l’APS “Aretè” di Grottaglie e “Calandra” di Tuglie, impegnate in performances, in cui il dolore e la gioia, la frustrazione e la tenerezza, la rabbia, l’ardore e, soprattutto, la speranza si sono incontrate, scontrate, confrontate nelle parole dette ed in quelle taciute.
Nella seconda parte de “Il tempo delle Donne” i ragazzi de “La Filodrammatica Maruggese” si sono esibiti in un recital live “Questo non è uno spettacolo per femminucce”, omaggio ad alcune figure di femminili che hanno segnato la storia della lotta per i diritti umani, del cinema, della musica e dello sport. Il teatro può, certamente svolgere un’azione incisiva sul piano della prevenzione di atteggiamenti violenti e di segregazione, semplicemente per la sua opera liberatoria, formativa, educativa, per la sua capacità di coinvolgere, per la sua natura socializzante, per la fruibilità del linguaggio che utilizza.
Da sempre il luogo del “dialogos”, della universalizzazione dei messaggi emozionali, il palcoscenico e il “femminile” hanno una storia lunga e significativa. All’inizio del teatro occidentale gli autori, per le loro tragedie imperniate sui grandi temi della vita, non potevano evitare di dare alla donna (madre, sposa, figlia) un ruolo decisivo. E’ interessante notare che, anche nell’Atene del V secolo, viene evidenziata in teatro la dicotomia del rapporto uomo‐donna: vita fuori di casa per l’uomo e vita chiusa tra le mura domestiche per la donna. Il teatro permetteva di accorciare questa distanza, consentendo alle donne di entrare in un terreno che, nella vita quotidiana, era loro precluso. Nel teatro latino i personaggi femminili sono spesso quelli ereditati dalla Grecia: la letteratura latina contempla due Medee, una di Ovidio e una di Seneca, e sempre Seneca ha dedicato una delle sue nove tragedie ad Antigone. Anche Fedra venne ripresa da Seneca e molto più tardi da Racine e da Gabriele d’Annunzio. All’inizio del XVI secolo, la condizione femminile diventa oggetto di intensa riflessione e di una rinnovata curiosità. Nuove eroine tragiche popolano la scena teatrale del Rinascimento, come la Sofonisba di Trissino che, come fondamentale archetipo di genere, costituisce un filtro attraverso cui tutta l’esperienza greca viene completamente ripensata e figure come Antigone, Alcesti e Medea vengono rivisitate in chiave moderna. Una nota caratteristica di questo periodo è che le donne usano la trasgressione per affermare la propria individualità: esse disobbediscono, ingannano, tradiscono, persino uccidono. La figura più famosa nel panorama teatrale del Cinquecento è quella di Isabella Andreini, che per le sue Rime scrisse circa cinquecento componimenti, tra sonetti, madrigali, canzoni, canzonette ed altro.
Purtroppo, il Concilio di Trento vide la donna-attrice come una donna di facili costumi, molto più pericolosa delle vere meretrici, perché trovava autenticazione nel fascino della scena. Ai tempi di Shakespeare, la professione teatrale era considerata di stretta pertinenza maschile e non si videro donne recitare sulle scene fino al 1660, quando per la prima volta una donna, Margaret Hughes, interpretò la parte di Desdemona nell’Otello. Nell’opera di Shakespeare le figure femminili sono molte e significative e la natura della donna è espressa in tutta la sua profondità. All’inizio del Settecento cresce la centralità dell’interpretazione femminile, soprattutto in Carlo Goldoni, che con Metastasio e Vittorio Alfieri è l’esponente massimo del teatro italiano. Con Goldoni la figura femminile assume per la prima volta i tratti di una figura moderna. Infatti il personaggio femminile più amato è quello di Mirandolina ne La Locandiera, che vanta un record di interpretazioni, da Adelaide Ristori a Eleonora Duse, da Rina Morelli a Annamaria Guarnieri, Adriana Asti, Valeria Moriconi, Carla Gravina, Marina Malfatti. Mirandolina è soprattutto una donna d’affari, che pone la locanda al centro della sua vita. La situazione cambia in modo radicale nell’Ottocento, dato che finalmente la donna raggiunge un inserimento sociale e si trasforma in un modello di morale e di costume. Il teatro all’inizio del Novecento ha contribuito a modellare l’opinione comune, partecipando al lento progresso di emancipazione femminile, tramite il suo potere di incidere sul pensiero degli spettatori. Eleonora Duse fu la massima esponente teatrale dell’epoca con il suo repertorio vasto ed eclettico, con i suoi incontri umani ed artistici, che sfociano anche nel privato.
Fu la musa di Gabriele d’Annunzio in “Francesca da Rimini”, “Gioconda” e “Il sogno di un mattino di primavera”. Il sodalizio artistico finì quando Irma Gramatica ebbe il ruolo della prima interprete ne “La figlia di Jorio”. Ma, la Duse non si arenò e introdusse Ibsen sulle scene italiane, interpretando una memorabile Nora in “Casa di Bambola”. Superato ormai il momento della rabbia, della rivendicazione, la donna può affrontare ogni argomento, ogni tematica a cui regalare la ricchezza ineguagliabile della propria visione. La donna in teatro è sempre specchio potente, che regala emozioni. È scandalo, forza e musica, ricerca della sacralità del corpo come via per arrivare all’anima. È romantica. Il suo sentire trascende l’ordine e la forma. È duttile, senza limiti, va oltre le pagine, scrive sui muri; per lei le ali della poesia e della bellezza non hanno peso. Non ha forma, né riparo; la sua bellezza interiore travalica la forma del suo corpo e della sua vita e diventa pura essenza. Non c’è replica per chi riesce a crescere ogni giorno, per chi non si accontenta e, instancabile, ritocca, corregge, amplia, mette a punto, azzarda, scopre un se stesso sempre diverso. Bisogna essere folli. Il segreto è scomporre il tempo in tanti singoli momenti e viverli tutti, uno per uno.
Alessandra Basile
Foto di Domenico Semeraro