Iliana; “Ti aspetto e se l’alba dovesse giungere prima di te mi metterò in cammino. Verrò a cercati…”.
Gabriele: “Non lo fare. Io ritornerò Non metterti in cammino. La strada è nella storia. Noi siamo i vinti e lo spazio del viaggio è senza geografia…”.
In una lettera indirizzata a mio padre, tra i le pagine di un quaderno con la copertina nera, ho trovato un appunto.
Ho letto:
“In quei giorni fummo sradicati.
Chi rimase lasciò un urlo di sangue tra le carsiche rocce che la memoria inceppa al chiodo del cuore.
Ci furono i silenzi e le maschere che non smettono di tagliare le parole e fu la storia la colpevole realtà di una verità taciuta.
In quei giorni fummo sradicati nella voce e nel destino.
Altri tanti altri i cui nomi sono nel disegno della tragedia
precipitati vivi nelle pietre della morte”.
….E c’era il vento. Anche quel giorno. Era tempo di primavera. Il sole picchiava sui casolari della campagna dalmata.
La guerra era finita ma per Tito e la Jugoslavia comunista nulla era finito. Il collaborazionismo togliattiano era a conoscenza dei crimini.
Iliana per tutta la giornata era rimasta a tagliare l’erba che si era alzata oltre il porticato del giardino che custodiva la casa. Gabriele studiava per definire la sua tesi di laurea.
Erano italiani. Non erano mai stati fascisti. Non avevano combattuto neppure la guerra partigiana. Innamorati dell’amore e l’idea di Patria costituiva la bandiera di un ideale nel nome della condivisione profonda dei valori cristiani.
Gabriele portava al collo la Croce di San Francesco. Iliana si recava ogni mattina ad una piccola chiesetta di campagna per pregare e affidarsi al dono della fede. Ogni mattina.
La guerra sembrava lontana o si immaginava finita. L’Italia era diventata repubblicana.
Una notte arrivarono nel recinto di casa due auto. Scesero le “armate rosse” nel nome del comunismo della libertà. Massacrano conigli, galline e un cane che abbaiava più del dovuto venne sparato alla testa.
Al rumore dello sparo Gabriele e Iliana si svegliarono improvvisamente. Fu un disastro. Si trovarono davanti al letto tre uomini armati di fucili e mitra con gagliardetti rossi.
C’erano tre titini e uno italiano. L’italiano prese la parola: “Il tribunale comunista vi ha processato e vi ha condannato. Siete stati giudicati”.
Li spinsero fuori dalla stanza. Iliana era in vestaglia trasparente. Una vestaglia rosa e Gabriele aveva soltanto dei mutandoni. Li spinsero da una stanza ad un’altra.
A calci, pugni, sputi. Iliana più volte inciampò sotto i calci dei tre gagliardetti tossi che con i fucili puntati spingevano i due “morosi”.
Qual era la loro colpa? Erano semplicemente ITALIANI. Sul tavolo di cucina erano sparsi alcuni libri che servivono a Gabriele per concludere la tesi che aveva per titolo: “Dante nell’umanesimo della cultura”. Strapparono i libri. Condussero Iliana e Gabriele su un camion militare con una vessillo falce e martello nel rosso di una stella.
I comunisti titini e il comunista italiano ritornarono nella casa, ammucchiarono tutto al centro. Le poche sedie, i tavoli, indumenti, i libri e misero fuoco.
Al primo impiglio di fiamma Iliana gridò: “E’ tutto quello che ho”. In lingua incomprensibile un titino fucile in mano sparò dei colpì dicendo: “Nelle fosse non ti serviranno più”.
Il camion partì. Iliana e Gabriele vennero legati con delle corde alle barre laterali interne del camion.
Giunsero in una zona rocciosa. Li fecero scendere. Furono bendati. Partirono due colpi di pistola dritti alle gambe di Iliana e Gabriele. Con un’altra corda vennero legati alla vita e furono buttati in una fossa tra le rocce. Lì c’erano altri corpi e i lamenti si scontravano con gli echi di altri lamenti.
Di Iliana e Gabriele non si seppe più nulla. Tuttora non sappiamo nulla.
Nella casa bruciata soltanto cenere.
Qualche tempo dopo, in estate, un foglio ingiallito si era incastrato tra i rami di un uliveto. Portava un appunto: “Dante e la cultura dell’umanesimo”.
Erano semplicemente ITALIANI. Per anni nessuno si ricordò dei morti infoibati, anzi dei vivi infoibati per mano comunista. La storia non si ripete ma la storia va raccontata.
Iliana e Gabriele sono rimasti intrappolati tra le foibe e per amore e per l’Italia e per le nostre coscienze non vanno dimenticati.
Era la primavera e poi l’estate del 1947.
Una storia vera, una verità nella storia, un racconto tra i ritagli dei giornali. No. Mio padre, tra i tanti racconti mi ha lasciato anche questo… dettaglio di storia e di esistenza. Anche questo racconto mi ha lasciato mio padre…
Il tempo è una cifra che segna il nostro cuore…
Iliana: “Ecco ci siamo ritrovati. Ma siamo vento e cenere che racconta…”.
Gabriele: “La storia a volte racconta…. Ma molte volte dimentica…”.
Pierfranco Bruni