Siamo figli di un altro tempo. O questo tempo non ci appartiene, o noi siamo altro rispetto a ciò che ci cammina accanto. Quello che ci cammina dentro è nostro. È il destino nei nostri voli della memoria. Aquile che provengono da lontano. Noi siamo altro e non possiamo confrontarci con questa mediocrità, miseria, nulla. Tutto ciò che ci passa davanti lo abbiamo già vissuto e superato. Rubo, mio caro Tonino, una ennesima espressione ad uno dei miei maestri, Cesare Pavese.
Attraversiamo una esistenza che non ha bisogno di maestri. Generazioni che usano il termine anche di “intellettuale” ma confondono il mistero con la ragione, la storia con la cronaca, la filosofia con la leggerezza del pensiero.
Non ti scrivo una lettera. Ma cerco di non essere malinconico riflettendo sui dettagli che abbiamo raccolto nella nostra conversazione. Hai tu ragione (che brutto termine il concetto di ragione: non fa parte del nostro viaggio), ho io ragione nel condividere che la mediocrità è il passaggio, inevitabile, di questo tempo devastato, devastante, impraticabile, per noi, che, comunque, ci tocca almeno osservare.
Io oramai faccio l’elogio dell’esilio e della solitudine. Un esilio volontario. Perché gli altri esistono ma non hanno la forza del confronto con le nostre storie. Non parlo di questioni politiche. Ormai anche queste restano ancorate alla lezione di stile e di coerenza dei nostri padri. Parlo di altro. Forse faccio anche qui letteratura. Ma siamo altro.
Ci siamo telefonati mentre rileggevo per la terza volta l’intervista a Papa Francesco (su “La Civiltà Cattolica). Il Papa della modernità. Più volte si è aperto un dialogo su temi tra cristianità e laicità, giocando sulla testimonianza dell’uomo finito o sull’anticristo, sulle uscite di sicurezza o sugli sciamani. Più volte non ci siamo contraddetti e ci siamo guardati nel cuore. Ma per ben tre volte non sono riuscito a capire i “nessi” religiosi (io preferisco dire cristiani) e filosofici dell’intervista del Papa, tranne se non si pone al centro la consueta contraddizione cattolica e la confusione gesuitica tra fede e ragione.
Non pensare, mio caro Tonino, che io sia diventato, come molti sono convinti, un ateo. No. Lo sai bene. Sono semplicemente un non moderno. Ed essere non moderno, in questa modernità, significa anche non appartenere alla confusione tra fede e ragione. Io appartengo alla tradizione pre – conciliare e il sorriso di Papa Francesco non mi dice nulla.
Fede e ragione non sono in contrapposizione. La fede è un fatto. La ragione è un altro fatto ma non possiamo metterli in un abbraccio. La fede è nel mistero – miracolo. La ragione è nella razionalità. Non si incontrano. Non sono in contrapposizione. Sono due aspetti diversi. Anche sul piano filosofico sono due filosofie abbastanza diverse. Lo sono per una concezione a – priori della vita. Lo sono per una centralità della metafisica da una parte con tutta la sua tradizione. E per la centralità della meta-storia dall’altra. Questo significa che non mi riguarda la contrapposizione perché sono due vie completamente separate.
Io credo nel miracolo. Mai alla ragione. Poi bisognerebbe essere chiari e forse anche sinceri. L’intervista di Papa Francesco, (perchè non riesce a convincermi? Io o so perchè) mette in discussione la tradizione paolina. Poniamo questa volta a confronto una delle Lettere di San Paolo, magari quella prima ai Romani, con l’intervista. Paolo è riuscito ad esser contemporaneo. Non moderno. Contemporaneo in un contesto ben definito e la sua Parola può essere messa certamente in discussione, ma bisogna avere il coraggio di dirlo. Bisogna dire che il Cristianesimo di San Paolo non è più quello di Papa Francesco. Gli altri possono giustificare tutto. Io resto nella mia stanza e so guardare anche dalla finestra.
Il discorso qui finirebbe, anzi si troncherebbe. Ma non si può continuare nella confusione di leggere le lettere paoline con la mediocrità della modernità. Si tratta di comprendere filosofie di vita, ma anche di non intrecciare storie religiose in un tempo dilatato.
Io continuo a credere nel Miracolo, nella Grazia, nel Mistero. Continuo a credere alla Cristocentricità, che non è modernità ma Tradizione. Questo può significare che non sono nella Chiesa. Non lo sono. Ma in Cristo sì.
Caro Tonino, noi siamo altro proprio perché le ferite del pensare e del mistero appartengono ai Padri del Deserto e questa società, come mi hai detto tu, del gossip a tutti i costi, è un luogo, appunto, della ragione nella quale non ci identifichiamo.
D’altronde noi siamo briganti alla Ninco Nanco e restiamo ancorati all’ultima Regina del Sud. Ma quale modernità può sconfiggere la nostra nobiltà? Sì, avevamo tentato di credere a Papa Francesco ma le sue parole, personalmente, mi hanno sempre più allontanato dal mondo cattolico. Cosa significa questo? Un mondo si è disfatto, si è sgretolato, si è annientato perché intorno ai temi della Fede e della Ragione si muove la modernità.
Non si possono catturare le generazioni con uno sbandamento filosofico. Purtroppo si insiste su tale questione. La Ragione ci fa intravedere una Terra Promessa? La Ragione ci fa credere a un Dio assoluto? La Ragione ci fa entrare nell’orizzonte della Grazia? Simone Weil è una camminatrice tra gli scogli del coraggio, come lo è stato il giovane Robert Brasillach che davanti al plotone di morte pregava Cristo intrecciandolo tra le sue mani e portandolo sempre tra le pareti del cuore.
Questo mondo non ci appartiene. Vuoi sapere l’ultima confusione, vedi, caro Tonino, non sono entrato nel campo della politica o delle ideologie, che stilla questa mediocrità del nostro tempo?
Bene. L’altro giorno in prima pagina su “Avvenire” si pubblicizzava un libro dal titolo “Una lacrima mi ha salvato” e si riportava un virgolettato: “I medici stavano per staccare la spina ma io ero viva e sentivo tutto”.
Cosa è stata quella lacrima? Il segno della Ragione o la Grazia del Mistero – Miracolo (non vi permettete di dire che faccio confusione tra mistero e miracolo o grazia: conosco bene le distinzioni e le armonie). Nello stesso quotidiano, alla prima pagina cultura, in una intervista, il filosofo Vittorio Hosle affermava: “L’idea che la fede è in opposizione alla ragione non fa bene alla religione. Prima di tutto, la ragione rimane il tribunale che deve arbitrare i conflitti tra religione e tradizioni diverse, e in più in un mondo dominato dalla scienza l’opposizione alla ragione condanna la religione all’isolamento. Per fortuna c’è una forte tradizione razionalista che insiste sulla necessità di un principio razionale e morale del mondo – nomino sola la tradizione inaugurata da Platone ed Aristotele e continuata dall’idealismo tedesco” (“Avvenire”, 20 settembre 2013, pag. 23).
Nulla di male nelle parole del filosofo che recita il trionfo dell’Illuminismo e del Razionalismo (ma cosa è stato l’Illuminismo? Il mondo cattolico dovrebbe rispondere…). Vogliamo renderci conto che la Fede è altro? O no? Ma il punto, caro Tonino non sta qui. Vittorio Hosle è stato nominato da Papa Francesco Accademico alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Mi pare di aver detto tutto. Siamo in pieno Razionalismo, l’Illuminismo ha preso il sopravvento, Papa Francesco sorride nel nome della Rivoluzione cattolica mentre noi tradizionalisti non smettiamo di credere in Dio Patria e Famiglia oltre ad essere antiabortisti, a favole della salvezza della vita sino all’accanimento cercando sempre di allontanare la morte, non condividiamo il modello delle unioni omosessuali e così via di seguito.
Non siamo moderni e con questo tempo che ci vive non abbiamo nulla più a che fare, ma restiamo con il nostro esilio non da isolati ma da uomini liberi. Io sempre in Cristo e tu in Nietzsche? Dio lo hanno ucciso. E sai chi lo ha ucciso? Ma ricordati che non siamo mai dei perdenti!
Pierfranco Bruni
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