Cassibile. Tre settembre. Si firma. Una guerra perduta. Ma con chi stiamo? Una volta gli italiani fascisti, ma l’Italia prima del 25 luglio era fascista, combattevano uniti con i tedeschi nazisti, ma la Germania, soprattutto con l’occupazione della Polonia, e anche dopo l’otto settembre italiano, era una gloria nazista.
Con chi stiamo? Ci sono voluti altri cinque giorni per comunicare agli ITALIANI che la Nazione Italiana abbandonava i tedeschi, combattendoli, per allearsi con i popoli anglosassoni e americani in prima battaglia, che aveva combattuto.
Ah sì, la storia è una maceria nell’ironia. Soltanto il giorno fatidico, che non è più quello della dichiarazione di guerra pronunciata da Palazzo Venezia con un Dux mani ai fianchi e voce tonante gridava: Vincere e vinceremo e gli italiani, che non avevano più un angolo di spazio nella piazza gremita, gridavano a squarcia gola: Vinceremo, che è, appunto, l’8 settembre del 1943 ci si rende conto che è iniziata la morte di una Nazione.
Il maresciallo Badoglio è nella storia ma non diventerà mai uno statista. Figuriamoci un eroe. Una piccola persona che è un dettaglio nella storia. Il Re traballa sulle sue corte gambe e la fuga è il suo mestiere.
Perché si scappa nei momenti in cui c’è bisogno di dare testimonianze, di dare esempi, di essere presenti e di restare in trincea? Tanto era l’odio di Badoglio contro il Dux? E perché fare arrestare Mussolini, un Mussolina sfiduciato dai suoi fascisti? La guerra continua. Ma accanto a chi?
Ci vuole coraggio anche nei gesti vili. I coraggiosi non sono solo gli uomini combattenti e coerenti. Dobbiamo rivedere il concetto di coraggio. Me lo sono chiesto tante volte ma quando mio padre mi poneva una riflessione, generazione anni venti, restavo perplesso.
Intanto con l’8 settembre, dopo la firma di Cassibile del tre settembre, la guerra non si ferma. Diventa guerra civile. Civile? Che brutto termine per definire una guerra. Ma abbiamo mai studiato realmente le etimologie dei termini? Una guerra può mai essere definita civile? Metafore a parte? Pongo la questione a coloro che studiano le etimologie e i termini accoppiati. Io che di grammatica e di sintassi capisco poco non posso immettermi in un campo che non è mio. Già, un’altra etimologia incomprensibile: campo di concentramento. Lasciamo agli esperti la querelle anche se noi abbiamo capito tutto.
La guerra continua, dunque. Prima con i tedeschi nazisti e tutti gli italiani erano consapevoli di ciò tranne quelle che un ventennio prima erano scappati sull’Aventino. Ma gli italiani che perdono scappano sempre? Eppure nessuno li aveva spediti al confino, gli aventiniani hanno la responsabilità della fuga e di aver lasciato che il “male possibile” diventasse il possibile male, mentre l’America, tu vuoi fare l’americano?, stava a guardare e spediva messaggi di felicitazione come anche i regnanti e l’Impero d’Inghilterra e Gran Bretagna.
Io che di storia non mi occupo ascolto soltanto. Mio padre mi raccontava che si era fascisti nolenti o volenti, ma lui era fascista camicia nera per convinzione come lo zio era colonnello del Re anche dopo il tradimento del Re perché si sentiva italiano nel sangue. Ma il re non si sentiva italiano se ha abbandonato una Nazione allo sbando e una città come Roma indifesa.
Per tutti c’è un 8 settembre. La storia comincia da lontano. Il Re non oppone alcuna resistenza ai quattro scalmanati del 28 ottobre che fingono di marciare su Roma, mentre il Dux restava nella sua casa di Romagna ed ascoltava i cablo messaggi.
Che destino strano. Poi il piccolo Re accoglie con i riti istituzionali il Dux che dovrà governare e la Marcia su Roma diventa il rito del Colpo di Stato e la dittatura con il 1925 diventa una realtà sulle cenere di Matteotti, mentre i fantasmi della “democrazia” piangono il pianto della nostalgia dei coccodrilli. Ma l’8 settembre?
Già, si era cominciato così.
Mio padre mi raccontava: “Non si è capito più nulla. Ma non si era cominciato a non capire già dal 26 luglio quando molti italiani ancora in camicia nera abbattevano le teste del Dux. Si sono resi conto molto dopo che indossavano ancora la camicia nera. L’8 settembre, continuava mio padre, molti si erano illusi che la guerra fosse finita. Ma come potevamo mai fidarci di Badoglio? Del Re che comandava un esercito che soltanto per metà comprendeva l’accaduto e l’altra metà esercitava il consenso senza porsi domande? L’8 settembre non solo si cambiava casacca e la guerra continuava ma si dichiarava un’altra guerra ancora più atroce che era quella tra italiani e italiani. Con i tedeschi in fuga: gli italiani uccidevano italiani. Italiani resistentisti e Italiani repubblichini si ammazzavano in nome di cosa? Fascismo e comunismo? Mentre gli angloamericani occupavano le piazze e bombardavano Roma e le città industrializzate noi, italiani dll’Italia, ci facevamo un’altra guerra. Gli stranieri mietevano vittime con un progetto ben preciso che era quello di fare dell’Italia il primo ‘avanposto’ per il Mediterraneo, noi credevamo ancora alla storiella delle ideologie con Badoglio diventato il fantasma di se stesso e Vittorio Emanuele che diventava una meteora. L’8 settembre è la pagina più sconsolante di una Nazione precipitata nell’abisso”.
Tutto il resto è noto. Ma spogliamoci degli occhiali di Togliatti, di De Gasperi dei referendari monarchici e repubblicani e restituiamo la storia ai documenti. Un fatto è certo: con l’8 settembre l’Italia di Badoglio e del Monarca sabaudo tradisce due anzi tre volte e rinnega due anzi tre volte. Siamo eredi di Pietro. Su questo non dovrebbero esserci dubbi: basta osservare come si è mossa, in quel tempo, il Trono vaticano. A prescindere dal Cardinale di Milano.
Tradisce i tedeschi mentre stringe altre alleanze con la maschera delle bugie e degli intrallazzi politici, tradisce gli italiani perché dichiara che nonostante tutto la guerra continua e non solo dopo l’arresto del Dux avvenuto il 26 luglio, tradisce perché divide gli italiani con una guerriglia interna innescando un odio ideologico che, tuttora, serpeggia tra le piazze, le case e le parole.
…Il nemico anche vinto bisogna dargli un nome, capire perché si uccide e non basta scavalcarlo, scavalcare quei corpi, per sentirsi la coscienza smantellata da ogni dubbio… Così ci raccontava lo scrittore Cesare Pavese.
Ma il nemico ideologico ha tessuto trincee e siamo giunti sino a scoprire i triangoli della morte, i morti appesi ai pali della luce, a Piazzale Loreto e poi viaggiando tra le strade i morti appesi con i cartelli sul petto.
L’8 settembre del 1943 è una ferita ancora aperta. Mio padre mi aveva indicato delle valigie pene di carte, lettere, appunti dicendomi: “Un giorno quando smetterai di scrivere il romanzo dei tuoi amori e i racconti degli sciamani cerca di mettere mani e testa tra quelle carte: troverai un pezzo di storia vera e tante cose ti diventeranno più chiare e potrai parlare senza sfogliare le etimologie delle parole. La storia presenta subito delle maschere, poi le maschere non possono più essere indossate e vengono fuori i visi, gli occhi, le parole scritte e non quelle tramandate soltanto. Non dico di farlo oggi. Quando avrei smesso di scrivere altro, in quelle valigie c’è una strada. Segui le lettere scritte, sgrammaticate, e a molte storie darai un senso…”.
Dovrò convincermi. Ma la storia non ha una verità. È fatta di verità. Tante. Bisogna avere il coraggio di scrivere la vita con l’ironia mentre i documenti sono un attestato, una dichiarazione, un testamento.
Ma l’8 settembre? È una verità nell’ironia della tragedia.
Pierfranco Bruni
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