Non sono mai riuscito a capire perché Francesco di Paola non sia finito seriamente tra i roghi della Santa Inquisizione. Un mago. Ovvero un taumaturgo. Ha commesso più reali lui di magia che Giordano Bruno Tommaso Campanella e Galileo Galilei. Eppure il Taumaturgo è stato spedito in Francia come diplomatico.
San Francesco di Paola il mago Taumaturgo che dialoga con uno sciamano.
Mi sveglio al tocco degli Angeli. Il cielo plumbeo ha riflessi che toccano l’alba, poi il giorno, il meriggio sino a lambire le stagioni che segnano i crepuscoli e i tramonti. Mio San Francesco di Paola, ti scrivo dalla mia notte. Da una notte in cui le streghe camminano la magia dell’anima. I tribunali della Santa Inquisizione sono attenti. Sai che avevano puntato anche su di te? Infatti tu sei stato sei sarai Taumaturgo. Così ti hanno definito.
La Santa Inquisizione ti ha salvato? O sei tu che hai salvato loro?
Comunque…
Di notte dormo sempre di meno. Invecchiando i pensieri diventano grappoli di onde di mare salato. Quello della nostra Calabria. Bisogna essere roccia ma anche acqua. Tutta la mia vita è stata un passeggiare con te. A nessuno permetterò di togliermi la devozione che porto verso di te anche se resto un eretico. Lo sono stato e lo sono.
Tu sai, caro Calabrese Taumaturgo che hai portato l’utopia e la preghiera come consolazione per attraversare i deserti e legare il continente all’isola nel Mediterraneo. Nessuno di noi ha potuto fare a meno di te. Sei un Santo che non accoglie il perdono perché ti sfida. Più volte mi hai sfidato ed io ti ho tenuto sempre testa. Sul mio letto in Calabria, nella mia stanza della casa che un giorno ritornerò ad abitare, mio padre e mia madre ti hanno incorniciato.
Mi hai salvato più volte: ripete spesso mia madre, ormai dai suoi anni antichi e dalla solitudine che tocca l’agonia del silenzio. Scrivendoti dalla mia notte inesorabile, ma vera, mi sono sempre immaginato un tuo dialogare con San Paolo. Cosa ti avrebbe detto. Anzi cosa gli avresti detto. Tu sei fuori dalle icone della religiosità potere anche se ho avuto dubbi quando ti sei recato in Francia. Diplomatico della cristianità? O templare nella carità cristiana?
Ho sempre immaginato un tuo contraddittorio non lungo la via di Damasco ma lungo le sponde del Mediterraneo: tra Malta e la Calabria prima che Paolo giungesse, tra le vie di Sorrento, per Roma. Gli avresti fatto capire che i tagliatori di testa ci sono sempre stati? Che i tribunali dell’inquisizione non sono un’invenzione? Che Bonifacio VIII e il malefico Dante della classificazione degli uomini vivono di compromessi? Gli avresti fatto capire che tra lui, ovvero Paolo, e Pietro non poteva esserci condivisione ma un giocare sull’equilibrio.
Tu, mio Francesco, hai fatto un’altra scelta. Non tanto quella della parola, di usare la parola anche se hai dettato delle Regole, giustissimo, fondando i tuoi Minimi, bensì dell’azione. Quanta attualità hanno quelle “leggi”. Devo assolvere ad un compito. Leggo costantemente le tue “leggi”. Sono segni incancellabili nel nostro tempo di incerti camminanti. Sono vitali in questo nostro tempo di immigranti e migranti. Paolo avrebbe trovato in te un combattente.
A Napoli hai dialogato con i cortigiani e la Corte. I cortigiani ci sono sempre stati, ci saranno ancora, ma anche gli uomini che non si piegano sono nella vita. Un giorno mi hai detto: “Non sono i cortigiani che fanno la storia. Sono quelli che non obbediscono che segnano, nel tempo, il viaggio. Perché l’ubbidienza non è sempre una virtù. Perchè fare la rivoluzione, essere, in Cristo è conoscere la ribellione”. Sembravi un Albert Camus nella modernità degli uomini che hanno il coraggio dei pellegrini lungo la via della conchiglia.
A Napoli ti sei confrontato con un medico che è poi diventato Santo. Giuseppe Moscati. Appartiene alla famiglia dei Gesuiti. Un medico sempre vissuto tra i passi della santità e contemplante nei suoi dialoghi con Bartolo Longo e implorante nel nome della Maria di Pompei.
La mia vita, da Calabrese Sciamano che non rinnega, ha incontrato lungo il suo viaggio uomini e donne che mi hanno inciso il sacro dentro l’utopia ma sempre attento dubbioso delle “cose” che sembrano mostrarsi con una verità assoluta. I miei Vangeli sono quelli apocrifi anche se resto sempre in ascolto dei Vangeli sinottici. Non dico della Chiesa. La Chiesa , nella cattolicità post conciliare, la lascio a chi è convinto che dopo aver ferito c’è sempre un Dio che possa perdonare ristabilire un’armonia È giusto che sia così. Il Dio salva sempre ma gli uomini conoscono la pietà ma anche la severità alla quale Francesco mi ha educato.
Ebbene, sono convinto che a Napoli Francesco ha incontrato Giuseppe Moscati. La mistica Natuzza mi ha insegnato che il mistero è anche oltre la religiosa ubbidienza. Sono convinto di questo perché la fantasia ha sempre un senso. Cosa si saranno detti? Francesco sicuramente non si è lasciato sfuggire il suo pensiero da uomo retto nella rettitudine: “Ogni gesto che si compie ha la sua carità quando la carità manca c’è sempre il Dio che salva. La Provvidenza è nel saper accogliere la povertà e viverla nella carità”.
Giuseppe Moscati avrà risposto: “Da te ho capito che la carità è Fortezza. Tu e Paolo avete segnato il mio cammino. Spesso dalla mia chiesa, di praticante, mi lasciavo avvolgere dall’abbraccio della grande chiesa a te dedicata, in una Napoli che conosce la cristianità e la vive come antropologia religiosa. Tu a Napoli hai lanciato delle sfide. Da Napoli e da Otranto hai difeso la cristianità e sei stato un Santo moderno, perché hai capito che non possono esserci contraddizioni tra l’Occidente e l’Oriente se si vive nella certezza della funzione del bene”.
Francesco avrà replicato: “Nella tua santità che sarà verrai afflitto dal rapporto tra fede e ragione. Anch’io mi sono posto il problema. Ho pensato con la ragione ma ho navigato, viaggiato, camminato con la fede. Un tema che la Chiesa del futuro dovrà porsi. Ma io non delineo limiti: la fede è sempre oltre la ragione. Tu sei un uomo di scienza. La scienza cosa potrà fare davanti al miracolo?”.
Si sono lasciati dandosi appuntamento. “Dal mio ritorno dalla Francia mi fermerò nuovamente a Napoli per poter visitare i miei fratelli di tenda tra le etnie del nostro Mediterraneo. Tu tieniti pronto. Perché mi dovrai accompagnare passo dopo passo. Siamo uomini di un Sud che si racconta nella sua religiosità e noi non solo dobbiamo essere gli interpreti ma i continuatori nel Cristo e in Maria”. Così le parole di Francesco di Paola.
Poi Francesco non tornò più dalla Francia. Giuseppe Moscati, nei secoli che sono giunti, è stato proclamato Santo. Natuzza lo ha visto accanto a sé nei giorni difficili. San Giuseppe Moscati è nella continuità. I Santi sono la continuità. Come Padre Pio che non ha mai smesso di predicare e di dire messa. Al mistero nulla è impossibile. E se scrivo dalla mia notte è perché di notte io dialogo non solo con i fantasmi dei miei ricordi, ma anche perché ho bisogno della notte per aspettare l’alba da sveglio.
Corrado Alvaro mi ha insegnato che ai calabresi che hanno le mani di pietra e il cuore di sabbia bisogna saper parlare come se si sussurrasse lentamente. Non bisogna mai sfidarli perché nella loro anima c’è il volto del paolano, nel loro coraggio c’è l’utopia di Campanella, nella loro visione della vita c’è il coraggio del nolano Giordano Bruno, nella loro fierezza c’è la pazienza della fortezza di San Giuseppe Moscati.
Il tutto è detto. L’invenzione vale più della realtà. Tutto questo che ho raccontato non è bugia. Si inventa anche quando si costruisce la verità. Uno scrittore si gioca, costantemente, la parola come se fosse vita sulla scacchiera del rischio. Ma gli uomini che non rischiano non camminano al mio fianco. Pensate quello che sia più opportuno per voi. Gli opportunismi ci sono sempre stati e ci saranno ancora. Sono nella vita.
Nella mia vita si sono incontrati il gigante che è San Francesco di Paola, il San Giuseppe Moscati vestito di bianco, la Maria di Pompei che sa avvolgere tra le sue vesti e proteggere, il Padre Pio osteggiato sino a non molto tempo fa dal potere di Gemelli e dai suoi eredi e l’inquisito nolano, bruciato nella piazza di Roma, che mi ha aperto le finestre della stanza per regalarmi il Sole di Campanella. Saremmo dovuti passare tutti dalla Santa Inquisizione. Quella vera. Non quella dei film di quartiere.
Perché il Taumaturgo non è passato sotto le ruote della Santa Inquisizione Romana? Eppure era in profumo mistico carismatico di eresia.
P.S. Non ci sarebbe bisogno di ulteriori parole. L’immaginario si comprende. La fantasia non ha bisogno di contestualizzare la storia e la cifra delle epoche. Epoche completamente diverse tra il Santo di Paola e San Giuseppe Moscati. Se non ci fosse l’ironia ci chiuderemmo negli archivi. Ma il sorriso ci salverà dalla noia quando la bellezza ha il volto di Cristo. Il mio caro lettore è ormai abituato al mio voler giocare non dimenticando le metafore.
Pierfranco Bruni
Per scriverci e segnalarci un evento contattaci!