Gli apprendisti stregoni, festeggiano la primavera delle streghe, ascoltano con molta attenzione le voci che precedono la Candelora. Osservano. In silenzio. Perché la Notte della Candelora è l’iniziazione al mondo magico.
Gli apprendisti entrano nella stregoneria. La luna diventa sottile e il canto propiziatorio ha tra le parole la cacciata delle nuvole. Gli apprendisti stregoni vivono una vera e propria cerimonia con una trasformazione dei segni mitici in un percorso propriamente rituale.
Molto tempo fa, sembrano passati secoli, ho vissuto questa notte in un passaggio in cui il fuoco diventava metafore di un Dio Illuminante e non teocratico. Avviene la consacrazione delle candele.
La luce metafisica che è quella dell’abitare la notte e il bosco aspettando la fiammella del vento nella luce ovattata degli spazi. In fondo il mondo cattolico recupera dalla magica il concetto di Presentazione al Tempio di Gesù (Gerusalemme).
I cattolici, gli ortodossi, i luterani e gli anglicani fanno festa. Si può leggere in Luca (2 22 – 39). Infatti vengono celebrate le candele come sfera di luce che è il simbolo dello Spirito Santo. Nella magia è sempre lo spirito che traccia il viaggio, ma è Illuminante, sazievole in un tempo che lega l’infinito con l’eterno.
Fu uno dei riti importanti nella antropologia della iniziazione.
Tanto che persino Ovidio ne parla nei suoi Fasti (testo interrotto volutamente a metà). Scrive: “Gli antenati romani dissero Februe le espiazioni: e ancora molti indizi confermano tal senso della parola. I pontefici chiedono al re e al flamine le lane che nella lingua degli antichi erano dette februe. Gli ingredienti purificatori, il farro tostato e i granelli di sale, che il littore prende nelle case prestabilite, si dicono anch’essi februe… Da ciò il nome del mese, perché i Luperci con strisce di cuoio percorrono tutta la città, e ciò considerano rito di purificazione”.
Si era già comunque al 9 d. C. comunque si tratta di una festa precristiana la cui derivazione ha tracce anche nella cultura celtica. Nell’Itinerarium si legge: “Si accendono tutte le lampade e i ceri, facendo così una luce grandissima” (Itinerarium 24, 4).
In fondo viene considerata come la Festa del Fuoco Sacro. Santa Brigide è il riferimento cristiano ma la festa si lega ad una cultura pagana delle Vestali.
Il giorno della purificazione dell’anima e del corpo. Il rituale delle stagioni è un attraversamento che definisci il significato degli archetipi della luce e dei mesi in attesa che la luce vera possa illuminare.
La luce vera è chiaramente il sole di giorno e la luna di notte. Alcuni proverbi danno il senso di ciò.
Il detto più diffuso in Puglia riferito al giorno della Candelora (2 febbraio) è il seguente:
“A Cannëlôrë, ci non nevëchë
e non chiovë, a Vërnët non è fôrë“.
Nella Puglia salentina, invece, si usava dire:
“De la Candelora
ogni aceddu fa la cova…”.
In Calabria:
“Da Candalora, cu on avi carni
s’impigna a figghjiola…”.
“Candelora cu’ u’ vientu e cu’ i fraschi
sona a tarantella”.
“U’ passatu a cauci è tiratu
e un fuocu appiccica lu cori”
In Romagna:
“Se nevica per la Candelora
sette volte la neve svola…”.
In Veneto:
“Da la Madona Candeòra
de l’inverno semo fora;
ma se xe piova e vento,
de l’inverno semo drento…”.
In Umbria:
“A la Madonna Candelora de l’inverno semo fora,
ma se piove e tira vento, de l’inverno semo dentro…”.
Il dato che resta rilevante è che i proverbi, i cosiddetti “Detti”, vengono scritti e pronunciati, chiaramente, in dialetto.
Il dialetto assume il vero tessuto di una antropologia delle forme della lingua.
Si vive come lo strumento popolare della comunicazione.
La festa resta una rappresentazione popolare e, quindi, come tale si proietta in un immaginario molto forte in un frontespizio immaginario che rende ogni cultura legata al territorio.
La Candelora è una di quelle festività nel ritmo tra modello pagano e sacralità in cui il fuoco è fondamentale.
“Piglia piglia li fraschi
c’a’ a’ fiamma fino ara luna
adda arriva’”.
La notte in cui gli stregoni abbandonano il loro apprendistato e diventano adulti con il Fuoco propiziatorio che è divinazione.
“Caccia caccia u’ vientu
cu’ u’ fuocu adda appiccià”.
Pierfranco Bruni