“Un tempo i contadini raccoglievano i rami secchi nelle loro campagne per poi farne un enorme rogo e spargere le ceneri nei campi per propiziare il raccolto. La mattina successiva, dopo aver fatto il giro tre volte intorno alla cenere lasciata dal falo’, se ne raccoglieva un po’ e la si passava sui capelli o sul corpo, per scacciare i mali; mentre tizzoni accesi venivano portati nel focolare delle proprie case come protezione dagli spiriti maligni.
Il momento dedicato ai falò coincideva con l’inizio dell’anno, che era anche inizio dell’anno agricolo, tra febbraio e marzo, stagione dedicata a Marte, dio dell’agricoltura e simbolo maschile di giovinezza e rinascita, legato all’elemento del fuoco e del sole.
Si cominciava con il falò di S. Antonio Abate, il 17 gennaio, per continuare con quello che bruciava il re Carnevale e poi quello dedicato a San Giuseppe e ad altri Santi protettori.
Probabilmente all’origine di queste feste c’è il mito del fuoco che Prometeo rubò agli dei, per restituirlo agli uomini a cui Zeus l’aveva sottratto per punirli della loro empietà.
Per punizione del suo gesto, Prometeo è incatenato ad una rupe del Caucaso, dove ogni giorno un’aquila gli mangiava il fegato, che ricresceva durante la notte rendendo il supplizio eterno” (Maria Zanoni).
Lo scritto dell’antropologa, sul campo, Maria Zanoni tocca nel vivo il rito, che diventa mito, del falò. Ovvero, fociarena come si dice nel mio paese in Calabria. Ma si tratta di una tradizione nel cuore del Mediterraneo al centro della cultura popolare balcanica. Anche in Sardegna è un rito propiziatore. Il cosiddetto ballo tondo di cui parla Grazia Deledda. O il falò pavesiano sul quale non solo ha scritto un libro Pavese, ma ha intavolato un percorso antropologico profondo con “Paesi tuoi” del 1941.
Il rito del fuoco è il rito del falò. O i falò della tradizione albanese (ziarri, fuoco) con il ballo tondo anche qui in onore di Scanderbeg. Sino al Falò di Grottaglie (la “Focra”, sempre in un contesto geografico Magno Greco – Salentino e Ionico).
Addirittura Eraclito sosteneva: “Il fuoco vive della morte della terra e l’aria vive della morte del fuoco; l’acqua vive della morte dell’aria, la terra della morte dell’acqua”.
Un richiamo etno – antropologico che proviene, come già si è sottolineato, dalla tradizione mediterranea e dall’intreccio di culture dell’Oriente e dell’Occidente è la Focara di Novoli. La fòcara, questa suggestiva parola che rievoca antiche tradizioni e che sta ad indicare in dialetto salentino un falò di legna da bruciare, è diventata una delle principali attrazioni del comune di Novoli, in provincia di Lecce.
11In occasione dei festeggiamenti del santo patrono Sant’Antonio Abate, ogni 16 gennaio la fòcara viene accesa da uno spettacolare gioco di fuochi d’artificio che rende particolarmente scenografica la piazza principale del noto paese salentino.
Siamo in un contesto “tarantolato”.
Siamo in un tessuto territoriale Griko.
Siamo nella piana espressione di una demoetnoantropologia greco – mediterranea – arabo – orientale.
L’evento, per la sua spettacolarità, attrae ogni anno migliaia di persone provenienti da tutto il sud d’Italia tanto da essere stato oggetto di un documentario della National Geographic. Al fine di rendere questa tradizione il più possibile originale, alla pira ardente viene attribuita ogni volta una forma differente dotandola, occasionalmente, di un varco centrale all’interno del quale viene fatto passare il Santo durante la processione.
La fòcara è formata da circa 90.000 fascine e la sua preparazione inizia già a metà dicembre. L’origine di questa tradizione non è certa, è tuttavia probabile che derivi da antichi riti pagani o da un terremoto che colpì il Salento diversi secoli fa.
Certo è che questo termine, intriso di fascino e mistero, deve aver colpito anche Dante poiché lo ritroviamo nel XXVIII Canto dell’Inferno: “poi farà sì, ch’al vento di Focara non sarà lor mestier voto né preco.”
In questo caso, pare che il sommo poeta si riferisse al nome di un monte dal quale soffiavano venti impetuosi, ma ci piace pensare che il monte prendesse il suo nome da questa suggestiva tradizione di origine millenaria e dal sapore antico. Ci sono richiami e rimandi che toccano le culture neolitiche in un geografia in cui il Mediterraneo ha lasciato segni indelebili.
Il fuoco, la legna, le fascine, la notte, sono tutte griglie simboliche che rimandano anche a riti sciamani. Infatti il falò è nella tradizioni sia balcaniche che delle culture sciamaniche. Il mondo sciamanico vive di questi riti. Eraclito ancora una volta aveva letto molto bene: “Tutte le cose sono uno scambio del fuoco, e il fuoco uno scambio di tutte le cose, come le merci sono uno scambio dell’oro e l’oro uno scambio delle merci”.
La Focara di Novoli nasce in una tradizione consolidata in cui la grecità, la salentinità e il mondo Orientale e Mediterraneo sono ceselli di una tradizione che si rinnova puntualmente.
Pierfranco Bruni
Esperto di Etno – antropologia e Responsabile del Progetto Etnie del Mibact