Magna Grecia nelle isole degli occhi. Il tempo è una meteora. Non era ancora scoccata la mezzanotte. 14 agosto. La luna ci guidava. Sul filo che misurava le curve si perdeva il tempo del cerchio. Le linee nell’ondulare del vento avevano come orizzonte il mare. Pitagora cercava i numeri tra gli scogli e la roccia.
Il mare non era nero. Erano appena passate le stelle del dieci di agosto e il cielo era un bombardamento cadute sulle acque. Tutto ha la nostalgia delle donne della Magna Grecia.
Non portavo ancora la barba bianca e le mie mani rischiavano sul corpo della mia donna una carezza e un amplesso. Ci siamo fermati tutta la notte tra un ricorrere le onde e un riposo ai piedi della Colonna. La notte di ferragosto giocava con la sua bellezza. Ma in quella notte ho cominciato a non amarla più.
Il mio lettore vorrà sapere altro. Poco basta per disegnare la fine di un amore o soltanto la chiusa di una storia. Ci eravamo incontrati molti anni prima. A mezzogiorno. Sulla spiaggia di Rimini. Anche quel giorno era la metà di agosto. Il caso. Le coincidenze. Le sintonie. Gli amorosi sensi. No. Soltanto il destino.
La vita è destino. Io che parto. Io che vendo i graffi delle parole. Io che non racconto ma racchiudo il tutto in una frase. Io che so di non andare dove la sabbia tocca il mio cuore. Io che ho il sorriso intrecciato all’ironia.
Caro lettore, non so se è opportuno infilarti nella mia indecifrabile vita, ma fidati se ti dico di non prendere mai sul serio l’amore. Non straziarti per un amore. Alla mia età l’amore può essere ritrovarsi in un letto e scopare. Alla mia età come si può amare? Non ho mai creduto alle donne che mi hanno detto di amarmi immensamente. Profondamente. Arcaicamente. Con l’anima e con il cuore.
Quando ero giovane mi accendevo una sigaretta e giocavo al romantico di “Una rotonda sul mare…”, o di “Guarda che luna, guarda che mare”. Poi sono diventato meno giovane e ho capito che valeva “Ho scritto t’amo sulla sabbia ma il mare…”. Scrivere ti amo sulla sabbia. Poi sono diventato antico e ho capito che basta raccontarsi una favola e dimenticare, e raccontarsela ancora e ancora dimenticarla, ascoltarla un’altra volta e bruciarla nel vento.
Ma gli scrittori come me sanno che è opportuno giocarsi le carte sfidando Eleonora Duse per conquistare Lou Salomè, inventarsi una Sibilla per trovarsi con una Constance.
Caro lettore non perdere le tue ore frastagliando i tuoi sentieri dietro donne che non ti meritano. Non farti scegliere. La solitudine ha più senso di una donna che dice di amarti e poi gioca a scopone a carte coperte.
Allora. Ritorniamo al racconto della donna conosciuta sulla spiaggia di Rimini a metà agosto dell’anno che ho siglato nel mio diario privato.
Lei era una passante. Io rilasciavo un’intervista per l’ultimo mio libro dal titolo: “Poi ti amerò. E poi ancora non ti amerò”. Fu un appuntamento senza orario. Mi chiese semplicemente di annotare una dedica sul libro di cui parlavo. Al lido, quell’anno, si parlava di me.
Con uno sguardo penetrante, come per dirmi “Vedi che io ci sto”, con calde parole mi sussurrò: “Perché non mi invita a prendere una granita?”. Ed io risposi. “Certo. Ma non una granita. Una cena per questa sera nella mia stanza”. E lei: “Volentieri. Devo trovare il modo come sganciarmi. Ma ci sarò”. Tutto fatto.
Ho due gigantografie di ricordi. La notte di ferragosto con lei nella terra di Pitagora. E la mattina dell’incontro sulla spiaggia di Rimini.
Nella mia stanza, in albergo a Rimini, venne senza farsi attendere. Cenammo. Con le dita mi accarezzò i capelli. Finimmo a fare l’amore all’improvviso. Galeotta fu la cena nella mia stanza il 15 di agosto. Dopo sei anni, nel ferragosto in Calabria, la scena non si è ripetuta. Ero stanco della sua evanescenza, del suo giocare con la mia anima, del suo girovagare tra slealtà e passioni.
Vedi, mio caro lettore, arriva un bel giorno che, pur volendo fottere, nulla ti tocca l’anima se non il voler restare solo in solitudine. Non ho sbagliato. Solo in solitudine. Così, tra le rocce, i vuoti degli scogli e i numeri di Pitagora nella notte di ferragosto della mia Calabria ho finalmente deciso di far scendere la tenda. Non si recita più e il teatro non ha più spettatori e tanto meno attori.
Inizio e fine di un amore nel giorno di ferragosto. Tra la notte del 14 e la sera del 15. In anni diversi. Che imbroglio. C’è una vera e propria turbativa di sesso e sentimenti. In fondo abbiamo fatto l’amore prima di innamorarci. Ci siamo lasciati, anzi ero stanco, troppo stanco, stanco abbastanza delle sue contraddizioni, senza fare l’amore e forse amandoci ancora un po’. Ma ti posso assicurare, caro lettore, che, nonostante la malinconia e la tristezza dei giorni successivi, ho salvato ciò che poteva essere salvabile della mia vita. Forse anche della sua. Per i prima anni, dopo il nostro abbandono, il giorno di ferragosto non sono andato più al mare.
Oggi, invece, con pinne, fucile ed occhiali me ne frego degli amori, degli inganni, delle passioni, degli occhi grandi e belli, dei sorrisi ingannanti e mi interesso solo di me stesso. Il me stesso non mi abbandona mai. Allora non avevo il telefonino. Non erano ancora in commercio. Anni lunghi sono passati da quel tempo. Ormai sono diventato antico. Sono un pezzo archeologico raro. Ogni tanto porto con me il “cellulare”, come si usa dire, e sul display c’è una frase che compare ogni qual volta viene acceso: “Non dimenticare di essere solo”. Non lo dimentico. So! So di essere solo ma questo mi fa tanto piacere perché così riesco ad osservare, con distacco, il mondo e mi sorprendo spesso a canticchiare una canzone di un antico come me, ovvero Jimmi Fontana, che recita:
“No, stanotte amore
Non ho più pensato a te
Ho aperto gli occhi
Per guardare intorno a me
E intorno a me
Girava il mondo come sempre”.
Vivo con distacco il sentiero dei miei anni e gli amori mi fanno sorridere, tanto. Io che ho amato. Io che ho avuto donne e seni raccolti nelle coppe di champagne. Io che non ho mai mischiato una notte d’amore, e sono state tante, con le storie d’amore. Donne che impazzivano per me cantava Roberto Vecchioni. Vero, ho avuto donne che impazzivano, ma sono un antico che vive di eleganza e di ricordi. I ricordi non tagliano il cuore. Mi hanno reso impermeabile e la canzone di quegli anni che, qualche volta, ascolto ancora, mi canticchia:
“Ricordo un angolo di cielo
dove ti stavo ad aspettar
ricordo il volto tanto amato
e la tua bocca da baciar”.
Il cantante si chiamava Fred Buscaglione. In quegli anni mi piaceva il bianco e sapevo ballare bene il tango. Con lei ho ballato nelle balere, ma anche sulle spiagge di Cuba, di Santo Domingo, di Barcellona, nei battelli di Strasburgo, sulle rive della Senna quando i ragazzi si baciano in piedi nella notte, sotto i ponti del Tevere.
Dire che non l’ho amata non è dire il vero. Il vero è dire che troppo l’ho amato e forse avrei dovuto amarla di meno. Ma c’è sempre un ferragosto che ci sveglia dal sonno e ci fa entrare nell’alba di un sogno rivelato. Quando il sogno si rivela tutto svanisce. Tutto finisce. Tutto ti domanda: “Ma cosa hai fatto di questi anni?”. Mi sono bastati la notte e il silenzio di Pitagora per dare voce alla circonferenza della mia anima.
Da un ferragosto ad un altro. Da Rimini alla Colonna di Kroton. Ormai non ci sono più nel tempo delle illusioni. Non ho chiuso il viaggio e anche se distanzio le attese le donne sono sempre nel mio presente, ma l’amore non è castità. Il mio amore resta passione.
Dimenticavo. Mi ha telefonato la donna dalla voce rauca. Ci siamo dati appuntamento per domani all’alba. Mi ha detto: “Ti aspetto domani alle cinque al primo molo. Voglio straziarti di passione. È da secoli che non ci vediamo. Sono venuta a cercarti per riportarti un amore perduto e non ti offrirò ricordi, ma solo i miei riccioli biondi e il mio sguardo rimasto ancorato alla bellezza dei tuoi occhi. Tu non lo sai, ma io ti ho sempre appartenuta. Non dimenticare che porto ancora la gonna corta, i sandali e una maglietta di filo trasparente, come allora non ho reggiseno. Al resto ci pensi tu”.
Cosa farò? Tu, caro lettore cosa faresti? È nuovamente ferragosto. Alle cinque del mattino. E non alle cinque de la tarda lorchiana. Il torero non è nell’arena. Ed io cosa dovrò fare mentre mi tremano i sogni? Aspetto il tuo consiglio, mio lettore. Il mio numero telefonico è sull’elenco. Alle cinque del mattino.
Nel giorno di ferragosto. Riccioli biondi, gonna corta e reggiseno nel vento dell’alba. Magna Grecia che è attesa di tempo. “Ti raggiungerò. Ma tu, danzami l’alba dell’agosto tra i capelli. Come tanto tempo fa, quando gli anni non erano una meteora”.
Pierfranco Bruni