N.B.: le notizie, i preparati e le ricette inserite in questo articolo hanno unicamente valenza documentaria antropologico-folkloristica: non sono in alcun modo da considerarsi praticabili o sperimentabili.
La Mandragora autumnalis, in particolare, è una solanacea dagli effetti estremamente pericolosi (vari effetti neurotossici, fino all’arresto cardiaco: si rimanda per info dettagliate su queste caratteristiche alle varie trattazioni sia divulgative che scientifiche di farmacologia e tossicologia,molte delle quali presenti anche in rete). Si sconsiglia perciò vivamente qualsiasi forma di sperimentazione suscitata da curiosità.
Cronache recenti hanno parlato di casi di intossicazione da mandragora (prevalentemente in Sicilia e Sardegna) ingerita accidentalmente e scambiata per borragine, bietola (piante con le quali ha una vaga somiglianza) e addirittura cicoria (che nell’aspetto è molto diversa). Un occhio esperto ed allenato riconosce facilmente le differenze tra queste piante, ma se ci si appresta senza alcuna cognizione a diventare raccoglitori di erbe spontanee qualsiasi pianta può essere scambiata per un’altra. I casi ai quali si è accennato sopra riguardano, per “fortuna”, l’ingestione di foglie e hanno dato luogo a sintomatologia (vertigini, nausea, diarrea) risoltasi con farmaci specifici per il trattamento della sindrome anticolinergica. La maggior concentrazione di alcaloidi tropanici nella mandragora è contenuta nella radice, per cui l’ingestione di una quantità anche minima di questa parte della pianta può dar luogo ad effetti ancora più devastanti. Il confine tra la dose “utile” a procurare effetti narcotico-allucinogeni (altrimenti definiti, nel caso delle piante tropaniche, delirogeni) e quella che provoca l’arresto cardiaco è assai labile.
Nella storia questa pianta è stata impiegata come potente anestetico, come veleno, come veicolo esoterico, ed è proprio a causa della prorompenza dei suoi effetti che è circondata da un alone mitologico singolare.
Dioscoride, seduto, allunga la mano per afferrare la mandragora antropomorfa che Euresis gli offre. Un cane morto è legato con una corda al piede destro della pianta (miniatura dal Codex Aniciae Julianae , 512 d.C. circa)
E’ una delle piante magiche per eccellenza, tra le più impiegate nella stregoneria. Intorno a questa pianta ruotano miti e leggende, rispetto ai quali rimando alla vastissima letteratura soprattutto antropologica ed etnobotanica,[1] ma anche di tipo divulgativo in circolazione, quest’ ultima in particolare, facilmente reperibile anche sul web. Certamente, uno degli aspetti più descritti è quello del suo impiego come ingrediente, sotto forma di unguento ricavato dalla macerazione della radice, per il volo al sabba. Altro impiego è quello come polvere affatturante, e infine come afrodisiaco (in particolar modo questo ruolo è attribuito all’ingestione dei frutti). E’ bene ricordare ancora, che tutte le parti di questa pianta sono altamente tossiche e che possono avere effetti letali.
Altro impiego della Mandragora è come talismano: si credeva che anche solo portando addosso la radice essiccata, questa potesse infondere le sue molteplici virtù e il suo potenziale magico nei confronti di svariati scopi. Così, nelle credenze magiche, la Mandragora aiuta a trovare tesori, dona ricchezze e potere al suo possessore, rende invisibili, e può persino (la radice) essere animata (attraverso più o meno complessi rituali) e diventare una sorta di homunculus. Particolari, anche le leggende legate alla sua estrazione, da compiersi ad opera del mago formato ad un particolare e complesso rituale (anche su questo aspetto, non mi dilungo ma rimando alla vasta letteratura reperibile anche su internet).
Rappresentazione della mandragora antropomorfa estratta tramite un cane legato
In Puglia è presente, benchè non comunissima, la Mandragora Autumnalis, concentrata soprattutto nel territorio di Taranto e degli immediati dintorni.
Negli anni scorsi ho chiesto spesso a pastori e contadini se conoscessero una simile erba, e se avessero memoria di suoi utilizzi magici o medicinali, ma nessuno di loro è stato in grado di fornirmi informazioni in proposito: contrariamente ad altre Solanacee tropaniche come Dature o Giusquiamo, delle quali ricordavano impieghi e nomi dialettali, rispetto alla Mandragora non sapevano darmi informazioni (questo dato è da interpretare come effetto della progressiva scomparsa della pianta nel territorio pugliese, che difatti è considerata a rischio di estinzione ed è stata posta in lista rossa dai nostri botanici). Soltanto un operaio-muratore mio coetaneo, di estrazione contadina, anni addietro ha asserito di aver sentito nominare questa pianta e di conoscerne la voce dialettale, a suo dire corrispondente a Mandracula, senza saper fornirmi però altri particolari.
Conosciuta sin dall’antichità sia come veicolo di ebrezza che come medicinale e utilizzata anche nella medicina di Ippocrate, in quanto pianta endemica della Puglia sicuramente era conosciuta e utilizzata anche nella antichità magno-greca.
Ci son pervenuti frammenti di un’opera di un commediografo magno-greco, Alexis di Thurii, intitolata Mandragorizomene (la donna che fa uso della mandragora): i 5 frammenti che ci restano non darebbero modo di conoscerne il soggetto e l’intreccio, e le opinioni degli studiosi appaiono discordanti: si tratterebbe secondo alcuni di fatti amorosi e pertanto la Mandragora sarebbe usata dalla protagonista come afrodisiaco, secondo altri ci sarebbero riferimenti alla magia, per altri la protagonista si serve della Mandragora per simulare la morte, ad accertare la quale viene cercato un medico che parlasse dorico.
E’ nota la presenza e l’influenza del Pitagorismo in Magna Grecia e in Taranto: è proprio Pitagora, fondatore della omonima scuola nella Crotone magno-greca, a definire la mandragora “Antropomorphon”. Pierio Valeriano, pur ritenendo che il suddetto termine fu utilizzato da Pitagora per definire la forma della radice, riporta alcune interpretazioni di non specificati altri autori, secondo i quali “Antropomorphon” implica una attribuzione mistica da parte dei pitagorici alla pianta e in special modo ai suoi pomi somiglianti a testicoli.[2] Si può supporre che la mandragora abbia avuto un ruolo nell’orfismo e nel pitagorismo, e difatti nelle Argonautiche Orfiche dell’anonimo autore del V secolo d.C., è descritta come una delle piante del giardino di Ecate, signora delle erbe officinali e magiche. Più in generale, le varie esperienze descrittive di vari riti misterici, compresi i misteri Eleusini (le visioni terrifiche e quelle celestiali, esperienze di sdoppiamento corporeo, ecc.),[3] danno da pensare che ciò che suggerisce Pier Luca Pierini a proposito proprio dei misteri di Eleusi non sia da scartare, ovvero la presenza della Mandragora come principale agente delle alterazioni dello stato ordinario di coscienza.[4] In questa prospettiva, diversi elementi collimerebbero tra loro, come ad esempio la coincidenza del periodo della comparsa della Mandragora autumnalis con le celebrazioni dei Misteri, l’accoppiata vite/vino-mandragora conosciuta fin dall’antichità, e infine la probabilissima veridicità dell’ipotesi che la stregoneria medievale, caratterizzata da unguenti e preparati allucinogeni a base di solanacee, costituisca la diretta filiazione di una antica tradizione magico-religiosa (rituali e saperi compresi).
Ma veniamo ora alla presenza e diffusione della pianta nella flora spontanea pugliese.
In Puglia sono documentate o testimoniate presenze di Mandragora nella flora spontanea a partire dalle ricerche degli autori cinquecenteschi.
Scrive Andrea Mattioli:
“Nascono le Mandragole per sé stesse in più luoghi per li monti in Italia, e massime in Puglia e nel monte Gargano, il quale chiamano di Sant’ Angelo, onde ci recano le corteccie delle radici, e i Pomi alcuni Erbolaj, che ogni anno vengono a noi…” [5]
Il Medico e letterato Girolamo Marciano (1571-1628) a sua volta documenta la presenza di Mandragore in Terra d’ Otranto, elencando la “Mandragora maschio” e la “Mandragora femmina” tra le piante spontanee che crescono nella “Provincia”. [6]
L’ umanista settecentesco Cataldantonio Carducci, nella sua traduzione e commentario delle Delizie Tarantine del D’Aquino, riferisce della presenza della Mandragora presso i vigneti del monte tarantino Aulone, e di una contaminazione dei vini:
“…. lmperciocchè attenta la grassezza de’ pascoli di Saturo, di cui era parte Aulone, le pecore vi s’ impinguavano, onde provveniva l’ ottima qualità delle lane: ed attento il buon terreno di Aulone, molto confacente a viti, il vin che producea, era rinomatissimo. Ed in quel tenimento v’ è tuttavia il corrotto vocabolo monte Melone, e la pezza di MeIone, per dove forse si estendevano le viti d’Aulone. E v’è pure una ragion naturale circa la bontà de’ suoi vini: mentra questa nasceva, dacchè ritenea la qualità della mandragora, erba ipnotica, o sia soporifera, di che eran pieni que’ suoi vigneti, e che tuttavia alligna in quel terreno; onde nacque quel greco adagio mandragoram bibisse (Erasm. in adag.) che si appropriava a quegli infingardi o neghittosi, cui piace una vita molle e lascìva. Quindi Orazio non per altro riguardo lo disse amicus, mentre il suo vino gustato ch’cra, spirava della l:mguidezza, e conciliava il sonno. Plutarco nel libro de audiendis Poetis ci attesta, che la mandragora nascendo presso alle viti, infonde la sua Virtù nel Vino, e fa più soavemente dormir coloro, che’l bevono. E Vaglia I’ esempio di Annibale , al’dir di Giulio Frontino Strateg. 2, il quale spedito da’ Cartaginesi a domar lo spirito ribelle degli Afri, sapendo ch’ essi erano troppo dediti al vino, procurò di mischiarvi in quello quantità di mandragora, la quale operando con la sua virtù, gli rese deboli e sonnacchiosi , di modo ch’ egli ne trionfò. Anzi tanto è più bello quell’epiteto amicus, che Orazio attribuisce ad Aulone, quanto ch’ essendo questo luogo, come si è detto, ferace di mandragore, il nome di questa pianta presso gli orientali serba la nozion di amore, ch’ è Dod [7] […]” [8]
Mandragora – illustrazione
Sempre a proposito della mandragora in Taranto, scrive il Giustiniani, riprendendo in parte le tesi del Carducci:
“In tutta quella regione, e in esso colle ancora, vi si vede finanche inoggi nascere abbondantemente la Mandragora, erba ipnotica e soporifora, di cui Plinio molto parla ; e se mai sia vero quel che dice Plutarco che una tal’erba nascendo presso le viti infonde la sua virtù nel Vino, e fa che dormono soavemente tutti coloro, che il bevono: mandragora (mi valgo del Xilandro) iuxta vites nascens , suamque in vinum virn diffundens, efficit u suavius dormiant, qui id biberurnt, ebbero perciò a farvi una ricca piantagione di viti, dalle quali ne raccoglievano poi vino assai in pregio.” [9]
Nella sua opera La flora salentina, il botanico ottocentesco Martino Marinosci, di Martina Franca, riferisce, a proposito di quella che egli identifica come
“Mandragora officinalis, o officinarum Atropa L.”: “ Vi è una varietà a foglie larghe con fiori, e radice bianca, ed un’ altra presso Lecce con radice fosca, foglie strette ondate, fiori porporini” [10]
Ancora, il botanico inglese Henry Groves nella sua opera “Flora della costa meridionale della Terra d’ Otranto” riporta nel 1887 la presenza di Mandragora autumnalis a Leucaspide (Statte, TA) e Gallipoli.[11]
La Mandragora autumnalis è presente nelle attuali checklist della flora salentina.[12] Benchè sia inserita nelle specie di lista rossa, cioè a rischio di estinzione, sono state individuate, anche molto recentemente, diverse stazioni sia dai botanici che da ricercatori indipendenti e appassionati.
Presenze certe sono state rilevate nei pressi di: Tuturano (BR), Porto Cesareo, Otranto e Porto Badisco (LE), Taranto, S. Marzano di S. Giuseppe (TA)[13]. La Mandragora si comporta da pianta “infestante” e dunque laddove è insediata allo stato spontaneo non si trovano mai individui isolati o numericamente esigui, ma stazioni di numerosi esemplari che occupano fette consistenti di suolo in ciascun sito che le ospita. Da verificare, segnalazioni sulla costa tarantina, nei pressi delle gravine massafresi, di Martina Franca, San Giorgio Jonico, e in altre zone della provincia di Taranto e di Lecce.
Solanacee tropaniche di vario genere paiono inequivocabilmente presenti nella composizione di unguenti, polveri e bevande afrodisiache e affatturanti. In un testo del Chiaia si legge di una misteriosa “Erba del trasporto” utilizzata da un masciàro pugliese[14] che potrebbe essere la Mandragora stessa o altra solanacea dagli effetti analoghi, mentre nei resoconti forniti al tribunale del Santo Officio della diocesi di Oria tra ‘600 e ‘700, si leggono esperienze significative, benchè, ovviamente, mediate dalla penna dell’ inquisitore. Non sappiamo quali Solanacee in particolare rientrassero nelle varie composizioni (probabilmente tutte quelle di tipo tropanico disponibili e reperibili, vista l’interscambiabilità a livello di proprietà), ma alcuni passi ci suggeriscono la possibile presenza della Mandragora. Li abbiamo analizzati nel libro “la Magia nel Salento” scritto insieme a Maurizio Nocera[15] e nell’articolo “Il possibile ruolo della Mandragora nella stregoneria salentina” apparso sul sito web di Fondazione Terra d’ Otranto.[16]
Tra le antiche ricette magiche scovate dal tossicologo Enrico Malizia (che in una sua opera raccoglie antichi preparati da formulari, manoscritti e testi, italiani ed esteri, che vanno dal 1400 agli inizi del 1800), la mandragora, insieme ad altre piante ad elevata tossicità è presente in una “pozione per viaggiare”, in una “pozione per trasformare uomini in porci” e, assieme a “ frutti di mare cotti” e spezie varie, in una singolare pozione “per rendere potente il frigido”.[17]
Pomi di mandragora sono presenti in un “filtro afrodisiaco” insieme ad altri ingredienti vegetali ed animali,[18] e “radici di mandragora” sempre insieme ad altri ingredienti vegetali ed animali son presenti nella composizione di un rimedio per restituire forza a uomini debilitati.[19]
Tra le ricette attribuite a tal canonico Docre, personaggio di fine ottocento dedito alla magia nera, la mandragora è presente in un elisir afrodisiaco decisamente ripugnante a causa degli altri ingredienti contemplati, [20] mentre ingredienti animali e vegetali (tra cui radice di mandragora) misti a secrezioni umane ritornano in un decotto per far concepire[21].
Una cura per avvelenamenti e intossicazione da Mandragora, riportata dal Pezzella che pubblica le ricette di un antico manoscritto magico cinquecentesco, consisteva nel dar da bere all’intossicato teriaca magna stemperata nel vino e lasciarlo poi a digiuno per un giorno intero.[22] Un antidoto era la radice del rafano presa tre volte al giorno per tre giorni consecutivi e mangiata con pane e sale.[23]
Gianfranco Mele
- Uno dei testi più esaustivi completi è quello di Gianluca Toro, La radice di Dio e delle streghe, Yume Editore, 2014 ↑
- Giovanni Pierio Valeriano, I ieroglifici ouero Commentarii delle occulte significationi de gl’Egitti, Combi, Venezia, 1625, pag. 761 ↑
- v. Attilio Quattrocchi, I Misteri Eleusini, Accademia Platonica Centro Studi Filosofici, sito web ↑
- Pier Luca Pierini, La Magica Mandragora, Rebis Ed., Viareggio, 1999, pp. 23-33 ↑
- Pietro Andrea Mattioli, Discorsi, pag. 604, cap. 78, 1544 ↑
- Girolamo Marciano, Descrizione, origine e successi della provincia di Otranto pag. 190, Napoli, Stamperia dell’ Iride, 1855 (riedizione a stampa dell’antico manoscritto redatto dal Marciano a cavallo tra ‘500 e ‘600) ↑
- a proposito del termine “dod” qui citata dal Carducci come sinonimo di mandragora e di “amore”, si veda G. Toro, La radice di Dio e delle Streghe, pag. 18 ↑
- Cataldantonio Atenisio Carducci, Le delizie tarantine di Tommaso d’ Aquino, Volume 2°, Annotazioni, Napoli, 1772, Stamperia Raimondiana, pag. 269. ↑
- Lorenzo Giustiniani, Dizionario geografico-ragionato del regno di Napoli, Manfredi, 1883, pag. 51 ↑
- Martino Marinosci, Flora Salentina, vol. II, Tip. Ed. Salentina, Lecce, 1870, pag. 91 ↑
- Henry Groves, Flora della costa meridionale della terra d’ Otranto, Nuovo Giornale Botanico Italiano, vol. XIX, n. 2, aprile 1887, pag. 174 ↑
- C. Mele, P. Medagli, R. Accogli, L. Beccarisi, A. Albano & S. Marchiori Flora of Salento (Apulia, Southeastern Italy): an annotated checklist Flora Mediterranea 16, Raimondo Ed., , pag. 219 ↑
- Nota curiosa, le Mandragore osservate in S. Marzano in periodo autunnale, non presentavano fioritura né fruttificazione e avevano una conformazione fogliare sensibilmente diversa rispetto alle altre. Questi aspetti han fatto pensare ad un esempio di polimorfismo, ma sarebbe da approfondire quanto riferito in passato dal Marciano e da Marinosci: entrambi identificano 2 specie differenti di Mandragore in Terra d’ Otranto. La “Mandragora maschio” e la “Mandragora femmina” di cui parla il Marciano corrisponderebbero in realtà, rispettivamente, alla attuale distinzione tra Mandragora officinarum e Mandragora autumnalis. Lo stesso Marinosci, come si è riportato di sopra, riferisce di due differenti varietà. ↑
- Luigi Chiaia, Pregiudizi Pugliesi, in: Rassegna pugliese di scienze, lettere, arti, Trani, 1887-88, Ried. a cura di Arnaldo Forni Editore, 1983, pp. 75-76 ↑
- Gianfranco Mele, Maurizio Nocera, La magia nel Salento, Spagine/Fondo Verri Editore, 2018 ↑
- Gianfranco Mele, Il possibile ruolo della Mandragora nella stregoneria salentina, Fondazione Terra d’Otranto, sito web, gennaio 2018 ↑
- Enrico Malizia, Ricettario delle streghe, Edizioni Mediterranee, 2003, pag. 143 ↑
- Enrico Malizia, op. cit., pag. 145 ↑
- Enrico Malizia, op. cit., pag. 177 ↑
- Enrico Malizia, op. cit., pag. 217 ↑
- Enrico Malizia, op. cit., pag. 252 ↑
- Salvatore Pezzella, Magia delle Erbe, Vol.1, Edizioni Mediterranee, 1989, pp. 128-129 ↑
- Salvatore Pezzella,op. cit., pag. 129 ↑